L’infermiere MSF italiano in missione a Gaza: “Situazione catastrofica. I civili non sanno dove fuggire”
"A Gaza l'emergenza è perenne. Non mi sono mai trovato in una situazione del genere. Ho vissuto altri contesti di guerra, ma non avevo mai visto così tanti bambini uccisi o feriti semplicemente perché non hanno un luogo in cui scappare. Non abbiamo più parole per denunciare quanto la situazione a Gaza sia catastrofica. Serve un cessate il fuoco immediato e incondizionato". A dirlo, intervistato da Fanpage.it, Enrico Vallaperta, coordinatore medico di Medici Senza Frontiere (MSF) a Gaza e da pochi giorni rientrato in Italia dopo aver trascorso un mese all'interno dell'ospedale di Al-Aqsa, nel cuore dell'enclave palestinese.
Vallaperta è un infermiere di terapia intensiva che lavora con MSF dal 2017. Nella sua carriera ha partecipato a diverse missioni in Sudan – dove si appresta a tornare – Iraq, Siria, Kenya e Ucraina, dove ha coordinato le attività del primo treno medico di MSF per evacuare i feriti delle regioni orientali del Paese. Nella sua vita ha curato centinaia di vittime di guerra, ma mai si era trovato di fronte a una situazione apocalittica come quella della Striscia di Gaza, dove le bombe israeliane piovono incessantemente ormai da oltre tre mesi su una popolazione ridotta allo stremo, senza ripari, né cibo, acqua o medicinali. Vallaperta ci risponde da Verona, dove è tornato da qualche giorno in attesa di ripartire per Khartum, Sudan, per un'altra missione di Medici Senza Frontiere.
Dottor Vallaperta, quando ha raggiunto la Striscia di Gaza?
Sono entrato nella Striscia di Gaza il 18 dicembre e ne sono uscito il 19 gennaio. In questo mese ho dovuto organizzare le attività di Medici Senza Frontiere soprattutto nel centro della Striscia, all'interno dell'ospedale MSF di Al-Aqsa.
Cosa si è trovato davanti, una volta oltrepassato il valico di Rafah il 18 dicembre del 2023?
Il 18 dicembre l'area di Rafah era sovraffollata, con decine di migliaia di persone che si spostavano prevalentemente a piedi o su carretti trainati da muli. Rispetto alla volta precedente in cui sono stato nella Striscia, il 2021, ho notato la quasi totale assenza di automobili. Poi ho raggiunto il centro di Gaza, dove Medici Senza Frontiere gestisce il suo progetto di assistenza sanitaria all'ospedale di Al-Aqsa: da qui siamo stati costretti ad evacuare il 7 gennaio perché non c'erano più le condizioni di sicurezza minime per rimanere; sono tornato a Rafah e ho trovato una situazione ulteriormente peggiorata, la città straripava di profughi di guerra palestinesi, non c'era più neppure un metro di terra libero.
Che tipo di attività ha svolto nell'ospedale MSF?
Medici Senza Frontiere svolgeva attività di gestione post-operatoria nell'ospedale di Al-Aqsa, che dall'inizio della guerra ha visto triplicare la propria capienza passando da 240 a oltre 700 posti letto, esclusivamente di pazienti chirurgici operati per ferite di guerra. La struttura era decisamente sovraffollata, non c'era spazio per gestire i pazienti, con personale sanitario largamente sottodimensionato rispetto alle esigenze reali. Come MSF ci siamo occupati soprattutto della gestione post-operatoria dei malati, quindi dalla cura di ferite complesse alla fisioterapia. Le dimissioni dei guariti erano sostanzialmente impossibili, perché le persone non avevano più una casa in cui tornare e spesso consideravano il nostro ospedale il luogo meno insicuro in cui rimanere. Per questo all'ospedale di Al-Aqsa c'erano migliaia di rifugiati, persone che non avevano bisogno di cure mediche ma consideravano la nostra struttura sanitaria un luogo in cui cercare riparo.
Come coordinatore delle attività mediche di MSF che situazione hai trovato?
Quello che mi ha colpito rispetto ad altri contesti di guerra in cui sono stato è la quantità di donne e bambini coinvolti, tutte persone che non hanno un luogo in cui scappare e quindi vengono più facilmente ferite o uccise.
C'è una storia che le è rimasta particolarmente impressa ?
Non posso non pensare al figlio di sei anni di un autista di MSF. Circa un mese fa la sua casa è stata bombardata. Il bambino dormiva e si è risvegliato in ospedale dopo alcuni giorni. Purtroppo una parte del soffitto è crollata e lo ha colpito alla testa. Dopo un mese, non riesce ancora a muovere un lato del corpo. Al momento riesce a camminare ma non ancora a parlare e non sarà più in grado di farlo. Tuttavia parla con il sorriso e questo suo nuovo modo di esprimersi è qualcosa che mi ha toccato nel profondo. Vedi che vorrebbe parlare, vedi che vorrebbe ritornare a una vita normale, ma purtroppo non può. E tutto ciò che fa è sorridere. La sua è una storia che mi ha spezzato il cuore.
È vero, come sostiene Israele, che negli ospedali si nascondono armi e miliziani di Hamas?
Nell'ospedale di Al-Aqsa, quello di Medici Senza Frontiere, non ho mai visto né armi né tunnel di Hamas.
La situazione è drammatica anche per quanto concerne gli aiuti umanitari: pare che Israele non faccia entrare nessun oggetto metallico. Ma come si fa a curare i pazienti senza bombole d’ossigeno, lettighe, bisturi e quant’altro?
La situazione a Rafah è disastrosa: ci sono due milioni di persone in pochi chilometri quadrati, e in un'area in cui normalmente vivono non più di 200mila palestinesi. In questo quadro sarebbe impossibile soddisfare i bisogni primari persino se tutto funzionasse alla perfezione, figuriamoci sotto le bombe. Dal valico entrano un centinaio di camion al giorno, praticamente nulla. Israele non lascia passare nessun dispositivo medico che contenga batterie, ma neppure infrastrutture logistiche come le tende necessarie alla costruzione di un ospedale da campo. Persino i teli di plastica, che servirebbero a realizzate dei rifugi, vengono bloccati.
Perché Israele non lascia passare neppure materiale sanitario?
Non sono la persona giusta che possa rispondere a questa domanda: bisognerebbe chiederlo a Israele. Quello che so è che vi è il timore che i palestinesi possano utilizzare parte degli aiuti per costruire armi.
Israele è a processo alla Corte Internazionale di Giustizia e nel giro di pochi giorni i giudici dovrebbero prendere una decisione formale: cosa si augura?
L'unica decisione che può avere un reale impatto sulla situazione è l'imposizione di un cessate il fuoco incondizionato e immediato che dia modo di progettare una risposta umanitaria degna di questo nome. Quello che si sta facendo in questi mesi non ha niente a che fare con un'azione umanitaria, che è tale solo se riesce a soddisfare i bisogni minimi delle persone dando loro tende, cibo, acqua e medicinali. Niente di tutto ciò ora sta avvenendo, perché non ci sono né il materiale, né gli spazi, né condizioni di sicurezza adeguate.
Nella sua carriere da infermiere di Medici Senza Frontiere ha lavorato in diversi scenari di guerra: cosa distingue il conflitto a Gaza da tutti gli altri a cui ha assistito?
Prendiamo la guerra in Ucraina: nelle prime settimane i combattimenti hanno coinvolto anche molti civili, ma ben presto sono stati fatti evacuare e i feriti, oggi, sono prevalentemente uomini adulti e persone che sono volute o dovute restare nelle aree teatro dei combattimenti. A Gaza non c'è nessun luogo in cui fuggire. Per questo il numero di donne e bambini uccisi, feriti e mutilati è estremamente più alto che in tutte le altre guerre a cui ho assistito in tanti anni di lavoro. La situazione è semplicemente catastrofica: non ci sono altri aggettivi.