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Libia, il racconto di Pollicardo e Calcagno: “Chiusi al buio, picchiati e senza cibo”

I due operai della Bonatti hanno raccontato i dettagli della loro prigionia. Non hanno mai visto i carcerieri in faccia, sempre coperti da un cappuccio. Li hanno implorati di non venderli, e si sono sentiti rispondere che “sono bravi musulmani e quindi non uccidono gli infedeli” .
A cura di Claudia Torrisi
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Gino Pollicardo e Filippo Calcagno sono rientrati in Italia

Dopo quasi otto mesi di prigionia in Libia Gino Pollicardo e Filippo Calcagno sono rientrati ieri mattina intorno alle 5 a Roma. I due ex ostaggi sono atterrati a Ciampino, dopo essere partiti a bordo di un aereo speciale alle 3:30 circa dall'aeroporto di Mitiga a Tripoli. In sette ore di audizione di fronte al pm della procura di Roma Sergio Colaiocco e ai carabinieri del Ros, Pollicardo e Calcagno hanno raccontato dettagli e particolari della prigionia, iniziata il 20 luglio. Carlo Bonini su Repubblica riporta questa mattina alcuni passi della deposizione, da cui emerge "una prima verità".

I due operai della Bonatti hanno spiegato di aver trascorso gli otto mesi insieme a Salvatore Failla e Fausto Piano – gli ostaggi rimasti uccisi – in due case prigione: una durante i mesi estivi fino a novembre, non lontano dal luogo del rapimento, e un'altra alla periferia di Sabrata. I quattro sarebbero rimasti sempre insieme, fino alla morte di Failla e Piano, picchiati e malnutrini dai sequestratori. Il rapimento è avvenuto il 20 luglio 2015, al rientro da una vacanza in Italia. Pollicardo, Calcagno, Failla e Piano, atterrati a all'aeroporto di Gerba, in Tunisia, sono stati prelevati da un'auto della Bonatti per essere trasferiti allo stabilimento Eni di Mellitah.

"È l'auto messa a disposizione dall'azienda", spiegano. Come era "prassi per i trasferimenti", aggiungono. Nonostante il divieto del governo italiano degli spostamenti via terra. La macchina viene fermata poco dopo aver attraversato il confine libico. Affiancata in un check-point mobile da uomini armati che danno inizio all'incubo.

I quattro operai hanno raccontato di essere stati picchiati costantemente: calci, pugni, colpi con il calcio del fucile. Per tutta la durata della prigionia hanno indossato delle tute di club calcistici, gli è stato impedito di radersi e sono stati confinati in un unico spazio chiuso. Una volta al giorno – e non sempre – gli è concesso un po' di tempo per i loro bisogni e un po' di cibo – per lo più pane raffermo, pasta e legumi. Nella seconda prigione, quella alla periferia di Sabrata, potevano fare pochi passi indossando un cappuccio per raggiungere un bagno, fuori dalla stanza scarsamente illuminata dove erano relegati. Nel loro racconto, Pollicardo e Calcagno hanno spiegato di non aver mai visto in faccia i carcerieri – sempre coperti – e di non saper dire esattamente quanti fossero. Li hanno implorati di non venderli, e si sono sentiti rispondere che "sono bravi musulmani e quindi non uccidono gli infedeli" .

Mercoledì scorso i carcerieri hanno prelevato Failla e Piano senza dare alcuna spiegazione, li hanno portati in una terza casa a 35 chilometri a sud est di Sabrata, dove, nella notte, hanno trovato la morte. Pollicardo e Piano, dopo un'intera giornata senza cibo nè possibilità di andare al bagno, hanno raccontato di essersi resti conto di "essere stati abbandonati". Così all'alba del giorno dopo hanno sfondato la porta e si sono ritrovati in strada, dove la gente "li ha consegnati alla milizia". I due operai hanno provato anche a spiegare la circostanza della foto con il biglietto datato erroneamente 5 marzo: "Avevamo tenuto il conto dei giorni, ma avevamo dimenticato che il 2016 è anno bisestile. Avevamo saltato il 29 febbraio. Per noi era il 5 marzo". Dell'uccisione dei compagni di prigionia, hanno spiegato, l'hanno saputo solo ieri, dopo la liberazione.

I due tecnici sono rientrati nelle loro case nella tarda serata di ieri. Calcagno è tornato a Pizza Armerina, in provincia di Enna, dove, accolto da un lungo applauso, ha ricordato tra le lacrime i colleghi uccisi. Pollicardo, invece, è arrivato nel borgo di Monterosso, alle Cinque Terre, atteso da un gruppo di parenti e amici.

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