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Guerra in Ucraina

Marina Ovsyannikova, la giornalista che protestò in diretta tv: “In Russia mentiamo, creiamo fake news”

La dissidente in esilio, appena condannata da un tribunale moscovita, si scaglia contro la giustizia e i media russi. Dove “il Cremlino è riuscito a proibire la realtà, oltre che la verità”. Il racconto a Fanpage di come funzionano i media e i tribunali di Putin e della avventurosa fuga da Mosca con la figlia.
Intervista a Marina Ovsyannikova
Giornalista russa che protestò in diretta tv
A cura di Riccardo Amati
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La condanna è pesante ma era inevitabile: “I tribunali in Russia fanno quel che decide il Cremlino”. Nel suo Paese ha lasciato tutto, anche un figlio. I suoi familiari hanno testimoniato contro di lei al processo in contumacia: “Sono ostaggi del regime, come la maggior parte dei russi”, dice.

La protagonista della più clamorosa delle proteste contro le guerre, dal suo rifugio in Francia, racconta come il telegiornale di Stato di cui era una caposervizio “inventava” la realtà su ordine dell’amministrazione presidenziale, e di come continua a farlo.

Parla di come funziona la “giustizia di Basmanny”, che rende kafkiani i processi. E ricorda la sua rocambolesca fuga da Mosca. Con un messaggio: “Attenzione, la propaganda di Putin sta creando dubbi in Occidente”. “Non la incoraggiamo: l’Europa deve continuare a sostenere l’Ucraina anche perché solo da una sconfitta sul campo può emergere una Russia migliore”.

Fanpage.it ha raggiunto Marina Ovsyannikova in videoconferenza nella località francese dove si trova sotto la protezione di Parigi. I timori per un eventuale attentato contro di lei sono ancora presenti.

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Marina, può commentare la sentenza che l’ha appena condannata in contumacia a otto anni e mezzo di prigione?

Nel corso di vent’anni Putin ha distrutto non solo l’indipendenza dei media ma anche quella della giustizia. Non ci sono più tribunali che non dipendano dall’esecutivo. In particolare, il tribunale di Basmanny, che mi ha condannato, è il simbolo della repressione in Russia (in russo si usa l’espressione “Basmannoe pravosudie”, ovvero “giustizia di Basmanny” per indicare un processo illegale, ndr). È un tribunale fittizio: in realtà lavora per il Cremlino. Che decide quale debba essere la sentenza e chiama i giudici dando l’ordine di procedere di conseguenza. E il tribunale di Basmanny che ha emesso i verdetti contro Alexei Navalny, Ilya Yashin, Vladimir Kara-Murza e altri oppositori del regime. In Russia, vorrei ricordarlo, ci sono almeno seicento prigionieri politici, oltre a migliaia di persone dichiarate “agente straniero”.

Può darci un esempio concreto di come agisce questo tribunale?

Un esempio tra tanti della totale mancanza di credibilità è che nel procedimento a mio carico abbia pesato anche l’accusa di aver diffuso pubblicamente i numeri dei bambini uccisi dai militari russi in Ucraina. Si tratta di numeri pubblicamente riscontrabili anche in Russia. Perché sono sul sito delle Nazioni Unite, che non è ancora bloccato. Qualsiasi cittadino russo può leggere quei numeri su internet. Altro che fake news. Invece per i tribunali russi ogni informazione sulla guerra non pubblicata sul sito ufficiale del ministero della Difesa è fake news. Per tre volte sono stata multata per “fake news”, poi è scattato il procedimento penale. Mi aspettavo una sentenza così. Perché è un caso politico. E sapevo bene di aver superato la linea rossa, per aver parlato in più riprese contro la propaganda, contro il Cremlino.

Tutto è iniziato con quella sua incursione in diretta durante un telegiornale su Pervy Kanal, il Primo canale, per cui lavorava alla tivù di Stato russa. “No alla guerra” era scritto sul cartello che mostrò alle telecamere. “Vi stanno mentendo”. Come le venne in mente un’azione così clamorosa?

Fu una specie di lucida follia. Dovuta alle forti emozioni che provavo. Questa guerra proprio non potevo supportarla. Ero in uno stato di shock. Forse anche perché da ragazzina ho conosciuto la guerra da molto vicino. La mia famiglia abitava in Cecenia, quando la Russia l’attaccò per la prima volta. Perdemmo la nostra casa, perdemmo tutto. Sono stata una rifugiata, per molti anni. Capisco bene cosa provano oggi gli ucraini che si trovano nella stessa situazione. E poi ho radici ucraine. Mio padre è ucraino. Ci sono tante ragioni, per la mia azione. Non me potevo più della propaganda del regime per la guerra.

Eppure di quella propaganda è stata a lungo parte.

E da tempo me ne rendevo conto. Anche perché lavoravo alla redazione esteri ed avevo accesso ai media internazionali, quindi sapevo quello che davvero davvero succedeva nel mondo. Lavoravo pur essendo cosciente che mentivamo su tutto. Creavamo una realtà alternativa. Fake news, appunto, ogni giorno. Con l’invasione dell’Ucraina il mio rigetto di tutto questo è diventato irrefrenabile.

Può darci qualche esempio di come si lavorava alle news del primo canale? C’erano veline del governo? Vi dicevano cosa dire e cosa non dire?

Dal flusso delle notizie sceglievamo soltanto quelle anti-occidentali. Soprattuto se erano contro gli Stati Uniti. Erano le uniche che potevamo mandare in onda. Tutti noi lavoravamo secondo regole decise dal Cremlino. Le direttive erano dettate dall’amministrazione presidenziale a uno dei nostri capi, che una volta alla settimana si recava a prendere il “metodichka” (termine russo diventato paradigmatico delle “guide” del Cremlino su come parlare nel modo “giusto” si specifici eventi, ndr).

E chi va, fisicamente, al Cremlino a prendere le “metodichka”?

Normalmente, per il Primo canale, il direttore delle News, Kirill Kleimyonov (dopo la protesta live di Ovsionnikova, Kleimyionov la denunciò come “spia britannica”, ndr). È lui a discutere con i consiglieri di Putin su quali parole si debbano usare, per esempio, quando si parla di Zelensky. Risultato, durante tutta una settimana il telegiornale del Primo canale definisce il presidente ucraino “uno spacciatore di droga”. Oppure decidono come si debba chiamare il governo ucraino. Che la settimana dopo nelle news diventa “la giunta di Kiev”.

In Italia ci sono commentatori, professori universitari e politici che ritengono che la propaganda occidentale equivalente a quella della Russia di Putin. Lei conosce da dentro la macchina propagandistica russa e ora vive in Occidente. È davvero equivalente, la propaganda?

Non è nemmeno paragonabile. Non dico che non ci sia. Ma non è generalizzata. È questa l’enorme differenza: in Occidente i media hanno diversi proprietari che magari influenzano le notizie in favore di una loro agenda. Ma in Russia tutti i media sono ormai direttamente o indirettamente controllati dallo Stato. Ormai i giornalisti lavorano solo con la “metodichka” del Cremlino. Non esiste nient’altro. Ci sono regole che non si possono trasgredire. Se lo fai la tua testata viene immediatamente chiusa e tu devi come minimo devi lasciare il Paese. I giornalisti russi, se vogliono raccontare la realtà, dire la verità, possono farlo solo da fuori della Russia. Nel Paese di Putin è proibito.

Come ha fatto a lasciare la Russia? Era agli arresti domiciliari. È stata una fuga avventurosa?

Sono riuscita a scappare insieme a mia figlia (una bimba di undici anni, ndr) grazie all’aiuto di Reporters sans frontières (Ong fondata in Francia per la salvaguardia del diritto all’informazione nel mondo, ndr). Abbiamo cambiato diverse automobili durante il tragitto in Russia. Abbiamo passato la frontiera a piedi. Non posso dirvi dove. Sì, è stata un avventura. Non credevo che ce l’avremmo mai fatta. Ma alla fine, eccoci qui. Sotto la protezione francese.

Come vive, oggi in Francia?

Ho finalmente ottenuto l’asilo politico ma non riesco ad ottenere i miei documenti. Ho molte difficoltà. In Russia ho lasciato tutto. Ho perso la casa, i miei risparmi. Sono fuggita con solo una valigia. Sto ancora cercando di riorganizzare la mia vita. E di trovare un lavoro.

Parte della sua famiglia ha testimoniato contro di lei, al processo. Il suo ex marito, poi la ha fatta privare dei diritti genitoriali. Il suo figlio maggiore vive col padre. Come la fa sentire tutto questo?

Potete immaginarvelo. So bene però che la mia famiglia è ostaggio del regime. Non avrebbero potuto continuare a vivere in Russia se non avessero testimoniato contro di me. Si tratta inoltre di una famiglia complicata: il mio ex marito lavora per Rt (televisione del Cremlino per la propaganda all’estero, ndr), ne dirige il servizio in lingua spagnola. E dice continuamente al figlio che la Russia ha tutte le ragioni di combattere in Ucraina, che Putin è un grande presidente e così via. E mio figlio sostiene suo padre. Che ha molto potere, molti soldi e naturalmente una forte influenza sul ragazzo. Al contrario di sua madre che adesso è solo una rifugiata politica.

È comunque una cosa comune, oggi in Russia, conformarsi ed evitare guai per poter andare avanti con la propria vita. Non riguarda solo la sia famiglia. Sono diventati un po’ tutti degli ostaggi, i russi?

In un certo senso è così. Si pensa soprattutto a proteggere il proprio lavoro, la vita quotidiana. Così ci si nasconde dalla realtà. Ma, in fondo, quante persone protestarono contro Hitler, o contro Mussolini. Protestare oggi in Russia è pericoloso. Può distruggere la tua vita.

Lei era andata una prima volta all’estero poco dopo aver protestato in diretta tivù. Il giornale tedesco Die Welt le aveva offerto una collaborazione e l’aveva inviata a seguire il conflitto. Ma molti in Ucraina, e anche nella diaspora russa, protestarono, stigmatizzando il fatto che lei per molti anni ha lavorato per la propaganda di Putin. Qual è il suo commento?

Mi sono trovata in una situazione molto difficile, nel mezzo di una tempesta sulla stampa e sui social, Alimentata anche da troll russi. Mi odiavano tutti: i russi, ovviamente, gli ucraini e anche alcuni espatriati come me. Die Welt non era in grado di proteggermi, era troppo anche per loro. Così la collaborazione finì. Nel frattempo, a Mosca mio marito aveva iniziato il procedimento per portarmi via i figli. Così dovetti tornare e lottare per i miei figli. Sennò non avrei mai più potuto vederli. Ma continuai anche a protestare contro la guerra. E per questo son dovuta fuggire davvero.

Come si sente in Europa? Crede che esista una “russofobia”?

La “russofobia” è forse l’elemento più importante della narrativa del Cremlino. Che continua giornalmente a ripetere attraverso i suoi media che in Occidente tutti odiano i russi e che quindi si deve rimanere in Russia e sostenere Putin. Ogni azione che all’estero possa dar anche minimamente ragione a questa narrativa è un potente aiuto alla propaganda di Mosca.

Le pare che la propaganda russa riesca a penetrare in Europa?

Sì, soprattutto attraverso i social. La gente comincia ad avere dubbi. Sento molti commenti negativi da parte della gente sull’America. Che viene sempre più spesso tacciata di essere l’unico beneficiario della guerra in corso. È un successo per i troll russi. Per i quali sono proprio gli Usa l’argomento più battuto. Fanno leva sull’anti-americanismo che è sempre esistito in Paesi come la Francia, o la Germania…

Anche l’Italia, se per questo. Comunque, Putin non sarà per sempre. Cosa dovrebbe fare, l’Occidente per il futuro della Russia?

Il futuro della Russia dipende dall’Ucraina. L’Occidente deve continuare a sostenere in tutti i modi Kyiv. Solo se l’Ucraina vincerà la Russia potrà tornare a muoversi verso la democrazia e la libertà. Il processo potrebbe essere lungo e comportare addirittura una guerra civile, vista la lotta già esistente fra gruppi di potere e vista la presenza di eserciti privati che — come ha dimostrato il tentativo della Wagner — vogliono dire la loro. Ma sarà un processo inarrestabile. Oggi, il destino del mio Paese si decide sul campo di battaglia. E solo la sconfitta può renderlo migliore.

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