Le Presidenziali Francesi in quattro ritratti: Marine Le Pen e l’estrema destra
Marine Le Pen, figlia del più noto Jean-Marie, è la candidata che il Fronte Nazionale francese sfodera per le presidenziali 2012. Il Fronte Nazionale, partito di destra sociale fondato da Jean-Marie Le Pen nel 1972 e protagonista di molteplici polemiche causate dall'acceso razzismo che lo contraddistingue, ha cambiato pelle sotto la guida di Marine, presidente dell'organizzazione da poco più di un anno. Avvocatessa quarantaquattrenne, divorziata, madre di tre figli, cresciuta politicamente al fianco del padre, Marine sostituisce alla violenta, flokloristica approssimazione della retorica paterna una fluente e serena argomentazione . Le idee, però, restano le stesse, così come i programmi, e fanno non poca presa sull'opinione pubblica d'oltralpe. L'ultimo sondaggio, in particolare, rivela la spiccata preferenza che gli elettori under 24 manifesterebbero per la tenace esponente del Fronte: ben il 26% dei giovani intervistati voteranno in suo favore, il 25% appoggia il socialista Hollande, il 17% resta fedele a Sarkozy, il 16% si indirizza verso il neo-comunista Melénchon e il 10% preferisce il centrista Bayrou. Un dato che rappresenta, già di per sé, una rivoluzione rispetto agli anni in cui la guida del partito era affidata a Le Pen padre. Anche se la leadership dell'incontenibile Jean-Marie ha fruttato molto in termini di voti, il carattere grottesco dei suoi interventi ha leso non poco l'immagine del partito, impedendo ai più giovani di avvicinarsi alle posizioni del Fronte. Basti ricordare il celebre quanto oscuro motto con cui Le Pen padre riassumeva la sua politica "Io sono socialmente a sinistra ed economicamente a destra, soprattutto per la Francia".
La bionda figlia di Jean-Marie non ha la minima intenzione di commettere gli errori paterni e, dopo aver epurato il partito dalle derive più apertamente razziste, sembra essere riuscita nell'intento di convincere il 17% dell'opinione pubblica della necessità di politiche che privilegino sempre e comunque il "cittadino francese", nonché dell'opportunità di manovre economiche anti-europeiste e apertamente socialiste. Coniugando gli appelli alla sicurezza e il nazionalismo a politiche di sinistra, Marine Le Pen punta a sottrarre voti a Sarkozy, ed è esattamente quanto traspare dai sondaggi. Sebbene la sua retorica decisa, chiara riesca a far presa anche su una buona porzione dell'elettorato che si è sempre riconosciuta in valori diversi. D'altronde, i programmi elettorali di Le Pen e di Melénchon condividono molto, specie riguardo le politiche economiche (ma non solo): aumento del salario minimo, abbassamento dell'età pensionabile a 60 anni, proporzionalità della tassa sul reddito, uscita dalla NATO. Rispetto all'Europa, invece, la posizione dei due candidati non coincide completamente. Laddove Le Pen parla apertamente di abbandono dell'euro e conseguente uscita dall'UE, Melénchon si limita a opporre il rifiuto alle misure di austerity, promuove l'abbandono del trattato di Lisbona e mette in discussione la dipendenza dalla BCE. Sul piano delle politica interna e su buona parte di quella estera, invece, i candidati di destra e sinistra radicale divergono completamente.
Marine Le Pen ha decise posizioni in materia di questioni etiche: no alle modifica della restrittiva legge sull'aborto attualmente in vigore, no all'eutanasia, sì alla reintroduzione della pena capitale quale deterrente per il crimine. Promuove, inoltre, una politica fortemente anti-islamica mirata al rifiuto di contaminazione culturale e sociale; chiede che i cittadini francesi abbiano precedenza sugli altri in tutti gli ambiti della vita pubblica – dall'occupazione, agli alloggi, ai servizi – e fissa a 10.000 (dagli attuali 200.0000) il limite degli ingressi autorizzati, chiedendo che vengano riservati a soli stranieri "talentuosi". Inoltre, per Le Pen la cittadinanza sarebbe indistricabilmente legata alla filiazione. In poche parole: francesi si nasce; anche se resterebbe possibile diventarlo per naturalizzazuone. D'altronde, uno degli slogan del Fronte Nazionale è: "la nazionalità è ereditata o meritata".
Sebbene il paragone con l'Italia e la nostra Lega Nord sia piuttosto abusato quando si parla delle famiglia Le Pen, alla luce dell'ultimo scandalo che ha colpito il partito padano non si può non notare come l'incolmabile distanza tra gli eredi delle famiglie Bossi/Le Pen, al momento, finisca per allontanare due percorsi che durante la reggenza dei Padri si mostravano quasi speculari. Ora, mentre la Lega affronta la vergogna del vedersi platealmente denudata della sua "purezza", il Fronte Nazionale francese trova in Marine un'erede potenzialmente più incisiva dello stesso Jean-Marie. Certo, anche per lei sarà piuttosto difficile accedere al secondo turno – quasi certamente appannaggio della sfida Sarkozy/Hollande – e gli standard paterni sono difficili da eguagliare, ma il suo sforzo di rinnovamento potrebbe garantire al Fronte un crescita lenta e costante, spendibile alle prossime tornate elettorali, quando anche la Francia potrebbe trovarsi a subire maggiori contraccolpi a causa della crisi.
Nonostante l'audacia delle posizioni, insomma, il Fronte Nazionale sembra rinato a nuova vita sotto la guida di Marine Le Pen, e la cosa si spiega solo parzialmente ricordando il connaturato gollismo dei cugini d'oltralpe. È vero che le posizioni politiche in cui il nazionalismo si mescola a misure di potenziamento dello stato sociale hanno sempre affascinato i francesi, ma il fatto che l'erede della dinastia Le Pen si stia imponendo nell'immaginario collettivo giovanile è un fenomeno che non si spiega attraverso la pura analisi storico-antropologica. Se in Francia un giovane abbraccia visioni xenofobe vuol dire che esiste un disagio così lampante – e ignorato – dalla società da spingere molti su posizioni estreme; significa che a questo disagio il Fronte Nazionale offre una risposta – per alcuni – convincente. Ma se questo accade è soprattutto perché le altre forze politiche in campo non vogliono o non sono in grado di offrire risposte alternative sulla questione. Melénchon ci sta provando, ma il linguaggio dell'amore nella patria dell'illuminismo e del positivismo arranca e non riesce facilmente ad assumere accenti politici. Sembra, insomma, che in tempi di crisi l'altro faccia paura e comodo un po' a tutti, perché pochi – in fondo – sono capaci di elaborare proposte politiche che rispettino, prioritariamente, i principi dell'etica e della solidarietà.