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Guerra in Ucraina

“L’Occidente è già in guerra con la Russia di Putin. E durerà a lungo”: l’analisi dello storico Figes

L’intervista di Fanpage.it a Orlando Figes, uno dei maggiori specialisti dei fatti storici e della cultura russa: “Siamo già in guerra con la Russia, questa è la realtà. Una guerra di lungo termine, ‘fredda’ e ‘calda’ allo stesso tempo. Guerra ‘ibrida’. Il destino della guerra in Ucraina e della stessa Nato dipenderà in buona parte da chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti”.
A cura di Riccardo Amati
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Nuove aggressioni della Russia a Stati confinanti "sono una possibilità", anche se la retorica della Nato al momento è solo "una forma di deterrenza" nei confronti di Mosca e non ancora la preparazione al peggio. Intanto, non ci resta che abituarci al fatto di essere in guerra: "Il conflitto di Putin con l’Occidente è in atto e durerà quanto Putin e il putinismo". Poi, ci vorrà ancora molto tempo per la "deputinizzazione dei russi. E intanto il meglio del Paese sarà andato perduto”.

Il realismo dello scienziato e la malinconia da innamorato di una Russia che fugge via dall’Europa convivono nella visione di Orlando Figes sui fatti correnti e sulle loro radici nella Storia.

L’autore di Natasha’s Dance (London, 2003) e del recente Storia della Russia – Mito e potere da Vladimir il Grande a Vladimir Putin, edito da Mondadori, è considerato uno dei maggiori specialisti dei fatti storici e della cultura del più grande Paese del mondo. È professore emerito al Birkbeck College dell’Università di Londra. Fanpage.it lo ha raggiunto in video conferenza nella sua casa londinese.

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Professor Figes, la Nato teme una guerra totale con la Russia di Putin entro i prossimi vent’anni. E prepara un’esercitazione con 90mila soldati, la più grande da parecchio tempo. Realismo o eccesso di ansia?

"In questo momento sono solo parole. Il destino della guerra in Ucraina e della stessa Nato dipenderà in buona parte da chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. Se vincesse Trump, non ci sarebbero più finanziamenti americani per l’Ucraina e forse nemmeno per la Nato. Quindi, ho il sospetto che questa narrativa sia soprattutto deterrenza nei confronti della Russia. Che sta diventando davvero pericolosa. Gli ucraini hanno ormai evidenti problemi di munizionamento e di personale. Un collasso delle loro difese entro quest’anno, forse anche prima delle elezioni negli Usa, è diventato probabile".

Se la questione in Ucraina si chiudesse con qualche vantaggio per Putin, lui si fermerebbe? O ci sarebbero altre aggressioni?

"Fintanto che Putin e il putinismo resteranno al potere ci sarà sempre un conflitto tra la Russia e i suoi alleati, in particolare Iran e Cina, e l’alleanza occidentale. Siamo già in guerra con la Russia, questa è la realtà. Una guerra di lungo termine, ‘fredda’ e ‘calda’ allo stesso tempo. Guerra ‘ibrida’. Comprende la propaganda e i finanziamenti di Mosca ai movimenti di estrema destra per destabilizzare le democrazie e le alleanze. Ma include veri e propri scontri militari e guerre per procura".

Un attacco della Russia a uno dei Paesi baltici le pare un’ipotesi realistica?

"Non mi sento certo di escluderla. È una possibilità. Una minaccia che non può esser presa sotto gamba. Anche perché Putin è imprevedibile. Razionalmente, dubito che si lancerà in un’avventura simile, visto che le sue forze armate in due anni non sono riuscite nemmeno a conquistare l’Ucraina. Ma certo i Paesi baltici hanno tutte le ragioni per essere molto preoccupati".

Putin è sincero quando dice che vorrebbe negoziare?

"Sincero o meno, le sue parole non possono esser prese sul serio. Perché nessun cessate il fuoco o armistizio con Putin varrebbe la carta su cui è scritto. Il regime russo utilizzerà ogni pausa nelle ostilità per preparare una nuova offensiva. Anche se si arrivasse a un trattato di pace che assicuri alla Russia le quattro regioni che ha formalmente annesso, non sarebbe la fine dei giochi. Non appena gli convenisse, Putin cercherebbe di nuovo di conquistare o distruggere tutta l’Ucraina".

Qual’è la relazione tra il regime di Putin e la verità?

"La verità il regime di Putin se la inventa. Come faceva il regime di Stalin. È riuscito a persuadere la maggioranza della popolazione che non è stato il Cremlino ma l’Occidente a iniziare la guerra. Forse Putin si è autoconvinto lui stesso di ciò. Ma si tratta di una cinica manipolazione della Storia. È l’ultimo della lunga serie di despoti e dittatori di Mosca che hanno manipolato fatti storici per il loro interesse".

A Putin piace la Storia.

"Oh sì. Molto. E ha una visione tutta imperialista della storia russa. Nella quale i fatti sono reinventati per soddisfare i bisogni ideologici del regime. Stalin si comportava allo stesso modo: ordinava ai suoi storici di scrivere cose in linea con la propaganda e le politiche del Cremlino".

La storia della Russia è circolare? Si torna sempre all’autoritarismo o al totalitarismo?

"Esiste una ciclicità. Ogni volta che vengono concesse libertà c’è un problema a stabilirle istituzionalmente. E da questo nasce la dittatura. Ma non è detto che debba essere sempre così. Nella storia russa ci sono movimenti costituzionali e liberali, rivolte anti autoritarie, rivoluzioni. La difficoltà è quella di creare una base istituzionale per le libertà politiche e creare una società civile. Molta della colpa è, ancora una volta, di Stalin: la collettivizzazione distrusse ogni iniziativa civica. E oggi il potere è di nuovo nelle mani di possidenti sotto il patronato e la protezione del Cremlino (una caratteristica presente nella storia russa fin dai tempi della dominazione mongola e che produsse il sistema del mestnichestvo, il posizionamento sociale dei boiari, ndr). Gli istituti dati per scontati in ogni democrazia — come sindacati, partiti politici, associazioni dei consumatori — non si sono mai sviluppati in modo completo".

La Russia si è auto isolata dall’Occidente. Può tornare a essere europea?

"Non sotto il regime attuale e non per molto tempo, se per Europa intendiamo l'insieme di valori, principi e istituzioni che associamo all’Ue. Non è solo questione di sbarazzarsi del regime di Putin. Anche se perdessero la guerra e il regime crollasse, i russi dovrebbero ancora liberarsi del Putin che è dentro di loro. Dovrebbero ‘deputinizzarsi’. Al momento, l’unica cosa che sembra tenerli uniti è il mito secondo cui la Russia è definita dalle sue vittorie militari. Ogni volta che Putin va in guerra, la sua popolarità aumenta. È l'unica cosa che sembra tenere insieme la Russia e i russi come identità nazionale. Ebbene, dovranno trovare un altro modo per sentirsi uniti".

Putin ha cambiato la Russia? O la Russia e i russi son sempre gli stessi? Secondo alcuni sociologi sotto Putin vive ancora, e a volte prospera,  l’ ‘homo sovieticus’…

"La teoria dell’ ‘homo sovieticus’ può essere un modo di guardare al problema della cultura politica in Russia. E di spiegare perché così tanti russi credono alla propaganda di Putin. La lunga esperienza sovietica rende la gente riluttante a porsi domande su quel che dicono le autorità. Normale, quando lanci sulla società ripetute ondate di terrore. E anche oggi, cos’è questa guerra se non terrore? È anche una guerra contro la società russa. Il cittadino medio, allora, evita di pensare troppo alla situazione e cerca solo di non mettersi nei guai. Di andare avanti con la sua vita di ogni giorno. Come i cittadini dei tempi sovietici, appunto".

C’è molto conformismo…

"Sì, soprattutto chi è cresciuto negli anni ’60 o ’70 è stato educato al conformismo. I genitori avevano vissuto sotto Stalin e insegnavano ai figli a non crearsi problemi con le autorità. Volevano proteggerli. Una mentalità difficile da cambiare. Ci vorrebbero anni e un diverso sistema politico".

Che succederebbe se Putin morisse oggi?

"Sarebbe rimpiazzato da un comitato di emergenza del suo ‘circo magico’. Un po’ come accadde per Stalin. Ci sarebbe un conflitto su chi mettere al vertice. Ma il regime rimarrebbe simile a se stesso. Sono tutti troppo compromessi. Hanno tutti le mani sporche di sangue. Chi si opponesse e voltasse le spalle per creare qualcosa di nuovo verrebbe eliminato. Anche la guerra in Ucraina continuerebbe. Magari con obiettivi ridimensionati. Ma, in generale, non credo ci sarebbe un fondamentale cambiamento delle posizioni russe".

Nel suo ultimo libro ha scritto che se la guerra non finirà presto verrà distrutto “il meglio della Russia”. Qual’è questo “meglio” così a rischio?

"La parte di Russia che condivide i valori europei e che ha contribuito così tanto alla nostra civilizzazione. Oggi è rappresentata soprattutto dai giovani professionisti, dal settore creativo della società, da chi ha viaggiato e non crede alla omofoba propaganda dell’odio scatenata da Putin. Non è la maggior parte della popolazione. Ma sono forze potenzialmente in grado di creare dinamicità sociale e riaprire la Russia all’Occidente. Purtroppo, molti si sono ormai rifugiati all’estero. Altri languiscono in prigione o sono troppo spaventati dalla repressione. Tutte persone con cui dobbiamo assolutamente mantenere rapporti stretti, per creare ponti nella fortunata eventualità di un crollo del regime e di uno sviluppo diverso della Russia. Per questo sono contrario alle restrizioni sui visti".

Quali sono le responsabilità dell’Occidente? Forse abbiamo perso l’occasione per re-immaginare il mondo quando non finanziammo le riforme di Gorbachev? E quanto pesa davvero l’allargamento della Nato a Est?

"La ‘Casa comune europea’ proposta da Gorbachev poteva diventare un sistema di sicurezza capace di accontentare tutti, se l’avessimo presa sul serio. E certo il primo allargamento della Nato negli anni ’90 fu inutilmente provocatorio, se non altro perché non c’era più un nemico. Ma la vera responsabilità fu che, dopo la dissoluzione dell’Urss, l’Occidente guardò alla Russia come al perpetratore del sistema sovietico, e alle altre nazioni dell’impero dissolto come alle vittime. Considerò la Russia ancora una minaccia. Così aiutò gli atri Stati del blocco sovietico a creare economie di mercato e sviluppare istituzioni democratiche ma fu molto più cauto nei confronti della Federazione Russa. Continuammo a pensare a Mosca come al bullo del quartiere. Non volemmo relazioni alla pari. Non capimmo che la Russia era la prima vittima del sistema sovietico. Che l’aveva letteralmente devastata".

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