Le armi che abbiamo fornito ai ribelli in Libia? Finite in Siria, Egitto, Somalia…
Quando il 17 marzo del 2011 l'Onu approvò la Risoluzione 1973, dando il via libera all'intervento armato in Libia a sostegno dei ribelli, il mondo tirò un sospiro di sollievo: finalmente ci saremmo tolti di mezzo il dittatore Gheddafi ed avremmo favorito la nascita di una democrazia in un paese altrimenti dominato da rivalità tribali e guerre civili: per farlo, oltre all'intervento diretto, avremmo fornito aiuti ai ribelli consistenti soprattutto in denaro ed armi.
A due anni di distanza, tuttavia, una risoluzione delle Nazioni Unite rivela che la maggior parte delle armi introdotte nel Paese in quei mesi di guerra sono tuttora in mano di civili e fazioni non controllabili, e che il traffico internazionale è diventato un business molto redditizio, ma anche una potenziale minaccia per la sicurezza di tutta l'area. Sarebbero infatti 12 i Paesi coinvolti nel commercio, che non vede solo lo smercio di armi leggere ma anche dei Sam (Surface-to-Air-Missile, missile superficie-aria). Secondo il rapporto Onu, questi razzi potrebbero potenzialmente essere utilizzati da gruppi terroristici per abbattere aerei civili.
Il rapporto recita: "Negli ultimi 12 mesi, la proliferazione di armi dalla Libia è continuata a un ritmo preoccupante e si è diffusa in un nuovo territorio: Africa occidentale, Medio Oriente e potenzialmente, anche il Corno d'Africa. I flussi illeciti stanno alimentando arsenali anche di gruppi terroristici. Il traffico dalla Libia comprende armi leggere e pesanti, compresi nuovi sistemi portatili di difesa aerea, munizioni, esplosivi e mine". Ma dove si trovano gli acquirenti di queste armi? Prevalentemente in Egitto, nell'area del Sinai, a beneficio delle forze armate ostili al governo del Cairo. Ma dall'Egitto arriverebbero anche nella Striscia di Gaza, in Siria, Mali, Ciad e Somalia.
Esperti delle Nazioni Unite sostengono che il traffico di armi viene organizzato in vari villaggi tra Misurata e Bengasi, e che le dimensioni di alcune spedizioni e la logistica utilizzata lascerebbe pensare che le autorità libiche potrebbero essere a conoscenza dei trasferimenti, "se non addirittura coinvolte" in essi. Insomma, malgrado gli "sforzi" la normalizzazione della Libia appare assai lontana, a ennesima dimostrazione che l'esportazione della democrazia non è che un concetto vuoto, utile solo a inseguire altri scopi.