Lockdown Shanghai, italiani a Fanpage.it: “Così hanno chiuso una città da 26 milioni di abitanti”
"Qui non stiamo paragonando Roma a Shanghai. Stiamo paragonando Roma con mezza Italia". Per capire il pesante lockdown imposto dalla Cina alla megalopoli di Shanghai bisogna capire le dimensioni della città: 26 milioni di abitanti, quasi la metà di tutto il nostro Paese. Per un numero di casi di contagio da Covid-19 che, in questi giorni, ufficialmente, supera di poco le quattromila unità. In Italia sfioriamo le 50mila. Eppure lì dall'inizio di aprile è tutto chiuso. E qualcuno è bloccato in casa perfino dal 18 marzo. "Io non esco di casa da quella data…", racconta a Fanpage.it Cristina Corsini, napoletana d'origine, presidente dell'associazione Italiani a Shanghai, la città in cui vive e lavora da otto anni.
I centri di isolamento
Corsini parla da una stanza assolata, ma lei esce di casa da quasi due mesi solo per andare a fare il tampone e verificare di essere ancora negativa al coronavirus. Qualora dovesse, un giorno, essere scoperta positiva, potrebbe dovere andare in uno dei centri di isolamento centralizzati messi in piedi dal governo cinese: centri congressi, palazzetti dello sport, centri fieristici in cui migliaia di persone, tutte pauci o asintomatiche, si ritrovano in attesa di un doppio tampone negativo, che permetterà poi loro di fare un'altra fase di isolamento in albergo e, infine, rientrare a casa.
"Non si può capire questo posto se non si fanno i conti con due cose: la cultura orientale e i numeri", dice accorato Giampaolo De Santis, chef e ristoratore romano, in Cina da sette anni dove ha aperto prima una catena di pizzerie e adesso il secondo ristorante. "Le misure che sono state prese dal governo della città sono necessarie per rispettare la strategia che qui è stata decisa: contagi zero. A quello bisogna arrivare. Ma siccome siamo così tanti è difficile senza essere drastici". De Santis non ha paura di dirlo: "Le notizie sono state spettacolarizzate molto, la situazione non è tragica com'è stata dipinta". Come lui la pensano tanti italiani, che raccontano le loro storie sulla pagina Facebook Ve la do io la Cina della giornalista Ambra Schillirò, anche lei a Shanghai.
Il sistema dei condomini
Il cuore dell'organizzazione della difesa dalla pandemia è affidata ai compound: i condomini, in pratica. Dentro a ciascun compound, a Shanghai, possono esserci decine di grattacieli. Facilmente si arriva a diecimila persone per compound. E ciascuno di questi si è organizzato per rispettare le regole date dal sindaco, ma anche dai singoli amministratori. "I primi giorni in cui hanno chiuso tutto, è vero, ci sono stati problemi con l'approvvigionamento del cibo – spiega De Santis – Ma saranno stati un paio di giorni di difficoltà, non di più. Perché anche la grande distribuzione è chiusa e i lavoratori sono in casa. Il governo ha dovuto organizzarsi con l'esercito e le altre strutture pubbliche, e poi si sono dovute organizzare le spese collettive".
Migliaia di vicini di casa che ordinano la spesa tutti insieme per poi vedersela recapitata già nei pacchetti. "La cosa che è stata più richiesta?", ride Corsini, che con la sua associazione ha organizzato spedizioni di alimenti italiani. "La Nutella, più ancora della pizza. Forse perché c'è bisogno di un antidepressivo in barattolo". Al di là delle battute, però, il racconto che viene fuori non è più quello di una tragedia: "È il primo vero lockdown che Shanghai sta sperimentando – aggiunge Corsini – Durante la prima ondata si poteva uscire per fare la spesa o andare a correre. Stavolta no". Stavolta ciascun cittadino deve fare dei test rapidi a casa, registrare quotidianamente i risultati su un'app e poi sottoporsi a quelli del condominio.
Verso la fine del lockdown
Adesso che i numeri dei contagi stanno scendendo, c'è perfino la speranza che, in caso di positività accertata, si possa rimanere nella propria casa. "Fino a pochi giorni fa i figli venivano separati dalle madri e dai padri, per essere portati in centri appositi. Nessuno vorrebbe una cosa del genere, ci sono state moltissime proteste, anche delle ambasciate di tutta Europa, e adesso questa regola è cambiata", commenta la presidente dell'associazione nostrana. "Ultimamente sta capitando che ti lasciano a casa tua – interviene De Santis -, la sigillano e poi ti affidano una persona che si prenda cura di te e provveda alle tue necessità".
Nel frattempo, però, la città resta ferma. Gli affitti dei locali in immobili pubblici sono congelati, i lavoratori dipendenti percepiscono solo il salario minimo sindacale e per le enormi strade non si vede quasi nessuno. Anche le proteste di qualche settimana fa – le pentole sbattute sui balconi di sera, contro la chiusura generale – si sono fermate. "È notizia di questi giorni che stanno installando novemila chioschi in giro per la città – conferma Corsini – Saranno dei piccoli container, dai quali passeranno solo le braccia dell'operatore, dove si potranno fare i tamponi per scovare il Covid-19 anche in mezzo alla strada. È un segnale: significa che si stanno preparando a riaprire, controllando la popolazione a tappeto".