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La Turchia di Erdogan bombarda i curdi a Afrin. E il mondo fa finta di non vedere

La Turchia continua la sua offensiva contro i curdi nel nord ovest della Siria. Le truppe di Erdogan hanno circondato Afrin e interrotto la fornitura d’acqua alla città. Ieri i bombardamenti dell’aviazione e dell’artiglieria turca hanno causato 12 morti. Anche diversi italiani stanno combattendo a fianco dei curdi. Dal 20 gennaio, quando è iniziata l’operazione miliare “Ramoscello d’ulivo”, si contano già centinaia di vittime tra i civili.
A cura di Mirko Bellis
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I bombardamenti su Afrin, la città siriana a maggioranza curda sotto attacco dell'esercito turco
I bombardamenti su Afrin, la città siriana a maggioranza curda sotto attacco dell'esercito turco

Gli aerei turchi stanno bombardando pesantemente Afrin”, l’allarme lanciato da Hediye Yusuf, la co-presidente della Federazione Democratica del Rojava. Nella città del nord-ovest della Siria a maggioranza curda la situazione si aggrava di ora in ora. L’esercito turco ha completato l’assedio e i primi civili stanno cercando di mettersi in salvo nelle poche vie di fuga. Secondo le Nazioni Unite, dopo aver conquistato la maggiore diga della regione, la Turchia ha deciso di interrompere per una settimana la fornitura d’acqua agli abitanti della città. “L'acqua è stata completamente tagliata dall'esercito turco", ha confermato Birusk Hasaka, portavoce delle Unità di difesa popolare (Ypg) ad Afrin. “I civili dipendono dai pozzi e, oltre a non essere sufficienti, sfortunatamente l’acqua non sempre è potabile”. Ma nella città assediata manca anche l’elettricità e si stanno formando lunghe code per poter comprare il pane. E, come nella Ghouta orientale da settimane sotto attacco dell’esercito di Assad, anche ad Afrin donne e bambini sono costretti a rifugiarsi nei sotterranei per sfuggire alle bombe.

“Condanniamo fermamente gli attacchi dello Stato turco e delle bande sue alleate che cercano un massacro”, scrive il Consiglio democratico siriano in una nota. “Facciamo appello alla comunità internazionale e alle organizzazioni per i diritti umani affinché agiscano e rompano il loro silenzio”. Juan Mohammad, il direttore dell'ospedale di Afrin, ha affermato che il suo staff medico non riesce a curare l’alto numero di feriti che continuano ad arrivare a causa dei pesanti bombardamenti sulla città.

L’operazione militare “Ramoscello d’Ulivo” vede l’alleanza tra la Turchia e le milizie dell’Esercito libero siriano (Fsa), considerate moderate dalle potenze occidentali ma che nel corso degli anni hanno visto ingrossare tra le loro fila sempre più combattenti islamisti. Dal 20 gennaio scorso, data di inizio dell’offensiva sull'enclave curda in Siria, sono già centinaia i morti, tra cui molte donne e bambini. Solo nei bombardamenti di ieri, hanno perso la vita 12 civili.

La Turchia, il secondo esercito della Nato, mira a creare un “cuscinetto di sicurezza” di 30 chilometri in terra siriana. Per il governo di Erdogan, le Unità di difesa popolare curde (Ypg) sono un’organizzazione terrorista alleata al Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), nemico storico di Ankara. Le Ypg, il principale gruppo armato che controlla il nord della Siria, sono state le protagoniste solo un paio di mesi fa della liberazione di Raqqa dai jihadisti dello Stato islamico. Una guerra, quella all'estremismo islamico, affatto conclusa. I miliziani dell’Isis, infatti, si stanno riorganizzando approfittando dell’invio di combattenti curdi verso nord per difendere Afrin.

Come già accaduto nella battaglia di Kobane o a Raqqa, sono diversi gli italiani che, con le armi o con una telecamera, si trovano a fianco dei curdi in questo momento. E’ il caso di Jacopo Bindi, un’attivista torinese che con i suoi video documenta quello che sta succedendo ad Afrin. O come Karim Franceschi, marchigiano, ormai un veterano delle Ypg. Combattenti stranieri che hanno deciso di unirsi ai curdi, prima per sconfiggere l’estremismo islamico dell’Isis, e adesso contro la Turchia.

Un 15 marzo di sette anni fa cominciavano le prime proteste pacifiche dei siriani per chiedere maggiore libertà e democrazia. Quello che era nato come un movimento di popolo si è presto trasformato nella carneficina a cui il mondo ha assistito inerme per tutti questi anni. Milioni di profughi, altrettanti sfollati e centinaia di migliaia tra morti e feriti. Un disastro che, nonostante i timidi negoziati di pace, sembra destinato a non finire presto. Il presidente turco Erdogan ha dichiarato che le operazioni militari in Siria continueranno fino a quando tutto il cantone curdo di Afrin non sarà conquistato. Un’ulteriore prova della piccola guerra mondiale che si sta combattendo sul suolo siriano, dove le rivalità tra le potenze regionali (Arabia Saudita, Iran, Israele, Turchia) si intrecciano a quelle delle grandi potenze (Usa, Russia). E a pagare il prezzo più alto, come già avvenuto troppo volte in passato, è la popolazione civile.

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