Perché Putin non ha nessun interesse a negoziare ora: l’analisi dell’ex ambasciatore
"Putin vuole la disfatta totale dell’Ucraina e un governo fantoccio a Kyiv, e non accetterà negoziati senza aver ottenuto i suoi obiettivi": a Hannu Himanen son rimaste davvero poche illusioni sulla Russia. Diplomatico a Mosca negli anni ’80, quando c’era ancora l’Unione Sovietica, poi ambasciatore di Finlandia nel Paese di Putin dal 2012 al 2016, prima di molti altri si è accorto che del Cremlino non c’era più da fidarsi.
Himanen ricorda bene quando ha smesso di illudersi sulla Russia: "Era il primo marzo del 2014, un sabato. Squillò il telefono e seppi che il Consiglio federale, il Senato russo, aveva approvato in quattro e quattr’otto il provvedimento con cui Putin dava il via libera alle truppe russe per il dispiegamento in Ucraina". Ucraina, non solo Crimea. Mentre la Penisola veniva occupata sfruttando il caos per la rivoluzione di Euromaidan, il capo del Cremlino creava la base giuridica per invadere l’intero paese. "Da allora la mia visione, che era di continuare ad aver buoni rapporti con il nostro grande vicino, cambiò", ha spiegato.
Quando nei nostri talk shaw dicono che la guerra la iniziò nel 2014 l’Ucraina, si farebbe bene a ricordare — come ricorda Himanen — dell’ukaz (decreto, ordine) del primo marzo 2014. Nonostante il suo ambasciatore a Mosca la pensasse ormai diversamente, la Finlandia continuò comunque a voler andar d’accordo con la Russia fino all’invasione su grande scala dell’Ucraina lanciata il 24 febbraio 2022. Poi, un cambiamento repentino. Non solo e non tanto nella élite politica, ma tra la gente. La fine della neutralità e l’entrata nella Nato furono perseguite "a furor di popolo", racconta Himanen. Con buona pace di chi ci ha visto dietro oscuri calcoli politici, interessi americani e fabbricanti di armi. Anche se è certo che questi ultimi nella orribile situazione creatasi con l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin ci sguazzano.
Fanpage.it ha parlato con l’Ambasciatore Himanen al telefono da Helsinki per oltre un’ora. Il suo racconto alterna la nostalgia di una Russia affascinante e che avrebbe potuto essere amica e la realtà di una situazione la cui pericolosità, per motivi storici e geografici, è percepita in Finlandia in modo assai più chiaro e consequenziale che non dalle nostre parti.
Ambasciatore Himanen, è stato a Mosca in anni in cui, tutto sommato, i rapporti tra la Finlandia e la Russia erano buoni. O quantomeno pragmatici. La neutralità finlandese veniva portata ad esempio per la soluzione di crisi internazionali come quella che stava coinvolgendo l’Ucraina. Quanto è stato traumatico il cambiamento totale e quasi repentino di una situazione che pareva ideale, per il suo Paese?
"Quando ero ambasciatore a Mosca le cose funzionavano ancora, è vero. Anche se dopo l’annessione della Crimea e l’intervento russo in Donbass, nel 2014, nacquero in me molti dubbi sulla possibilità che le relazioni potessero proseguire come prima. Ma certo il cambiamento è stato traumatico. Per un periodo relativamente lungo Helsinki ha voluto continuare a credere che si potesse evitare il peggio. Tanto che, cavalcando una incongruità della Costituzione finlandese che prevede sia capo dello Stato e non il capo del governo a gestire la politica estera, l’allora nostro presidente Sauli Niinistö non si sentì vincolato dalle decisioni del Consiglio Europeo sottoscritte dal premier riguardo a sanzioni e congelamento dei rapporti, e fu il primo tra i leader europei a incontrare Vladimir Putin. Nel 2014 e più volte in seguito. Tentò di mediare una risoluzione della crisi con Kyiv. Ero presente a quegli incontri. Per la Finlandia mica è stato semplice prender le distanze da Mosca".
Putin ha detto che l’ingresso della Finlandia nella Nato è stata una mossa “senza senso” perché contraria all’interesse nazionale di Helsinki. In effetti, i rapporti erano pacifici e — soprattutto — non c’erano truppe e armamenti russi sui 1340 chilometri di confine. Ora ci saranno, ha avvertito il presidente russo. Ma non vi conveniva essere più accondiscendenti, con il Cremlino?
"Le parole di Putin fanno parte della propaganda per cercare di rendere la presenza della Finlandia nella Nato più “timida” possibile. La Russia non ha potuto far niente per impedire che entrassimo nell’alleanza. Paradossalmente, la cosa non aveva alcuna priorità nella nostra agenda, fino alla fine del 2021. Fu l’ultimatum russo del 17 dicembre all’Occidente, con cui in nome delle garanzie di sicurezza si voleva imporre alla Nato di piantare in asso i Paesi che dal ’97 avevano chiesto e ottenuto di far parte dell’alleanza, a convincerci che la Russia aveva scelto la strada dell’aggressione mettendosi di fatto anche contro la Finlandia e cercando di murare ogni sua scelta di politica estera. Fu allora che anche il presidente Niinistö smise di sperare di poter recuperare i rapporti".
Un capitolo del suo ultimo libro è intitolato “La fine del wishful thinking”. Ovvero la fine di quella specie di malattia che sembra colpire molti che si occupano per diletto o necessità della Russia, sperando sempre in un cambiamento in senso liberale o comunque positivo della politica del Cremlino. L’invasione dell’Ucraina è stata la fine del wishful thinking, almeno per i finlandesi?
"Certamente sì. Anche dopo la fine della Guerra fredda, quando sembrarono diminuire le ragioni più utilitaristiche della nostra politica estera, la élite politica finlandese ha vissuto in un mondo onirico, una sorta di metaverso in cui si ritenevano le relazioni con la Russia intoccabili e in grado di esser preservate anche nel caso di severe crisi politiche globali. Poi, nel giorno stesso dell’attacco all’Ucraina, il presidente e il premier tennero una conferenza stampa e dissero che la maschera era calata e il volto del regime di Putin si era rivelato in tutta la sua brutalità".
Ma lei lo sa che in Italia, al di là della condanna ufficiale della politica del Cremlino e dell’aiuto all’Ucraina da parte del governo, un buon 50% della popolazione e probabilmente anche un po’ di governo ritengono che Putin abbia ragione?
"Ecco, in Finlandia la situazione è completamente diversa. La popolazione è molto più apprensiva rispetto all’aggressività di Mosca. La memoria storica dell’invasione russa del 1939 e della continuazione della guerra contro l’Armata rossa nel 1941 continua ad agire. Non può stupire: il 10% dei finlandesi fu evacuato dai territori che i sovietici occuparono. Molti, oggi, hanno radici in quei territori perduti. Me compreso".
Quindi i finlandesi sono russofobi?
"Macché russofobia, si tratta solo di realismo. Di reazione all’aggressività di Putin. Aggressività che la nostra memoria storica aiuta a riconoscere bene e velocemente. Più di quanto avvenga altrove. Ma i finlandesi avrebbero voluto continuare ad andar d’accordo con i russi. Perpetuare la politica della neutralità e del reciproco rispetto. Prima del febbraio 2022, il 50% di noi era assolutamente contrario all’entrata nella Nato. Solo un 20-25% era a favore. Pochi giorni dopo, i sondaggi rilevarono che la situazione si era rovesciata: il 60% della popolazione era favorevole alla Nato, e il 20% era contrario. La scelta della Finlandia di entrare nella Nato non è stata presa dai vertici della politica dopo trattative più o meno oscure. È avvenuta a furor di popolo. Sono i finlandesi che hanno riconosciuto, a malincuore ma in fretta, che il pericolo russo era tornato. E hanno voluto entrare nell’alleanza per difendersi".
Ritiene che la Russia sia stia preparando a un lungo conflitto con l’Occidente?
"Sicuramente. Non si tratta solo dell’Ucraina. Putin vuole cambiare l’ordine internazionale. Per restituire alla Russia il suo ruolo di grande potenza e per restituirle una zona di influenza al di fuori dei suoi confini. Un’area di interesse russo che abbia diritti diversi rispetto a quelli degli altri Stati. Vuole che paesi suoi vicini si sottomettano, si conformino alle aspettative di Mosca. Finlandia compresa. E Paesi baltici, Polonia e Ungheria. Come minimo. Per non parlar della Bielorussia".
Ma il Cremlino ha le risorse per perseguire questi fini?
"Conta sulla stanchezza dell’Occidente. Conta sulla possibilità che l’Occidente finisca per convincere i Paesi orientali ad adeguarsi. Non credo che ciò avverrà. Intanto, però, l’Occidente deve mantenere e rafforzare il suo sostegno all’Ucraina. Anche fornendo all’Ucraina missili a lunga gittata. Compresi i teschi Taurus. Se la guerra finisse in modo catastrofico per l’Ucraina, il rischio sarebbe grande per il resto dell’Europa. L’aggressività della Russia si rivolgerebbe verso altri Paesi. Non so in che forma".
La propaganda anti-occidentale seguita all’attento terroristico a Mosca preludere a una nuova mobilitazione in Russia, dicono molti analisti. Secondo lei è così?
"Per il mio lavoro di diplomatico so perfettamente che le accuse a Ucraina e Occidente per l’attentato del Crocus sono inventate quanto ridicole. Dopo l’11 settembre gli Stati Uniti hanno adottato la politica del “duty to warn”: il dovere di avvertire anche Stati ostili se la intelligence americana viene a sapere di attenti terroristici in preparazione. E l’avvertimento, ve lo dico per esperienza professionale e frequentazione con i servizi di intelligence, è necessariamente molto dettagliato. Quindi, davvero hanno detto ai russi che ci sarebbe stato un attacco al Crocos. Altro che “informazioni confuse volte a indurci in errore e ricattarci”, come ha detto Putin. Si tratta di propaganda. Volta all’interno per nascondere la negligenza e l’inefficienza dell’antiterrorismo e dei servizi di sicurezza russi in casi di questo genere. Forse si tratta anche di aumentare il sentimento anti-occidentale per favorire una mobilitazione. Semmai parziale. Ma è un ipotesi plausibile.
La Russia sta preparando un’offensiva massiccia? Vuole dare un’ultima spallata per far crollare l’Ucraina? Vuol la sua disfatta totale?
"Putin punta a stabilire un governo fantoccio a Kyiv. I due obiettivi che ha annunciato all’inizio della guerra rimangono intatti: “denazificazione” non significa altro che un collasso delle istituzioni e la sostituzione del governo legittimo con un regime fantoccio; “demilitarizzazione” significa la capitolazione delle forze armate. È tutto molto chiaro".
Non potrebbe invece esser disposto a fermarsi sulle posizioni attuali e trattare una soluzione pacifica? Magari dopo aver conquistato Odessa, cosa che gli darebbe un effetto leva potente sull’Europa?
"Può darsi che tenti di arrivare a Odessa. Tagliare l’accesso ucraino al Mar Nero e riunire sotto il suo dominio la cosiddetta “Novarossiya” (regione amministrativa dell’Impero zarista che comprendeva la Crimea e la parte dell’Ucraina immediatamente a nord del Mar Nero, ndr) è un obiettivo fin dal 2014. Per questo i russi stanno bombardando Kharkiv. Ma Putin vorrebbe che tutto questo avvenisse in seguito alla completa disfatta del nemico".
Zelensky vuole riunire una conferenza di pace in Svizzera. Senza la Russia. Ma potrebbero uscirne proposte di negoziato. Putin lo rifiuterebbe a priori?
"Al momento, secondo me è ovvio che la Russia non stia assolutamente considerando l’opzione di negoziati".
Lei proprio non ha illusioni, sulla Russia. Eppure ha passato anni in Russia, parla la lingua. È innamorato della sua cultura. Tutto questo è stato travolto il 24 febbraio 2002, con l’invasione dell’Ucraina?
"Le mie illusioni le ho perse prima. Posso dirvi il giorno esatto, in cui le ho perse: era il primo marzo del 2014, un sabato. Ero l’ambasciatore della Finlandia a Mosca. Volevo che le relazioni con la Russia restassero buone, nonostante la “Rivoluzione della dignità” a Kyiv e la situazione in Crimea creassero molta preoccupazione. Quel sabato ero a Helsinki per un periodo di vacanza. Squillò il telefono e seppi che il Senato russo aveva approvato in due ore il decreto di Putin per il via libera al dispiego di truppe russe in Ucraina. In Ucraina, non solo in Crimea. Sia le fonti pubbliche dell’ambasciata che quelle che posso definire estremamente confidenziali ci assicurarono che l’obiettivo finale era l’Ucraina. Il mio “wishful thinking” finì allora. Otto anni prima dell’invasione".