La Turchia si prepara alla guerra: il piano di Erdogan per spazzare via i Curdi
Il presidente Erdogan l’aveva minacciata diverse volte. E alla fine, l’invasione dell’esercito turco sul nord della Siria, è ormai imminente. Negli ultimi giorni, gli annunci da parte degli Stati Uniti hanno creato una certa confusione sull'inizio dell’operazione militare. Se Donald Trump in un primo momento ha dato sostanzialmente luce verde all'attacco, appena poche ore dopo, ha ridimensionato l’appoggio americano, minacciando addirittura ripercussioni sulla già debole economia turca. Ore di incertezza anche per i curdi siriani, considerati terroristi da Ankara, ma preziosi alleati degli Usa nella guerra contro l'Isis.
Quali sono gli obiettivi di Erdogan in Siria?
Il piano di Erdogan nel nord della Siria è chiaro da tempo. Il presidente turco mira a creare una “zona cuscinetto” al confine meridionale. Il “Sultano” ha fatto capire in diverse occasioni che non avrebbe ceduto nella sua rivendicazione. Ha minacciato l’Unione Europea di “aprire le porte” ai profughi siriani (la Turchia ospita oltre 3,5 milioni di rifugiati) e, in un messaggio rivolto agli Stati Uniti, ha detto di essere pronto ad agire da solo se Washington avesse continuato a rallentare il suo progetto. “Se non ci saranno risultati dal negoziato con gli Stati Uniti sulla formazione di una zona sicura – ha affermato Erdogan pochi giorni fa – inizieremo i nostri piani tra due settimane”. Per il presidente turco, quindi, il tempo è scaduto e le sue truppe sono pronte a sferrare l’attacco.
Nelle intenzioni turche, l’esercito dovrebbe occupare un’area di più di 30 chilometri dentro la Siria. Una striscia di territorio lunga 480 chilometri fino all'Iraq. L’obiettivo è noto: contenere le milizie dell'Ypg (Unità di protezione popolare curda), ritenute dalla Turchia l’estensione del Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan da anni in lotta per l’indipendenza da Ankara. Nel corso della lunga guerra siriana, i combattenti dell'Ypg sono stati i protagonisti della liberazione di Kobane e di Raqqa dagli estremisti del sedicente Stato Islamico. Ecco perché, per i curdi, la decisione di Trump di ritirare il contingente americano dal nord-est della Siria rappresenta “una pugnalata alle spalle”.
Il secondo scopo della Turchia è consentire il ritorno in patria di almeno 2 milioni di rifugiati siriani. Da mesi, la questione dell’accoglienza dei profughi infiamma il dibattito politico. Con la “ricollocazione” di centinaia di migliaia di disperati in fuga dalla guerra, Erdogan pretende dare una risposta ai turchi allarmati dalla grave crisi economica che sta attraversando il Paese. “Dobbiamo prenderci cura della sicurezza delle nostre frontiere e assicurarci che i rifugiati siriani tornino alle loro case in modo sicuro e volontario”, ha dichiarato Ibrahim Kalin, portavoce del presidente turco.
I curdi: “Siamo pronti alla guerra totale”
Di fronte all'imminente invasione turca, i curdi siriani sono pronti alla “guerra totale”. “Risponderemo a qualsiasi tipo di attacco”, ha detto Dalbr Issa, comandante delle Ypg. “Le forze democratiche curde sono nate per difendere il nostro popolo. Come abbiamo risposto all'Isis sarebbe lo stesso anche contro un attacco dello Stato turco”. Al di là della prevedibile risposta armata, è in corso una mobilitazione di civili nelle città di Ras al-Ain, Tal Abyad e Kobane lungo il confine. “Saranno scudi umani per impedire l’avanzata turca”, ha detto Arin Sheikhmous, un attivista di Qamishli, dove in centinaia hanno manifestato fuori dall'ufficio delle Nazioni Unite. Oltre ad un nuovo disastro umanitario, in una regione che non conosce pace da oltre otto anni, a preoccupare è anche una possibile rinascita del fanatismo dello sedicente Stato islamico. “Un'invasione da parte delle forze turche – affermano i curdi – creerà circostanze che permetteranno all'Isis di riorganizzarsi e commettere crimini contro l'umanità, diventando ancora una volta una minaccia per tutto il Medio Oriente, l'Europa e il mondo causando morte e distruzione indicibili e costringendo milioni di persone a fuggire dalle loro case diventando rifugiati”.
Migliaia di prigionieri dell'Isis a rischio fuga
Da quando l'Isis è stato sconfitto, migliaia di ex combattenti sono prigionieri delle forze delle Sdf (Syrian Democratic Forces), l’esercito appoggiato dagli Usa nella guerra al Califfato nero, e di cui i curdi sono una parte importante. Nel caso di attacco della Turchia, assicurare la detenzione di circa 12mila estremisti islamici, tra cui almeno un quarto foreign fighters, passerebbe ad essere una “priorità secondaria”. E’ quanto ha fatto sapere il generale Mazloum Kobani Abd. “Molti dei nostri soldati provengono dalle città di confine e lascerebbero il loro posto nei centri di detenzione per andare a difendere i loro familiari”.
Nel complicato scacchiere mediorientale, un’altra conseguenza dell’avanzata di truppe turche nel nord della Siria sarebbe quella portare i curdi ad allearsi con l’esercito di Bashar al Assad. Un’eventualità impensabile fino a qualche anno fa ma che adesso è presa in considerazione dai comandanti delle Sdf. “Questa è una delle opzioni che abbiamo sul tavolo”, ha assicurato Mazloum.
L'Onu si prepara al peggio
Da parte sua, le Nazioni Unite hanno espresso allarme per l’intervento militare della Turchia in suolo siriano. L'Onu ha già elaborato piani di emergenza per assistere le persone che potrebbero fuggire verso sud. “Qualsiasi operazione (militare) – ha affermato Panos Moumtzis, coordinatore umanitario regionale delle Nazioni Unite per la crisi siriana – in questo momento deve garantire che non ci saranno ulteriori sfollamenti”. “Speriamo nel meglio, ma ci prepariamo al peggio”. “Il concetto di zona sicura – ha continuato Moumtzis – richiama alla memoria una storia amara e una realtà che non possiamo in alcun caso promuovere o incoraggiare”. Per il diplomatico, gli esempi tragici non mancano e ha citato quanto accaduto a Srebrenica, dove nel 1995 circa 8.000 musulmani furono massacrati dall'esercito serbo-bosniaco in una "zona sicura" dichiarata proprio dall'Onu.