Nelle scorse ore, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato che sei paesi africani produrranno i loro vaccini a mRNA. Egitto, Kenya, Nigeria, Senegal, Sud Africa e Tunisia sono stati selezionati come i primi destinatari della tecnologia dall’hub globale di vaccini mRNA dell’Oms, nel tentativo di garantire che il continente africano possa produrre dosi proprie di siero per combattere il Covid e altre malattie. "La pandemia di Covid-19 ha dimostrato meglio di qualsiasi altro evento che affidarsi a una manciata di aziende per fornire beni pubblici globali è restrittivo e pericoloso", ha affermato il direttore generale dell'Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus. Il modo migliore per affrontare le emergenze sanitarie e ottenere una copertura sanitaria universale è "aumentare notevolmente la capacità di tutte le regioni di produrre i prodotti sanitari di cui hanno bisogno", ha aggiunto.
Il direttore generale dell’Oms non è di certo il primo a lanciare l’allarme sulla distribuzione dei vaccini nel mondo. Le più importanti riviste scientifiche internazionali lo stanno ripetendo da tempo: “The pandemic will not end while vaccine equity keeps getting pushed to the margins” titolava l’editoriale del 7 dicembre di Nature, sottolineando l’enorme disuguaglianza – l’ennesima disuguaglianza – che la pandemia ha generato nella diffusione dei vaccini, dove nei paesi a basso reddito solo il 6% della popolazione ha ricevuto almeno una dose.
I dati dei vaccini nel mondo
È come sempre il continente africano il fanalino di coda nella somministrazione dei vaccini del mondo, con solo il 17% della popolazione che ha ricevuto almeno una dose di vaccino e il 12% che ha completato il primo ciclo vaccinale. Ancora più drammatica è la situazione di alcuni paesi africani, dove di vaccini quasi non v’è traccia. Parliamo del Burundi, dove ha ricevuto una dose solo lo 0,1% della popolazione, del Congo (0,5%), Ciad (1,7%), Sudan del Sud (2,9%), Cameroon (3,2%), Nuova Guinea (3,4%), Madagascar (3,6%) e la lista sarebbe ancora lunghissima.
Nel guardare la mappa della distribuzione dei vaccini nel mondo elaborata dal New York Times, in quell’Africa colorata di arancione (in compagnia di alcuni Paesi del medio oriente, dell’Est Europa, dell’Asia e del centro America) c’è tutta l’ingiustizia di un sistema che vede nelle mani di poche case farmaceutiche le sorti del diritto alla salute di tutti i cittadini del mondo.
L’urgenza dell’indipendenza africana
Il problema della distribuzione dei vaccini e dei farmaci verso i Paesi più poveri non nasce certo con la pandemia di Covid-19. L’Africa è da sempre un continente falcidiato dalle epidemie e spesso dimenticato dalle case farmaceutiche perché poco redditizio, ma il problema della sua indipendenza nella produzione di farmaci e vaccini nei prossimi anni sarà sempre più dirompente. Basti pensare che oggi l’età media della popolazione africana è 19 anni mentre quella europea è 44, e che con un tasso di crescita che si aggira tra il 3% e il 5% annuo, da qui al 2050 l’Africa subsahariana conterà all'incirca il 57% della crescita demografica globale, e il 23% circa della popolazione mondiale sarà subsahariana, dal 15% circa attuale. Parliamo di circa un miliardo di cittadini in più rispetto agli attuali. In confronto, la quota di popolazione globale dell’Unione Europea che si aggira oggi intorno al 6%, scenderà secondo le stime al 4% entro il 2050. Mentre la nostra piccola Italia, secondo Lancet, con l’attuale tasso di crescita negativo è destinata a dimezzare la popolazione entro il 2100, scendendo a circa 30 milioni di abitanti.
Insomma, favorire lo sviluppo e l’indipendenza dei paesi africani è un problema non più rimandabile e che riguarda principi di giustizia sociale oltre che di salute pubblica internazionale. Perché se c’è una cosa che questi due anni ci hanno insegnato, è che una pandemia non può essere contrastata con l’individualismo sfrenato dei paesi più ricchi, che fanno a gara per l’approvvigionamento di scorte di vaccino. Serve piuttosto un impegno collettivo e su scala globale, basato su due pilastri su cui sarebbe ora di agire: la condivisione dei brevetti su farmaci e vaccini e la costruzione delle infrastrutture necessarie alla loro produzione nei paesi più poveri.
Il fallimento del programma COVAX
"Omicron dimostra proprio perché il mondo ha bisogno di un nuovo accordo sulle pandemie", ha affermato il direttore generale dell'OMS all'inizio della sessione speciale dell'Assemblea mondiale della sanità, tenutasi dal 29 novembre al 1° dicembre in Svizzera. Al termine dell'incontro, Ghebreyesus ha citato la necessità di un contratto per fortificare la cooperazione tra i paesi, affermando che potrebbe ridurre gli "approcci ‘me-first' che ostacolano la solidarietà globale necessaria per affrontare una minaccia globale".
Staremo a vedere se prima o poi riusciremo a passare dalle belle parole ai fatti. Per adesso non possiamo che registrare l’ennesimo fallimento, quello del programma COVID-19 Vaccines Global Access (COVAX) per la fornitura di vaccini ai paesi a basso reddito. Istituito all’inizio della pandemia da alcuni paesi donatori, fondazioni filantropiche e dall'OMS con lo slogan "nessuno è al sicuro finché tutti non sono al sicuro", il COVAX prevedeva di vaccinare il mondo passo dopo passo, a cominciare dalle popolazioni più vulnerabili.
Non serve un investigatore del calibro di Sherlock Holmes per capire che questo non è mai successo. I governi donatori hanno promesso vaccini alla COVAX mentre conducevano negoziati paralleli con le aziende, in alcuni casi ordinando molte più dosi di quelle necessarie. Il COVAX non era la priorità, e la dimostrazione sta nel fatto che di 2 miliardi di dosi promesse entro la fine del 2021, a luglio ne erano state consegnate solo 95 milioni. Con la fine dell’estate e gran parte della popolazione occidentale vaccinata, il COVAX ha ricominciato a carburare arrivando a consegnare 600 milioni di vaccini. Ma poi con l’ondata di Omicron è ricominciata la corsa dei paesi ricchi all’accaparramento di scorte, in particolare per i vaccini basati sull'RNA messaggero, più efficaci contro Omicron. E cosa accadrà quando avremo un vaccino costruito sulla variante Omicron o magari efficace contro tutte le varianti del Sars-CoV-2? Visto come stanno andando le cose, non è difficile immaginarlo. E i paesi a basso reddito saranno sempre in fondo alla lista.