L’ex diplomatico russo Baunov a Fanpage.it: “Vi spiego perché Trump e Putin si capiscono così bene”

Vladimir Putin "potrebbe accettare un cessate il fuoco temporaneo e parziale in Ucraina". Ma al Cremlino "non si aspettavano che Trump agisse in modo così favorevole alla Russia". E potrebbero montarsi la testa, "esagerando con le richieste e allontanando così la prospettiva di una tregua". Alexander Baunov, ex diplomatico russo, oggi accademico in esilio, è quasi ottimista. Non solo sulla possibilità che in Ucraina le armi tacciano, almeno per un po’. Spera che la sua Russia possa un giorno diventare un Paese "normale", affrancandosi dall’autoritarismo e dai totalitarismi che ne hanno segnato la storia.
Il suo libro intitolato La fine del regime, appena pubblicato in Italia da Silvio Berlusconi editore, ha avuto un inatteso successo in Russia. I censori di corte non hanno potuto proibirlo perché nell’edizione originale non si cita mai Vladimir Putin e nemmeno la Russia. Il libro racconta solo la caduta dei regimi di Franco in Spagna, di Salazar in Portogallo e dei colonnelli in Grecia, una cinquantina di anni fa. Dietro ogni riga, però, i russi hanno potuto cogliere riferimenti alla loro situazione attuale.
Prima che ne fosse limitata la visibilità, se non la vendita, il libro è stato esposto nelle vetrine del più famoso libraio moscovita — a cento metri dal quartier generale del Fsb, erede del Kgb sovietico — accanto a una biografia di Putin: una sorta di catarsi. È stato poi portato da Oleg Orlov, premio Nobel per la pace con la sua Ong Memorial, nell’aula del tribunale che lo ha condannato. È stata la lettura preferita del politico di opposizione Ilya Yashin durante i suoi anni di galera. Il libro di Baunov in Russia è un simbolo di speranza. Chissà che non porti anche fortuna, dato che Orlov e Yashin sono oggi liberi in esilio dopo esser stati "scambiati" con spie e assassini russi ospiti delle carceri americane ed europee.
La versione italiana de La fine del regime è stata aggiornata, rendendo espliciti e argomentati i riferimenti alla Russia di Putin, ovvi per i russi. Quella che segue è l’intervista di Fanpage.it con l’autore, integrale nei contenuti e modificata nella forma per esigenze di brevità e di comprensione del testo.
Dottor Baunov, il Cremlino può accettare un cessate il fuoco in Ucraina?
"Penso che una pausa nei combattimenti sia possibile. Anche la Russia può aver interesse a un cessate il fuoco. Però il Cremlino è influenzato da quel che fa Trump. Il presidente americano sta andando oltre le aspettative più ottimistiche di Mosca sul suo operato. Questo può comportare un problema: la leadership russa, rischia di perdere il senso del limite e chiedere troppo. E allora sarebbe Kyiv a dire di no. Di fronte a una soluzione che equivarrebbe a una disfatta, gli ucraini continuerebbero a combattere. Anche a fronte di scarse possibilità di vittoria".
Fatto sta che dalla situazione sul campo, dal comportamento delle forze armate russe e da quanto riferiscono a Fanpage.it persone vicine al Cremlino, Mosca non sembra interessata a una tregua parziale che fermi droni, missili e operazioni navali…
"Siamo davanti a un paradosso: fino a poco tempo fa, la convinzione comune era che la Russia volesse una guerra lunga. Nel 2024 ha ottenuto l'iniziativa tattica e sembrava che non avrebbe mai accettato un cessate il fuoco. Aveva raggiunto il controllo sul fronte e aveva finito di militarizzare l’economia, il tempo sembrava dalla sua parte. Ma ora la situazione potrebbe cambiare".
Per via del ritorno di Trump alla Casa Bianca?
"Facendo per la Russia molto più di quanto Mosca si aspettasse, Trump ha alimentato un’inusitata soddisfazione tra le mura del Cremlino. Sta proponendo una nuova visione globale, forse per sedurre Putin: offre una gestione condivisa del mondo, un ordine internazionale che consenta alla Russia di avere più spazio, soprattutto in Europa. Questo potrebbe portare Mosca ad accettare una tregua: il conflitto in Ucraina diventerebbe un episodio locale della missione di Putin, cioè restituire grandezza alla Russia".
In che modo il rapporto con Trump può influenzare la situazione diplomatica globale?
"Trump propone una visione in cui gli Stati Uniti potrebbero ridurre il loro potere, permettendo alla Russia di guadagnare influenza. È ciò che il regime russo persegue da anni".
Ma c’è un terzo incomodo non da poco: la Cina…
"Le condizioni non sono certo quelle del bipolarismo che contraddistinse la Guerra Fredda, quando Usa e Urss erano avversari in un equilibrio di potenza. Potrebbe esserci un mondo tripolare, con la Cina. Fatto sta che oggi Trump non vede Putin come un nemico. I due condividono un’ideologia anti-liberale, anti-europea e scettica verso la difesa delle minoranze. Auspicano un "condominio" tra grandi potenze, che non si considerano avversarie".
Gli Usa ormai votano con la Russia al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Sono alleati di Mosca?
"No, non esiste un’alleanza. Ma c’è una vicinanza ideologica e personale. Trump odia le alleanze e cerca di smantellarle: ha minato la Nato, sostituito il Nafta, abbandonato l’accordo di Parigi sul clima. Ed è rimasto fuori dall’accordo commerciale del Pacifico (Trans-Pacific Parnership o Tpp, ndr). Gli obblighi multilaterali limitano la sua libertà d’azione. Preferisce trattare con gli Stati singoli".
Come Putin. Ma cos’altro attrae il businessman Trump della Russia? Che ha un’economia equivalente a quella del Canada e di 15 volte inferiore a quella dell’Unione Europea?
"Trump è attratto dalla indipendenza economica e finanziaria di Mosca dagli Usa. A differenza di altri Paesi, la Russia non chiede aiuti o sostegno".
Ma ci sono interessi in comune? Trump vuole mani libere contro la Cina. Ma la Russia sta con Pechino. Ne è sempre più dipendente…
"Trump non segue una logica tradizionale. Come Nixon negli anni ’70, vorrebbe dividere i suoi rivali. Nixon riconobbe la Cina comunista per indebolire l’Urss. Trump vuol rompere l’asse Pechino-Mosca per contenere la Cina. Ma c’è una differenza cruciale: all’epoca, Cina e Urss erano già in rotta di collisione. Oggi, invece, Russia e Cina sono quanto mai vicine. È proprio questo è l’ostacolo principale alla strategia di Trump".
Gli Usa potrebbero uscire dalla Nato?
"Quando si tratta di strategie di ampio respiro, Trump dice quello che pensa veramente. Anche se è spesso impreciso nei numeri e nei dettagli, sulle questioni strategiche è coerente. In questo, somiglia a Putin. Sono entrambi “bugiardi sinceri”. Al di là delle balle che dice via via, il ragionamento di Trump è chiaro: della Nato si può fare a meno perché sfrutta gli Stati Uniti e il loro potere economico e militare. Il suo scetticismo è sincero. Non è solo una tattica per far pagare gli alleati. Trump rifiuta ogni vincolo multilaterale. Anche qui è evidente un parallelo con Putin, da sempre scettico verso le istituzioni multilaterali che impongono alla Russia di trattare su un piano di parità con Stati più piccoli. Trump e Putin condividono questa mentalità: entrambi vedono i loro Paesi come eccezionali, superiori agli altri, non vincolabili da regole comuni".
La sbandierata lotta della Russia di Putin contro l’eccezionalismo Usa ha creato due eccezionalismi al posto di uno?
"Sì, Putin e Trump sono due “eccezionalisti”, e questo spiega perché su certi temi si capiscono così bene".
L'Europa può ancora fare qualcosa per riequilibrare la situazione ed evitare di restare schiacciata tra Stati Uniti e Russia?
"La debolezza dell'Europa è più una percezione che una realtà. Ha una popolazione più numerosa degli Stati Uniti e un’economia comparabile a quella americana e cinese. È divisa, vero. E gli Usa, allora? Oggi sono uno dei Paesi politicamente più frammentati al mondo. Il punto è che l’Europa nel XX secolo ha scelto consapevolmente di non essere più l’Europa degli imperi e ha ridotto volontariamente il suo potenziale militare. Ha deciso di delegare la sicurezza agli Stati Uniti per stabilire un equilibrio nel blocco occidentale. È stata una scelta strategica. Se l’Europa vuole riprendere in mano la sua sicurezza, deve prima di tutto smettere di considerarsi inerme. Deve capire che la sua debolezza non è strutturale, ma il risultato di decisioni prese in un contesto storico specifico".
Concretamente, cosa può fare l’Europa per la pace?
"La cosa più assurda sarebbe quella di avvicinarsi alla Russia di Putin. Ciò potrebbe davvero innescare la guerra continentale evitata per 80 anni. Peraltro, la tanto temuta “potenza militare” russa va ridimensionata: negli ultimi due anni, in Ucraina ha conquistato appena il 4% di territorio, con perdite enormi. Dal punto di vista diplomatico, l’Europa può fare molto. Serve fermezza. Putin è convinto che l’Occidente tornerà da lui. Per questo, l’Europa dovrebbe adottare la stessa strategia usata a suo tempo con la Spagna franchista: isolamento diplomatico e pressione costante. Niente concessioni".
Nel suo libro ha scelto la Spagna di Franco, la dittatura di Salazar in Portogallo e la Grecia dei colonnelli, per parlare di come finisce un regime. Ma il riferimento è al regime di Putin…
"La retorica è simile. Putin dice le stesse cose che diceva Franco. “Non c'è bisogno di cambiare, siamo troppo importanti: verranno loro da noi”. Nonostante la Spagna franchista condividesse la sicurezza militare e il capitalismo dell’Occidente, non era nella Cee né nella Nato. I Paesi europei non l'hanno mai considerata come loro pari. Niente visite di Stato a Madrid. Il messaggio era chiaro: nessun riconoscimento fino alla riforma politica e alla fine della repressione".
Pensa che la stessa logica possa essere applicata oggi con Putin?
"Sì, però alcuni leader europei oggi sono ansiosi di andare a Mosca o invitare Putin, cercando di guadagnarsi favori. Questo divide l’Europa. Che comunque ha la forza per resistere. L’Europa può essere forte e coerente, quando vuole".
Oltre a dimostrare fermezza, che altro dobbiamo fare noi europei nei confronti della Russia di Putin?
"Dopo l’invasione dell’Ucraina, milioni di russi, spesso con un alro grado di istruzione, sono emigrati. In Europa vengono considerati come sudditi del regime di Putin. Le sanzioni servono, ma si deve valutare cosa funziona e cosa no. Gli immigrati politici russi hanno difficoltà nell'aprire conti bancari nei paesi europei, per via delle sanzioni. Mi pare assurdo. E poi l’Europa dovrebbe sostenere i media indipendenti russi, che ormai possono avere la loro sede solo nei Paesi liberi ma sono cruciali per raggiungere il pubblico in patria".
Non è azzardato paragonare — come fa lei — la Russia di Putin con la Spagna, il Portogallo e la Grecia dei primi anni ’70?
"Ci sono somiglianze, e anche differenze fondamentali. Spagna, Portogallo e Grecia erano nemici ideologici dell’Occidente ma non suoi avversari militari. La Russia, invece, anche se non è più l’Urss e ha un economia di mercato, è sia un nemico ideologico che militare. E ha armi nucleari. Ma il fatto dirimente è che Spagna e Portogallo sapevano di poter contare sull’integrazione con l'Europa attraverso la democratizzazione. Alla Russia non è stato offerto un percorso simile. L'Occidente dice alla Russia di rimuovere Putin, democratizzarsi e liberare i prigionieri politici. Ma non c'è un'offerta chiara o un’alternativa, in cambio".
Crede che sia possibile una transizione in senso democratico del potere in Russia, come avvenuto in Spagna, Portogallo o Grecia?
"Nella situazione attuale è difficile per la popolazione russa credere in un cambiamento. Se l'Occidente vuole conquistare il nostro popolo, deve offrire un'alternativa chiara e attraente, non solo chiedere cambiamenti".
Quale è il messaggio del suo libro?
"Il libro esplora come i regimi autoritari possano cadere anche senza una crisi economica o una sconfitta militare. In Spagna, o in Portogallo, il regime è crollato senza che vi fossero segni evidenti di collasso. Questo può succedere anche per il regime russo. Col suo arsenale nucleare, difficilmente la Russia può esser sconfitta militarmente. La sua economia non sembra sull’orlo del disastro, e l’opposizione interna è stata eliminata. Ma anche quando i regimi sembrano stabili, la loro fine può arrivare all’improvviso".
Quali fattori potrebbero accelerare la fine del regime di Putin?
"La morte del leader o crisi inattese. Ci sono molte frustrazioni all'interno della società che potrebbero portare a un cambiamento repentino. E Putin non è immortale".
Come spiega il grande successo del suo libro in Russia?
"Mi ha sorpreso. Significa che in molti cercano la speranza di un cambiamento".
Crede che la Russia possa uscire dalla sua storia ciclica, che la riporta sempre all’autoritarismo o a totalitarismi più o meno ibridi?
"Nessun Paese ha un destino inevitabile. La società civile durante gli anni di dittatura si trasforma, ma non muore. Le società sono flessibili. Non sono fatte solo di Dna e di istinti. Siamo umani: abbiamo sempre la possibilità di scegliere. La società russa può evolversi velocemente. Il cambiamento può avvenire. Anche senza una crisi drammatica".