Il cessate il fuoco è servito semplicemente ad armarsi. Il bombardamento è iniziato tra le 13:20 e alle 13:25 e si è avvertito distintamente in tutta la zona del porto. A lanciarlo, l'esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar, che, sganciato l’ultimo razzo intorno alle 15:30, ha poi rivendicato l’azione. L’obiettivo pare che fosse un cargo turco attraccato questa mattina nel porto di Tripoli e carico di armi e munizioni, ma qualcuno dice che in realtà è stato colpito un magazzino.
Più di quindici i razzi lanciati a una distanza ravvicinatissima dalla strada che collega il porto e sulla quale viaggiano automobili di civili. Come mostra il video girato da un palazzo distante solo 1 chilometro e mezzo dagli attacchi, appena cade il primo razzo qualcuno fa inversione pur di allontanarsi subito dal pericolo. Altri proseguono come se nulla fosse, tale è l'assuefazione agli attacchi di Haftar, iniziati lo scorso 4 aprile. Una proxy war quella in atto da mesi in Libia, ovvero due campi distanti una quindicina di chilometri e sostenuti da fazioni differenti. Da una parte Haftar, sostenuto dall'Arabia Saudita, dall'Egitto, dalla Russia e (sia pure velatamente) dalla Francia, è accreditato come colui che combatte il terrorismo in Libia. Dall'altra parte, Fayez al- Sarraj si fa promotore della politicizzazione dell'Islam e del neottomanesimo perseguito dalla Turchia e dal Qatar. Una situazione che non evolve, con al centro gli abitanti di Tripoli: sfollati, esausti, assuefatti.
L’offensiva di Haftar è in corso ormai da mesi sulla capitale libica, ma il porto tripolino era rimasto finora sempre aperto per cibo e altre importazioni. Dell’intera città, la zona portuale era anzi l’unica a conservare una parvenza di normalità, almeno fino a oggi. Intanto l’Unione europea, dopo avere messo in stand-by fino a marzo 2020 la missione Sophia, ha raggiunto un accordo sulla Libia e lancerà a breve una nuova missione nelle acque del Mediterraneo: navi e aerei militari pattuglieranno i confini libici per evitare che entrino armi e munizioni nel Paese.
L'embargo delle armi
Si tratterà a tutti gli effetti di un embargo delle armi in Libia, per il quale, dopo estenuanti trattative, è stato trovato un accordo tra tutti gli Stati membri dell’Europa, inclusa l’Austria, preoccupata che la presenza di navi battenti di bandiera europea potesse incentivare i migranti a tentare la traversata del Mediterraneo con la speranza di essere recuperati e portati in Europa non più solo dalle ong ma dalle navi di pattuglia adibite al pattugliamento delle armi. “Se vogliamo davvero aiutare a imporre l'embargo, deve essere un'operazione militare e non un'operazione umanitaria” ripetevano da Vienna. “Essere lì con una missione del genere significa spalancare la strada al cessate il fuoco. Bloccare l'ingresso delle armi sarà fondamentale, così riusciremo a dare il via a un processo politico”, dice il Ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio. “L'Italia” — aggiunge il titolare della Farnesina — “è stata ascoltata perché avevamo detto che è inutile pattugliare la costa ovest, intercettando le rotte dei migranti, perché lì lavoriamo con la Guardia costiera libica”.
Intanto la Guardia costiera libica continua a intercettare i migranti e a mandarli nei centri di detenzione libici che, stando anche alle parole del Ministro degli Interni italiano Luciana Lamorgese “vanno svuotati attraverso corridoi umanitari”. Per farlo, però, prima è necessario accordarsi con l’Unione Europea e modificare i contenuti del Memorandum of Understanding siglato nel 2017 tra l’allora premier italiano Paolo Gentiloni e il comandante libico Fayez al Serraj. Memorandum di cui l’Italia, alle prese con una campagna elettorale permanente, per due anni si è scordata di modificare, nonostante le evidenti violazioni di diritti umani che comportava e tuttora comporta.
La nuova bozza del memorandum
Il Memorandum prevede una validità triennale e un suo rinnovo tacito alla scadenza – il 2 febbraio 2020 – per un periodo equivalente, salvo il parere contrario di una delle parti, da esprimere almeno tre mesi prima. Il 12 febbraio 2020, da fonti di stampa, è stata pubblica la bozza di rinegoziazione del testo inviato dal Governo italiano alla controparte libica: testo che, a una prima lettura, appare sconcertante, perché, al di là dei proclami, quasi nulla è cambiato rispetto agli attuali accordi. Alla voce dell’art. 1, lett. c) della bozza si legge infatti che l’Italia continuerà a fornire supporto tecnico e tecnologico al Governo di Accordo nazionale libico – come ha già fatto in passato con i finanziamenti stanziati all’interno del c. d. “Fondo Africa” – per “prevenire e contrastare l’immigrazione irregolare e a svolgere attività di ricerca e salvataggio in mare”.
Tradotto, significa che l’Italia vuole ancora fornire motovedette e soldi pubblici alla Guardia costiera libica nonostante le sue evidenti implicazioni con i trafficanti di esseri umani.