Lettera aperta di una Pussy Riot ai lavori forzati: “Trattata come una bestia”
"A partire da lunedì 23 settembre ho iniziato uno sciopero della fame. Si tratta di una forma di lotta estrema, ma credo che sia l'unica soluzione". Inizia così la lettera aperta inviata al quotidiano The Guardian da Nadezhda Tolokonnikova, una delle Pussy Riot, condannata nel 2012 a due anni di lavori forzati per teppismo e blasfemia. Nella missiva la donna ha descritto le condizioni estreme della reclusione in un campo per donne in Mordovia, regione orientale della Russia europea. Nadezhda ha raccontato di lavorare "tra le 16 e le 17 ore al giorno, dalle 7 del mattino a mezzanotte: nella migliore delle ipotesi dormo 4 ore per notte, con un giorno di riposo ogni mese e mezzo". La donna ha anche parlato delle tremende punizioni inflitte dalle guardie, come il divieto ad utilizzare le toilette o quello di mangiare a bere per lunghi periodi di tempo.
Ma non mancano neppure episodi piuttosto frequenti di tortura: "Alcuni prigionieri vengono picchiati nei reni e in faccia. I detenuti si colpiscono tra loro, nel silenzio totale dell'amministrazione carceraria. L'anno scorso una donna rom è stata uccisa di botte, mentre in un'altra unità una sarta che non aveva più la forza di lavorare è stata costretta a cucire nuda". Ma ancora: "Le condizioni igieniche del campo sono state pensate per far sentire ogni prigioniero un animale sporco e disgustoso, privato di ogni diritto". "Se nessuna informazione è finora filtrata – spiega la donna – è semplicemente perché nulla sfugge dal campo e i detenuti vengono fatti tacere. L'unica possibilità è quella di raccontare al proprio avvocato o ai familiari, ma la denuncia generalmente provoca un importante peggioramento delle condizioni delle detenute. Voi vi lamentate che non c'è acqua calda? Noi vi togliamo completamente l'acqua. Le prigioniere hanno ormai paura della loro stessa ombra".
La donna ha intrapreso lo sciopero della fame con l'obiettivo dichiarato di indurre il governo russo a migliorare le condizioni di vita di tutte le detenute: "Andrò avanti finché le donne non verranno più trattate come bestie, ma come esseri umani". L'amministrazione del campo di lavoro ha negato tutte le accuse.