La testimonianza dopo la strage al campo di calcio nel Golan: “Troppe stranezze, siamo sotto shock”
“Stavo a casa quando ho sentito un boato molto forte e le finestre hanno cominciato a tremare. Abito a pochi metri dal campo di calcio che è stato colpito dal drone sabato”, racconta Adeel (nome di fantasia) voltandosi verso il finestrino dell’aereo, in viaggio verso l’Italia. Alle spalle si lascia il suo villaggio, Majdal Shams e le macerie del campo, i corpi dei bambini, la disperazione delle madri, ma soprattutto il terrore di un'imminente e devastante escalation con il Libano.
“La comunità drusa nelle alture del Golan è molto unita, anche se non conoscevo i dodici bambini che sono stati uccisi dall’esplosione, adesso è come se fossero morti i miei cugini. Siamo tutti sotto shock e abbiamo paura di quello che accadrà dopo”, continua.
Intanto scrolla le immagini nel suo cellulare: “lo vedi questo? È lo shelter costruito qualche settimana fa, stava così vicino ma i bambini non hanno avuto il tempo di rifugiarsi lì. È stato tutto troppo veloce, dal suono della sirena all’arrivo del drone sono passati solo pochi secondi”.
Intanto si discute su chi abbia fatto l’attacco ma soprattutto sull'intenzionalità di colpire quel target. Le autorità israeliane hanno da subito additato Hezbollah, l’organizzazione paramilitare libanese, promettendo immediata vendetta contro il Libano. Hezbollah continua a negare la responsabilità dell’attacco, mentre il ministro degli esteri libanese Abdullah Bu Habib ha affermato che la morte dei dodici giovani potrebbe essere stata causata da un errore israeliano, di Hezbollah o di "un'altra organizzazione", chiedendo un’indagine internazionale o la convocazione del comitato tripartito di Unifil per chiarire quanto accaduto.
Di fatto risulta inspiegabile pensare che Hezbollah abbia colpito intenzionalmente la comunità drusa nelle alture del Golan, occupate nel 1967 e annesse da Israele nel 1981, annessione mai riconosciuta dalla comunità internazionale. Ma soprattutto che abbia volutamente ucciso 12 bambini e ragazzini arabi di una comunità che si identifica per la maggior parte come siriana.
“Mio nonno quando gli ho detto che avrei voluto chiedere la cittadinanza israeliana mi ha detto che non mi avrebbe parlato mai più fino alla mia morte”, continua Adeel, “alcuni qui l’hanno richiesta, e hanno pure fatto il servizio militare, ma sono davvero pochissime persone. Avere la cittadinanza israeliana per noi vorrebbe dire un giorno poter essere costretti a combattere contro la nostra gente in Siria”.
Se una cosa è certa, però, l’attacco a Majdal Shams rappresenta l’alibi perfetto per l’inizio di un’offensiva su vasta scala in Libano.
“Hai visto come ha risposto Israele all’attacco degli Houthi a Tel Aviv, bombardando la città portuale di Hodeidah. Abbiamo paura che una risposta su vasta scala di Israele in Libano causi un’escalation con Hezbollah dalla quale non si potrà più tornare indietro. – dice il giovane prendendo in mano il suo documento di viaggio. – Israele non ci protegge, noi siamo cittadini di serie C. Non abbiamo neanche un passaporto, questo documento di viaggio specifica che non siamo cittadini dello stato di Israele. Un’escalation potrebbe portare solo altro sangue di gente che non c’entra niente”.
Ieri ai funerali dei dodici bambini drusi i ministri israeliani, compreso il ministro delle finanze ultranazionalista Bezalel Smotrich, sono stati allontanati al grido "via da qui", "ci avete abbandonato per nove mesi e ora siete qui", come dichiarato dal quotidiano israeliano Times of Israel. Oggi, invece, il primo ministro Benjamin Nethanyau è stato "accolto" a Majdal Shams da diversi cartelli con scritto "criminale di guerra", "assassino", come riportato nelle immagini di Agence France-Presse.