L’Egitto prepara un piano per ricostruire Gaza senza sgomberare i Palestinesi
![Immagine](https://staticfanpage.akamaized.net/wp-content/uploads/2024/12/GettyImages-2190610870-1200x675.jpg)
Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha annunciato un piano per la ricostruzione di Gaza che non prevede lo sgombero della popolazione palestinese, una proposta che si distacca quindi nettamente dall'approccio del presidente statunitense Donald Trump. Quest'ultimo, infatti, aveva suggerito di trasferire forzatamente circa due milioni di palestinesi in altri Paesi arabi, per poi prendere il controllo dell'enclave e trasformarla in una "Riviera del Medio Oriente". L'idea di Trump ha suscitato dure critiche a livello internazionale, con accuse di pulizia etnica e violazioni dei diritti umani.
Il piano egiziano si proporrebbe invece come una soluzione che, pur cercando di riparare i danni subiti dalla Striscia di Gaza, non comprometterebbe la permanenza dei palestinesi nella loro terra.
Il piano egiziano: aree sicure e un processo di ricostruzione
Il piano egiziano, riportato dal quotidiano Al-Ahram, prevede la creazione di "aree sicure" all'interno di Gaza dove i palestinesi possano rifugiarsi temporaneamente, mentre le imprese di costruzione egiziane e internazionali provvederanno alla rimozione delle macerie e alla ricostruzione delle infrastrutture. Questa fase iniziale, secondo quanto annunciato, durerà sei mesi e offrirà supporto umanitario, come case mobili e rifugi, in attesa che il processo di ricostruzione entri nel vivo. Il piano prevederebbe anche l'istituzione di un'amministrazione palestinese che non sia allineata né con Hamas né con l'Autorità Palestinese, per garantire una gestione imparziale delle risorse e dei fondi destinati alla ricostruzione. È stato proposto poi anche l'invio di una forza di polizia palestinese, supportata da forze egiziane e occidentali, per "garantire l'ordine" durante tutte queste operazioni.
Il ruolo della comunità internazionale
Il piano di ricostruzione proposto dall'Egitto sta attirando l'attenzione di diversi attori internazionali: i funzionari egiziani hanno discusso l'iniziativa con diplomatici europei e con Paesi come Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. In particolare, la proposta prevede una conferenza internazionale per raccogliere i fondi necessari alla ricostruzione, che si articolerà in tre fasi e durerà fino a cinque anni. L'Europa, in particolare Francia e Germania, ha mostrato interesse nel supportare una proposta alternativa al piano di Trump, chiedendo ai Paesi arabi di formulare un piano che possa garantire una soluzione duratura per Gaza. In tal senso, il piano egiziano sembra avere una prospettiva più inclusiva e orientata alla stabilizzazione della regione, rispetto alla visione di Trump che implica un cambiamento radicale della geografia e della demografia della Striscia.
Cosa ne pensa l'Italia
Pochi giorni fa, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, durante una conferenza ad Ashdod, in Israele, ha rilasciato nuove dichiarazioni che sembrano segnare una svolta nella posizione italiana sulla questione palestinese: il vicepremier ha infatti dichiarato che "al momento per noi è impossibile riconoscere uno Stato palestinese perché non c'è" e che il riconoscimento sarebbe un "segnale contro la pace". A queste dichiarazioni si aggiungono quelle del vice premier e leader della Lega Matteo Salvini, che nelle scorse settimane ha detto: "Se l'idea è liberare Gaza dall'estremismo islamico e restituirla a chi ci vuole vivere pacificamente e ci riesce, è da Nobel per la Pace, così come se riesce a chiudere la guerra in Ucraina, e ci riuscirà".
L'Italia, insomma, ribadisce il proprio sostegno alla soluzione dei due Stati, pur negando qualsiasi possibilità di riconoscere la Palestina in questa fase. La scelta di allinearsi sempre più alle posizioni di Israele, allontanandosi da quelle dell'Unione Europea, potrebbe avere però forti ripercussioni nei futuri equilibri diplomatici del Paese.
Nel contesto delle operazioni in Gaza, anche le dinamiche interne israeliane stanno evolvendo, con il coinvolgimento di Israele in trattative per il rilascio degli ostaggi, ma solo sotto precise condizioni. In questo scenario, la posizione italiana sembra orientarsi a sostenere la necessità di un intervento deciso, a prescindere dalle critiche globali nei confronti delle scelte di Trump.
La seconda fase del cessate il fuoco a Gaza e le condizioni politiche
L'attuazione del piano di ricostruzione dipenderà dalla conclusione della seconda fase del cessate il fuoco, prevista per i primi di marzo. Una fase che è certamente cruciale non solo per il rilascio degli ostaggi, ma anche per il ritiro delle forze israeliane e per una stabilizzazione politica a lungo termine della Striscia di Gaza. Intanto il presidente egiziano Al-Sisi, nei prossimi giorni sarà in Arabia Saudita: la notizia arriva in concomitanza con l'annuncio dell'Egitto di posticipare il vertice arabo di emergenza su Gaza al 4 marzo, anziché al 27 di questo mese.
La presenza di Hamas, resta ora un ostacolo, almeno per Israele, che vuole a tutti i costi la sua eliminazione come forza politica e militare.