La Turchia di Erdoğan contro tutti
La Turchia della protesta incrocia giorni e destino con quella del voto, dei mercati, del vivere. Magari alzerà la voce per tutto il tempo che separa il Paese da un’agenda interna fittissima contrassegnata da tre appuntamenti elettorali in cui non avrà rappresentanza. A quelli pensa e punta Erdoğan per un tutto per tutto personale e politico.
Il peso dell’urna – Con l’urna dovranno misurarsi amici che possono diventare avversari dentro il partito islamico e gli avversari dell’opposizione ufficiale. Gli oppositori di strada il premier non li considera. Li insulta. Continuerà a inzupparli e gasarli, gli serviranno come spettro da esibire per riproporsi a nuovi incarichi. Il pericolo çapulcular occorre per serrare attorno a sé il consenso di chi teme coloro che "bruciano proprietà pubbliche e private, entrano nella Moschea di Dolmabahçe con bottiglie di birra e scarpe". Ovviamente la propaganda esalta quel che fa comodo, ma la propaganda sarà protagonista delle presidenziali dell’anno venturo, delle amministrative del marzo 2014, delle politiche previste per il 2015 che si vocifera verranno anticipate. Anzi i rumors di queste ore già prevedono un accorpamento delle tre consultazioni nel giugno 2014. L’accetteranno anche le opposizioni sia perché la sfida rientra nelle consuetudini politiche turche, sia perché repubblicani (ora dati in forte crescita) e nazionalisti proveranno a trarre vantaggio dall’onda della protesta, soprattutto se dovesse durare.
Tanti nemici – Erdoğan per vincere ha bisogno di nemici, accanto alla protesta definita anarchica, luddista e senzadio un altro fantasma glielo forniscono le agenzie di rating che nei giorni di tumulto hanno fatto tremare la Borsa. L’economia del Pil a due cifre ha intravisto balenare altre cifre (10.5%) di caduta dell’indice azionario. Il premier, e anche certi economisti di casa, hanno incolpato quegli investitori stranieri lesti nel ritirare capitali dal mercato interno per via dell’occupyGezi, ma parlare di manovra di lobbies finanziarie – che pur potranno esserci – non è un argomento che l’attuale governo potrà spendere facilmente a suo favore. Le lobbies finanziarie stanno facendo miliardi di dollari grazie alla politica di prestito ad alti tassi d’interesse che l’Akp non ha contenuto per inseguire il boom di un’economia da primato. Eppure chi conosce il primo ministro giura che lui cercherà consensi anche su questo tema, battendo sulle difficoltà diffuse fra i ceti medi nello star dietro a mutui dai tassi altissimi. In questi giorni la lira turca ha toccato il punto più basso di scambio col dollaro e la sperequazione può ulteriormente salire.
Le sfide – La partita politica si potrà riaprire, seppure il gap col maggior partito d’opposizione (Chp) è talmente ampio che difficilmente si potrà assistere a un sorpasso; mentre i prossimi mesi, anzi le settimane a venire, vedranno soprattutto la ricomposizione o la spaccatura interna all’Akp per le cariche che gli sfidanti dovranno ricoprire. Erdoğan e Gül sono due elementi carismatici in predicato per la presidenza, potrebbero accordarsi coi rispettivi entourages su una staffetta: presidente il primo, premier il secondo seppure la mossa parrebbe quella diarchia che fa correre la mente alla nient’affatto democratica coppia Putin-Medvedev. Se invece non ci sarà alcun patto e la bagarre interna all’ambiente islamico dovesse salire, nonostante i consigli alla moderazione dell’intellettuale Fetulah Gülen, allora i rischi sarebbero maggiori per tutti, partito compreso. Come terzo incomodo, sempre proveniente da quelle fila, si fa il nome di Mehmet Ali Şahin, già presidente del Parlamento nazionale, una terza alternativa che forse accontenterebbe solo gli scontenti.
Timore di scissioni – Ma questo sancirebbe una spaccatura così profonda e un’emorragia di voti talmente ampia che ne risentirebbe l’intero modello politico costruito con pazienza per anni. Alcuni analisti, nel valutare l’ostinazione con cui Erdoğan cerca di anticipare anche le consultazioni politiche da una parte avanzano la scontata ipotesi del giocatore d’azzardo che quando vince vuol fare banco, dunque se l’onda del consenso l’accompagnerà incamererebbe il tris di presidenza, governo e maggioranza nelle province. L’altra idea è quella di evitare il pericolo reale di un secondo partito islamico che potrebbe nascere per iniziativa di quei deputati ormai impossibilitati a presentarsi per un nuovo mandato nel 2015. Col voto anticipato di un anno Erdoğan gli proporrebbero altri incarichi, diplomatici e non solo, prevenendo la tentazione di proseguire l’agone politico magari cavalcando proteste e sfide familiari.