L’avvocato che ha dovuto descrivere a Gisèle Pelicot gli stupri ordinati dal marito: “Depravazione mai vista”
"Un livello di depravazione e disumanità che non avevo mai visto prima in vita mia", non usa mezzi termini l'avvocato di Gisèle Pelicot descrivendo i filmati degli stupri di cui è stata vittima la sua assistita e che lui è stato costretto a vedere prima degli altri. È toccato proprio a Stéphane Babonneau guardare quelle migliaia di video registrati dal marito della donna e poi descrivere quei terribili abusi alla vittima prima del processo ora in corso in Francia contro il 71enne Dominique Pelicot e gli altri uomini che lui assoldava.
Nonostante la sua esperienza di avvocato penalista, Babonneau è rimasto sconvolto da quei filmati, come lui stesso ha raccontato in un'intervista al Guardian. Quando fu interpellato dalla 71enne francese e iniziò a occuparsi del caso, nel 2022, era stato informato da Gisèle che suo marito l'aveva drogata e aveva invitato degli sconosciuti incontrati online a casa loro per aggredirla. Ne lui né la donna però avevano idea dell'estensione e della drammaticità degli abusi.
Babonneau dice di aver avuto difficoltà a credere a ciò che stava leggendo quando gli sono stati consegnati per la prima volta i fascicoli. "Ho pensato: Com'è possibile? Era difficile per me capire come una cosa del genere potesse anche solo accadere" ha dichiarato il legale. A lui e al suo collega è toccato vedere uno per uno i filmati degli stupri avvenuti tra il 2011 e il 2020 a Mazan, dove la coppia abitava.
Il momento ancora peggiore è aver dovuto raccontare il tutto alla vittima e convincerla a usare quei video in aula contro il marito. "Abbiamo dovuto prepararla al fatto che non solo aveva subito abusi sessuali, ma che c'era anche una reale intenzione di degradarla" ha spiegato Babonneau riferendosi ai video girati la notte del suo compleanno e San Valentino o nel letto di sua figlia.
La reazione della vittima però ha sorpreso anche gli avvocati. Gisèle Pelicot non solo ha accetto che i video venissero proiettati in aula ma ha rinunciato anche all'anonimato e alle porte chiuse in Tribunale. "Sentiva che ciò che aveva passato non avrebbe dovuto essere discusso a porte chiuse. Non voleva essere incarcerata in un'aula di tribunale con gli imputati per quattro mesi, sentiva che la vergogna doveva cambiare schieramento. Voleva che dovevano essere loro a vergognarsi… Pensava che questi uomini avrebbero dovuto spiegare pubblicamente quanto fatto" ha sottolineato l'avvocato.