La Russia è terra di scacchisti, non di scommettitori. Di gente abituata a ragionare dieci mosse avanti, che raramente bluffa. Dobbiamo partire da qua per comprendere il senso profondo della mossa di Vladimir Putin, e della sua decisione di riconoscere l’indipendenza delle Repubbliche filorusse di Donetsk e Lugansk. Dalla consapevolezza che non si tratti di un azzardo, ma di una mossa di cui sono state ponderate tutte le possibili conseguenze.
La timida risposta di Usa ed Europa è già un primo indizio di quanto Mosca ci abbia visto giusto. Nessun invio di truppe per aiutare l’Ucraina a liberare il Donbass dall’invasione russa. Soprattutto, sanzioni economiche che si annunciano all’acqua di rose, visto che buona parte dell’Europa – e della ripresa europea post-Covid – dipende dal gas proveniente dalla Russia. E che, particolare non meno irrilevante, dalle parti di Washington tutto vogliono tranne che Mosca finisca sotto l’ala protettiva della Cina di Xi Jinping, la vera grande potenza con cui gli Usa si contendono la supremazia globale.
Se Vladimir Putin voleva mostrare al mondo il declino e l’irrilevanza dell’Occidente, insomma, ci è riuscito benissimo. In un colpo solo ha mostrato quanto siamo interdipendenti economicamente, quanto poco le nostre opinioni pubbliche siano refrattarie a inviare soldati in giro per il mondo e quanto lo stesso concetto di Occidente sia lontanissimo dall’essere un blocco tetragono di valori e interessi condivisi, quanto piuttosto un indistinto patchwork di interessi diversi, sovente contrapposti.
Qualunque cosa accada, stamattina ci siamo svegliati in un mondo sempre più diverso da quello che ci raccontiamo. Un mondo in cui la Russia si prende mezza Ucraina senza colpo ferire, è un mondo in cui domani la Cina potrebbe prendersi Taiwan senza colpo ferire, come del resto si è già presa Hong Kong senza colpo ferire, tanto per fare un esempio. Un mondo dove nemmeno un anno fa i Taliban sono tornati trionfali a Kabul senza colpo ferire, senza andare troppo lontano.
Intendiamoci: non rimpiangiamo certo l’era dell’impero americano, ma dobbiamo prendere atto – ancora una volta – che quel mondo è finito. Che ci sono potenze regionali che agiscono in spregio ai valori delle liberaldemocrazie occidentali – e il Putin zarista e imperialista di ieri ne è esempio paradigmatico. Che è più facile che l’autocrazia contamini le democrazie occidentali che il contrario. Che non abbiamo più modo di invertire questa tendenza con le armi del soft power e dell’economia.
Capirlo è già un primo passo. Agire di conseguenza, una sfida che mette i brividi solo a pensarci.