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L’alternativa alla guerra dei dazi di Trump, gli esperti: “L’Europa può avvicinare la Cina e isolare Mosca”

La Russia era esclusa dai dazi Usa ma ne avrebbe sentito lo stesso il peso, dicono gli esperti intervistati da Fanpage.it. L’economista Inozemtsev: “Solo Bruxelles può attrarre la Cina con offerte commerciali e spezzare l’asse tra Pechino e il Cremlino. Consentendo una pace sostenibile in Ucraina”.
A cura di Riccardo Amati
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Prima dell’inevitabile stop, decretato più dai mercati finanziari che dal presidente, Donald Trump aveva imposto dazi anche ai pinguini ma non alla Russia. Un po’ perché gli scambi commerciali degli Usa con Mosca sono minimi. Soprattutto, perché spera ancora di negoziare con Vladimir Putin una pace in Ucraina. Più in generale per blandire il Cremlino e allontanarlo dall’orbita della Cina, il peggior nemico della “grandezza americana”.

Missione impossibile, secondo gli esperti sentiti da Fanpage.it: la dipendenza dei russi dal paese del Dragone è ormai quasi totale. Alcuni economisti ritengono piuttosto che potrebbe essere l’Europa, se volesse, a favorire un allontanamento tra Pechino e Mosca. Agendo sul pianeta Cina, non sul Cremlino. La guerra commerciale scatenata dalla Casa Bianca, anche se per il momento sospesa, crea infatti l’occasione per stringere accordi con Xi Jinping. Che aborrisce tutto ciò che provoca problemi al commercio mondiale. Ed è forse l’unico che può costringere Putin a una pace accettabile per Kiev.

La Russia ha poco da offrire

“Le tariffe in sé contano poco, per la Federazione Russa”, dice a Fanpage.it Vladislav Inozemtsev, economista dell’European Centre for Analysis and Strategies (Case). Il volume del commercio con gli Stati Uniti è diminuito di dieci volte dal 2021, da 38 a quattro miliardi di dollari. Secondo previsioni Bloomberg, il totale dell’export russo verso tutto i Paesi scenderà sotto i 400 miliardi. “Ma ci sono due seri problemi, per Mosca”, avverte Inozemtsev: “I tentativi di discutere la cooperazione economica tra Stati Uniti e Russia falliranno. La Russia non ha nulla da offrire agli Stati Uniti nemmeno in tempi normali, figuriamoci adesso che gli americani sono occupati con ben altro”. La missione affidata da Putin al suo fedelissimo Kirill Dmitriev, spedito a Washington per discutere di business e dare ai colloqui paralleli sull’Ucraina una veste “transazionale” come piace a Trump, rischia il dimenticatoio. “L’altro problema è il petrolio: il bilancio statale russo è calcolato per un prezzo del greggio intorno ai 69 dollari, e ora siamo a quota 50”.

Finanze e petrolio

Le entrate derivanti dalle esportazioni di petrolio finanziano circa un quarto della spesa federale – incluse le crescenti spese militari. “Se il mondo dovesse scivolare in recessione e i prezzi del petrolio dovessero scendere stabilmente a 50 dollari al barile, l’equilibrio fiscale della Russia verrebbe compromesso”, nota Alex Isakov, Russia Economist di Bloomberg Economics. Nel breve termine, la Russia potrebbe riuscire a trarre vantaggio da una guerra commerciale sostituendo le forniture energetiche statunitensi alla Cina. A cui potrebbe far gola soprattutto il Gnl russo. Che peraltro potrebbe presto essere escluso dalle importazioni Ue. Se ne sta discutendo a Bruxelles.

Ma i vantaggi sarebbero solo temporanei, sostiene Inozemtsev: “Gli Usa rinegozieranno presto le tariffe energetiche con Cina e altri paesi, perché le esportazioni di gas e petrolio sono vitali per la loro economia. Tariffe alte non sono sostenibili in un mercato globale”. Secondo l’accademico russo, a lungo a capo dell’istituto di Economia internazionale dell’Università Lomonosov di Mosca, le misure di Trump puntano più alla negoziazione che all'applicazione effettiva, e “la situazione cambierà entro fine anno”. Forse anche prima, vista l’ultima mossa della Casa Bianca.

Zakharova irritata

Fatto sta che la raffica delle tariffe di Trump a Mosca non erano proprio piaciute. L’ineffabile portavoce del ministero degli Esteri MaZakharovaria Zakharova ha dichiarato che “Washington non si considera più vincolata dalle norme del diritto commerciale internazionale”. Mica poco, visto che il governo russo ha evitato critiche dirette a Trump dal suo ritorno alla Casa Bianca, nella speranza di ottenere il sostegno degli Stati Uniti per un accordo di pace in Ucraina favorevole alla Russia. “Qualsiasi scossa all’economia mondiale, che minacci un rallentamento della crescita e un calo generale dei consumi, ha prospettive negative su molti processi globali”, ha affermato Zakharova. Anche la presidente della Banca Centrale russa, Elvira Nabiullina, aveva avvertito dei “rischi significativi” derivanti dall’escalation delle tensioni commerciali. La borsa di Mosca era andata a picco come le altre, all’annuncio dei dazi. Ma era salita con il ritorno di Trump alla Casa Bianca. “Dopo l’uscita degli investitori stranieri, il mercato azionario russo è mosso soprattutto dal sentimento degli investitori locali, influenzato dagli sviluppi nei negoziati con gli Usa sul conflitto Russia-Ucraina”, spiega ancora a Fanpage.it Alex Isakov. I recenti movimenti riflettono l’alternarsi di speranze e delusioni su un possibile cessate il fuoco, più che gli shock nel commercio globale.

Qualche beneficio, forse

Isakov ritiene che una guerra commerciale possa portare anche qualche beneficio alla Russia: un aumento dell’offerta e un probabile calo dei prezzi delle importazioni dalla Cina e da altri paesi potrebbero contribuire a ridurre l’inflazione attualmente intorno al 10%”, afferma. Riguardo poi alla possibilità che le tariffe americane spingano i Paesi colpiti a distanziarsi dal dollaro e dal sistema finanziario statunitense, come ha più volte auspicato da Putin, Mosca ha poco da sperare: “Dal 2014, il sistema finanziario globale si è evoluto, con l'obiettivo di ridurre gli avanzi commerciali tramite un aumento delle importazioni e degli investimenti interni da parte dei principali esportatori di materie prime”, sottolinea Isakov. “Le economie in surplus, come Arabia Saudita, Russia e Cina, hanno visto calare gli avanzi delle partite correnti, riducendo così la necessità di reinvestire in debito emesso da Stati Uniti e altri Paesi”.

Una pericolosa dipendenza

Dopo l’invasione dell’Ucraina, la Russia si è resa dipendente dalla Cina. La quota cinese nel suo commercio è passata dal 17,9% nel 2021 al 36,9% del 2024. Il 42% del gas russo esportato va in Cina. A prezzi calmierati. Così come il 48% del carbone e il 50% del petrolio venduta da Mosca. Auto, laptop e smartphone cinesi dominano il mercato russo. Mentre, energia fossile a parte, l’export verso Pechino è minimo. Per la Cina sono immensamente più rilevanti i legami economici con l’Occidente. Il commercio con la Russia è pari a 245 miliardi di dollari, di sei volte inferiore rispetto a quello con Stati Uniti, Ue e Regno Unito. Gli investimenti diretti tra Cina e Russia non superano i 15 miliardi, mentre con l'Occidente arrivano a oltre 600 miliardi. Pertanto, “concessioni economiche dall’Unione Europea potrebbero cambiare l'atteggiamento cinese verso la Russia e accelerare un avvicinamento tra Pechino e l’Occidente”, argomenta Inozemtsev. Si tratterebbe di fare “offerte allettanti” per concludere accordi commerciali a tariffe reciproche vicine allo zero. Al contempo, sarebbero auspicabili “pressioni su Taiwan per cercare la pace, simili a quelle attualmente in atto nei confronti dell’Ucraina”, aggiunge l’economista. “Allora l’avvicinamento tra Cina e Occidente potrebbe accelerare a un ritmo senza precedenti”.

Pragmatismo cinese

Inozemtsev fonda questa sua convinzione su frequentazioni strette con la Cina, come consulente di aziende e istituzioni. “Ai cinesi importa poco dei russi, che anzi li irritano spesso perché non li ascoltano su molte questioni politiche”. La Cina, al contrario della Russia non vuole disintegrare l’ordine globale. Ha troppo interesse al commercio. “L’Ue dovrebbe sentirsi galvanizzata dal terremoto provocato da Trump, e intraprendere questa missione di avvicinamento a Pechino”. I flussi commerciali relativamente bilanciati dell’Europa le consentono di sostituire l’America in quella che avrebbe dovuto essere la sua, di missione, secondo l’economista. “L'isteria di Trump sulle importazioni cinesi sembra simile alla sua ossessione per l'abbigliamento del presidente ucraino Zelensky”. Per Inozemtsev, “il debito cinese non è una minaccia, per gli Usa: nel 2020-2021 la Federal Reserve ha finanziato gran parte dei prestiti statunitensi e, avendo aumentato le sue obbligazioni di 3,4 trilioni, ricomprare 760 miliardi dalla Cina sarebbe facile”.

Una missione per l’Europa

Le condizioni necessarie per questa “missione sostitutiva” europea sarebbero essenzialmente tre, dice l’economista russo. Si tratterebbe di “mettere da parte temporaneamente le questioni sulla democrazia e diritti umani”. E sarebbero necessari “la cessazione di tutti i legami economici con la Russia e i suoi satelliti, oltre a una pressione sulla Cina affinché condanni l'aggressione di Mosca contro l'Ucraina. Pechino potrebbe allora “realizzare che il regime di Putin ha i giorni contati. E avrebbe la prospettiva di accedere alle risorse di Mosca e mantenere il mercato russo, mentre migliora le relazioni con l’Occidente". Irrealistico? Forse. Ma un tale approccio potrebbe consentire all’ Europa non solo di uscire nel migliore dei modi dal caos dei dazi di Trump — ammesso che le mantenga — ma anche di garantire in Ucraina una pace accettabile per Kiev. E quindi sostenibile. Intanto, Pedro Sanchez venerdì sarà a Pechino a parlare con Xi. “L’Europa deve ripensare i suoi legami con la Cina”, ha detto il primo ministro spagnolo. Altri capi di governo europei sembrano avere priorità diverse.

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