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Le proteste in Iran tra studenti, sindacati e movimenti femministi: “Siamo alle porte di una rivoluzione”

Le proteste in Iran vanno avanti da più di due mesi e agli studenti e ai movimenti femministi si sono uniti anche sindacati e lavoratori, mentre aumenta la repressione violenta del regime. “Possiamo dire che siamo alle porte di una fase rivoluzionaria – spiega a Fanpage.it il professore Giuseppe Acconcia – c’è un contesto caotico che renderà sempre più difficile tenere il controllo del paese”.
Intervista a Giuseppe Acconcia
Giornalista e docente di Sociologia politica all'Università di Padova
A cura di Chiara Ammendola
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Donna protesta a Teheran
Donna protesta a Teheran

Le proteste in Iran, scoppiate dopo la morte della 22enne Mahsa Amini, uccisa dalla polizia morale a Teheran perché non indossava correttamente l'hijab, proseguono da oltre due mesi, e agli studenti e ai movimenti femministi si sono uniti anche sindacati e in ultimo i lavoratori, con lo sciopero dei bazarini. Intanto aumenta il bilancio dei manifestanti uccisi così come le condanne a morte da parte del regime iraniano: la repressione violenta però non ha fermato i manifestanti che continuano a protestare e contestare il regime e cercare un'alternativa valida all'attuale regime politico e alle sue regole restrittive.

“Possiamo dire che siamo alle porte di una fase rivoluzionaria – spiega a Fanpage.it il professore Giuseppe Acconcia – c'è un contesto caotico in Iran in questo momento che renderà sempre più difficile tenere il controllo del paese. Una guerra civile? La possibilità è remota ma la polarizzazione dei termini di un conflitto sempre più incandescente è possibile. I giovani infatti vogliono andare fino in fondo per far che il regime politico cambi e la repubblica islamica svanisca. Ora anche i leader meno integralisti si sono accorti che qualcosa potrebbe cambiare e chiedono che vengano ascoltate le richieste di protesta”

Professore le proteste in Iran vanno avanti da oltre due mesi, nonostante col passare del tempo si sia inasprita anche la repressione del governo. Ora c'è chi teme un'escalation: è corretto ipotizzare l'inizio di una guerra civile? 
La società iraniana è molto polarizzata in questo momento: c'è una parte che è in piazza a protestare e poi c'è l'establishment, i leader politici e religiosi, che non ascolta minimamente le richieste di chi sta manifestando. Ormai sono passati più di due mesi dall'inizio di queste proteste, e una delle richieste che arriva da chi è in piazza è quella di maggiori diritti per le donne iraniane, ecco perché alcuni hanno definito questa nuova ondata di proteste come un movimento anti hijab, ma ormai non è più solo questo, è molto di più.

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Oltre al fatto che si tratta di un movimento sostenuto dalla minoranza curda, la novità di questi due mesi è che si tratta di un movimento giovanile molto radicato, quasi senza precedenti nella storia della repubblica islamica dopo il 1979: le università, i licei, le scuole sono i luoghi in cui gli studenti e gli adolescenti si sono mobilitati maggiormente, e queste richieste vanno al di là della fine dell'obbligatorietà del velo e arrivano a toccare i vertici del potere. Per esempio sono molto impegnati in questa fase i sindacati, soprattuto studenteschi all'interno delle università, ma resta un movimento pacifico. Si tratta di un movimento spontaneo ma anche di un movimento molto organizzato che ha trovato supporto attraverso un uso capillare dei social network.

E sono tanti i personaggi noti che stanno supportando le proteste, oltre ai casi più tristi di chi ha perso la vita mentre era in piazza. Questo dimostra che c'è un forte sentimento di insoddisfazione da parte di una grossa fetta della popolazione iraniana, addirittura negli ultimi giorni si sono uniti alle contestazioni i commercianti dei bazar, ovvero i grandi mercati delle città iraniane che hanno scioperato e non hanno aperto i propri negozi. E secondo un sondaggio l'83% della popolazione iraniana è insoddisfatto rispetto al sistema politico in corso.

Manifestazioni a Teheran
Manifestazioni a Teheran

Siamo già in una fase rivoluzionaria? 
Possiamo dire che ci siamo molto vicini. Nel 1978/79 la mobilitazione è durata più di 13 mesi. D'altra parte l'establishment religioso sta facendo fatica a rispondere in maniera costruttiva, quindi sta montando anche questo sentimento anti religioso molto forte: abbiamo visto le immagini dei giovani che toglievano il turbante ai religiosi che sono spesso visti come simbolo della corruzione, ma che sono alla base della gerarchia del sistema sciita.

Quello che sta succedendo ai vertici del potere è un avvicendamento tra leadership religiosa, quindi presidente conservatore e militari che vogliono prendere in mano la situazione e che spesso hanno sparato contro i manifestanti, e questo sta facendo montare le violenze e rende la situazione incandescente per le strade iraniane, tanto è vero che si sono sentite sempre più spesse le voce dei politici riformisti, alcuni dei quali sono agli arresti domiciliari o sono stati messi ai margini della vita politica, che dicono che "bisogna avere più tolleranza", e in alcuni casi stanno partecipando ai dibattiti televisivi, perché comunque c'è un timore effettivo che questi movimenti possano diventare irreversibili. C'è infatti un tentativo di dare voce a figure politiche che prima erano completamente azzittite: di fatto il sistema può collassare se non si ascoltano le richieste dei giovani. Dall'altra parte però c'è un vero e proprio muro di gomma.

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Il regime iraniano è sempre più convinto che ci sia sostegno da parte di Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita. Quanto c'è di vero? E soprattutto può essere controproducente questo appoggio ai manifestanti da parte dell'Occidente?
Certo, c'è una dinamica geopolitica che si sovrappone a quella di politica interna. E evidentemente tutto è nato dalle accuse lanciate da parte dell'Ucraina e di Israele sulle forniture di droni iraniani a Mosca, droni che sono stati utilizzati nel conflitto in corso. Dopo settimane di smentite, è arrivata una prima ammissione di forniture a Mosca che, secondo fonti ufficiali iraniane, sarebbero avvenute prima dello scoppio della guerra in Ucraina. Questo ha aperto una crisi diplomatica tra Ucraina e Iran e più in generale gli Stati Uniti hanno accusato la Russia di fornire tecnologia all'Iran per limitare le contestazioni.

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Evidentemente c'è una separazione netta all'interno del paese tra i giovani iraniani che sono sempre più vicini all'Ucraina e alla mobilitazione contro la guerra voluta da Mosca, e i sostenitori del regime iraniano che sono sempre più vicini alla Russia. E questa polarizzazione della società iraniana si riverbera anche sul posizionamento nei confronti del conflitto in corso. È evidente che poi gli iraniani hanno sempre un timore di essere manipolati dalle potenze internazionali come successe nel 1953 quando c'è stato il colpo di stato per mano degli Stati Uniti. È evidente che il movimento possa essere manipolato dall'esterno, ma i manifestanti continuano a protestare e contestare il regime e cercare un'alternativa valida rispetto all'attuale regime, e fino a questo momento l'alternativa valida è emersa all'interno dei movimenti giovanili e dei sindacati.

È evidente poi che l'Iran ha sempre tentato di avere una posizione che non fosse totalmente sovrapponibile a quella russa: le autorità iraniane infatti hanno sempre rivendicato il fatto che Mosca abbia fornito materiale e tecnologia scadenti a Teheran, d'altra parte la Russia ha ostacolato il raggiungimento sull'accordo del nucleare iraniano. In generale l'Iran è sempre stato considerato uno stato canaglia ma la sua posizione è sempre stata quella di Stato non allineato, di fatto vuole sempre mantenere un certo equilibrio, ci basti pensare al rilascio della nostra Alessia Piperno che è stata liberata dopo settimane di detenzione perché evidentemente l'Iran ha voluto lanciare dei segnali verso l'Europa. Non hanno interesse i leader iraniani a mostrasi assoggettati alle volontà di Mosca.

Giuseppe Acconcia
Giuseppe Acconcia

La repressione del regime è sempre più violenta con centinaia di morti e sei condanne a morte: rischiamo di assistere a un inasprimento di questi metodi?
È in corso una repressione violenta senza precedenti, con condanne a morte dei manifestanti che sono un modo per colpire l'intero movimento, e quindi scoraggiare la partecipazione alle proteste. Ricordiamo che poche settimane dopo l'inizio delle manifestazioni c'è stato un grande incendio nella prigione di Evin che è il carcere dove vengono tenuti i prigionieri politici. Quindi è evidente che c'è un tentativo di criminalizzazione di chi protesta da parte del sistema giudiziario iraniano e c'è un uso senza precedenti, e su vasta scala, di gruppi paramilitari che commettono violenze arbitrarie e sparano contro i manifestanti per scoraggiare la partecipazione alle manifestazioni e poi c'è l'uso di criminali che vengono pagati dal regime per seminare il caos.

Le proteste a Teheran
Le proteste a Teheran

Tutte queste sono strategie molto consolidate che sono già state messe in piedi nel 2018/19 e nelle proteste precedenti come quelle del 2003 o del 2009. Sono dei metodi rodati che in questa fase sembrano sfuggire di mano, ovvero non stanno fermando le contestazioni che vanno avanti, come all'interno delle università dove studenti e studentesse pranzano insieme, e non sono più separati, hanno desiderio di vivere insieme. Ci sono dibattiti per strada, si critica il regime e tutto questo fa paura alle autorità, per questo l'uso della violenza sta diventando sempre più sistematico, così come l'uso della pena di morte come funzioni repressive. Il tutto in funzione di una repressione che sta diventando sempre più imponente perché c'è il timore serio che questi movimenti possano coinvolgere i settori mancanti della società iraniana.

Quali scenari ci aspettano nelle prossime settimane?
Se la classe media continuerà a partecipare in massa alle proteste, se i bazarini oltre allo sciopero si uniranno completamente alle contestazioni, se i lavoratori precari, e finora hanno partecipato alle proteste solo i lavoratori del settore petrolchimico, aderiranno alle proteste, e a questi si uniranno le mobilitazioni delle minoranze, allora si formerà un contesto caotico che renderà sempre più difficile tenere il controllo del paese.

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L'establishment politico e religioso dovrà per forza rispondere con un inizio di riforma oppure si andrà incontro a un cambiamento di regime più veloce e di conseguenza più violento, ed è facile che tuto ciò possa sfociare in un contesto di violenze e repressione sempre più gravi: riguardo a all'ipotesi di una guerra civile, la possibilità è remota ma la polarizzazione dei termini di un conflitto sempre più incandescente è possibile.

C'è però un altro scenario possibile, ovvero che le proteste diventino normali e che nonostante le violenze e le condanne a morte il movimento prosegua seppure contenuto dalla violenta repressione. Ma non sembra questo il caso, almeno finora: i giovani iraniani, motore di queste proteste, vogliono infatti andare fino in fondo per ottenere finalmente un sistema politico che superi la repubblica islamica.

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