La strana missione diplomatica di Kirill Dmitriev, tra intrighi, rivalità e corruzione alla corte di Putin

Quando Sergei Lavrov ha visto che al tavolo delle trattative con gli americani c’era una sedia anche per Kirill Dmitriev, l’ha tolta stizzito: “Se vuol partecipare, che sia Vladimir Vladimirovich (Putin, ndr) a dirmelo”, è stato il commento del ministro degli Esteri della Federazione Russa. La scena è descritta dalla testata giornalistica indipendente Agentsvo, che cita una persona a conoscenza di quel che è avvenuto a Riad il 18 febbraio scorso tra i marmi verdi e ocra della sala del palazzo di Diriyah, culla della casa dei Saud e del wahabismo, sede del negoziato tra russi e americani.
Fanpage.it non ha potuto verificare i fatti. Alcuni video e foto documentano però che Dmitriev non viene presentato ai mediatori sauditi. Lavrov e l’assistente presidenziale per la politica estera, Yury Ushakov, se lo lasciano alle spalle. Nelle immagini ufficiali, solo loro due siedono di fronte al Segretario di Stato Usa Marco Rubio, al Consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz e all’inviato speciale del presidente Trump Steve Whitkoff. Nell’unico scatto che vede Dmitriev a colloquio con i tre statunitensi, Lavrov e Ushakov sono assenti.
Uno di troppo
La delegazione doveva effettivamente essere di due persone. Dmitriev è l’amministratore delegato del Fondo sovrano per gli investimenti diretti (Rdif), niente a che vedere con la diplomazia. Ma è amico di Putin. Gli ha chiesto di potersi aggiungere. Il presidente gli ha detto sì e non ha avvertito Lavrov, secondo la fonte di Agentsvo. Comunque sia andata, questo modo di gestire la comunicazione con i collaboratori è tipico del leader del Cremlino. Che sa bene come il rapporto diretto col capo sia la vera fonte di ogni potere in Russia. E tiene i suoi boiari sulle spine, anche mettendoli l’uno contro l’altro. Unico arbitro di ogni disputa, ottiene così il massimo della dedizione e della fedeltà.
Sedie e poltrone
“Certo che Lavrov sarà arrabbiato, per l’intrusione di Dmitriev al top della politica estera”, commenta a Fanpage.it l’ex diplomatico russo Boris Bondarev. Roba da dimissioni? “Non a Mosca”, risponde Bondarev. E fa un esempio di pochi giorni fa, quando Putin ha detto che il suo portavoce Dmitri Peskov “nesiot purgu”, ovvero “spara cavolate”. Mica bello dirlo al tuo portavoce. Ma Peskov ha ingoiato senza fiatare. “A quei livelli del regime, tutti sono aggrappati alle loro poltrone e ai loro privilegi: Putin può dir loro qualsiasi cosa, e farne quel che vuole, nessuno si lamenterà”, spiega l’ex diplomatico. Che personalmente si è lamentato eccome. Dopo l’invasione dell’Ucraina si è dimesso dalla missione permanente russa presso l’ufficio Onu di Ginevra, scegliendo l’esilio.
La missione a Washington
Kirill Dmitriev è stato inviato a Washington per colloqui con Whitkoff. Ha incontrato anche Rubio. Prima visita ufficiale russa in America dall’inizio della guerra. “Dinamica positiva e passi avanti”, ha detto alla Tass, a Fox News e ad altri alla fine della sua due giorni. In realtà non si è arrivati a niente di concreto. Possibile ripresa dei voli tra gli Usa e la Federazione, pare. E nemmeno si è d’accordo sulla rotta. Sulla missione di Dmitriev, il ministero degli Esteri russo (Mid) non ha proferito parola. L’ineffabile Peskov si è limitato a dire che si continua comunicare con gli Usa “attraverso vari canali”. E questo è un problema: Putin di fatto ha incaricato due squadre rivali di negoziare con Washington.

Versioni contrastanti
Non stupisce che sui colloqui le versioni siano contrastanti. Dopo la telefonata tra Trump e Putin, la Casa Bianca ha dichiarato che la strada per la pace sarà aperta “dalla fine degli attacchi a centrali elettriche e infrastrutture”, mentre il Cremlino ha affermato che Putin sosteneva solo una pausa di 30 giorni limitata agli obiettivi energetici. Dopo l’incontro del 24 marzo a Riad, la Cbs aveva annunciato un’imminente dichiarazione congiunta. Poco dopo, la smentita di Peskov: “ colloqui solo tecnici”. Tuttavia, la Casa Bianca ha comunicato un accordo per una tregua parziale nel Mar Nero. In seguito, il Cremlino ha diffuso la sua versione, legando qualsiasi intesa all’avvio dell’alleggerimento delle sanzioni, incluso il ripristino dell’accesso della banca statale Rosselkhozbank al sistema internazionale Swift.
Delegazioni parallele
“Non ci sono veri negoziati: solo incontri sporadici e bilaterali, senza un processo strutturato né un’agenda chiara”, sostiene Boris Bondarev. “Nessuno sa davvero di cosa si discute. Una trattativa seria richiede un capo negoziatore con potere decisionale. Due negoziatori su binari paralleli non funzionano: indicano solo la mancanza di una reale volontà di arrivare a qualcosa. È un modo per prendere tempo”, continua l’ex feluca di Putin. “Non è chiaro nemmeno se Dmitriev si sia coordinato con il ministero degli Esteri. Lavrov sa cosa dice Dmitriev? Altrimenti, emergeranno contraddizioni e gli americani non sapranno a chi dare credito”. L’obiettivo di Putin sembra proprio quello di trascinare questa strana trattativa il più a lungo possibile. Mosca tenta di raggiungere i suoi obiettivi grazie alle armi più che alle cancellerie. La scelta di Dmitriev per attuare questa tattica ha una logica. E non è solo quella di proporre a Trump un russo “americanizzato”, un ex investment banker di Goldman Sachs ed ex consulente della fucina di top manager McKinsey, uno che sa in parlare di business come vuole la visione politica “transazionale” del presidente Usa.
Fedele alla linea
Kirill Dmitriev, 50 anni, ha studiato a Stanford e a Harvard e ha lavorato in Occidente prima di far carriera in Russia. Ma vi ha lavorato poco e a livelli bassini, stando a quanto ricostruito sull’edizione russa del Moscow Times dall’esperta di compliance finanziaria Natalia Mikhina di “Trasparenza internazionale della Russia”. Descritto dai media di Stato come intellettuale preparato, manager efficace e grande negoziatore, deve probabilmente il suo successo alla moglie, amica di una delle figlie di Vladimir Putin. Mikhina lo ritiene papabile per il posto di ministro degli Esteri quando Putin deciderà di mandare in pensione Lavrov. Non è un liberale cosmopolita, ma un componente del regime di stretta osservanza. Non sgarra di una virgola rispetto alla narrativa anti-occidentale, sostiene Boris Bondarev. Che ha avuto a che fare con lui.
Il vaccino mai certificato
Durante la pandemia, Dmitriev era incaricato di gestire la certificazione presso l’Oms del vaccino Sputnik V, finanziato dal fondo da lui guidato. Per farlo, si servì di Bondarev e degli altri diplomatici della missione russa all’Onu di Ginevra. Mettendola in serio imbarazzo. Perché invece del dossier richiesto — previsto da regole approvate anche dalla Russia —inviò solo una lettera autocelebrativa, senza i necessari documenti tecnici. Di fronte alla richiesta di chiarimenti, rispose con accuse contro la russofobia dell’Occidente. Risultato: nessuna certificazione. “Non certo per colpa dell’Oms”, dice Bondarev che ha raccontato la vicenda su Substack. “Ma per l’idea — oggi prevalente a Mosca — che l’Occidente prima o poi si deve piegare alla potenza della Russia”.

Corruptsiya
Dmitriev non è immune all’endemica corruzione che affligge il suo Paese, affermano più investigazioni giornalistiche. Reuters e Vedomosti hanno raccontato come il fondo Rdif abbia acquistato un jet Gulfstream appartenente all’amico di Putin Gennady Timchenko, in pratica “riciclandolo”, dopo sanzioni personali imposte su di lui. Sobesednik ha scoperto che il Rdif collaborava con l'azienda della moglie di Dmitriev, Natalia Popova, legata strettamente a Katerina Tikhonova, figlia di Putin. Un’inchiesta di Vazhnye Istorii ha coinvolto Dmitriev in una fuga di documenti confidenziali con Kirill Shamalov, ex genero di Putin, riguardanti trattative riservate su “Rostelecom”. Un'inchiesta del progetto Arktida ha rivelato legami tra il fondo di Dmitriev e una società australiana che pagava tangenti per licenze e affari in Russia. Con il sostegno della famiglia di Svetlana Radchenko, vice-ministro delle risorse naturali. Pratiche che hanno causato gravi danni ambientali in Chukotka.
L’inchiesta di Navalny
Ma l’inchiesta più interessante resta quella del fondo-anticorruzione di Alexei Navalny. Che a Kirill Dmitriev ha fatto i conti in tasca. Solo il patrimonio immobiliare ammonta a 7,5 miliardi di rubli. Circa 110 milioni di euro. Non mancano le ville a Courchevel e a Cap d’Antibes sulla Costa Azzurra, ovvio. E poi, appartamenti a Dubai e nelle zone più prestigiose di Mosca. Lo stipendio di Dmitriev come capo del Rdif è di 55 milioni di rubli l’anno, quasi 600mila euro. Mica male. Ma non basta, per tutto questo. È anche per aver messo le mani negli affari dei potenti, oltre che per esser stato il maggior oppositore politico di Putin, che Navalny è morto — o è stato ucciso — nel carcere più duro e remoto della Siberia. Dmitriev è sotto sanzioni da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia. L’Unione Europea non ne ha imposte.
Missione segreta
Putin sta scegliendo per le posizioni e le missioni più cruciali solo le persone a lui più vicine, affidabili anche in incarichi anomali. Se adesso mette la politica estera in mano a Dmitriev non è per abilità che il capo del Rdif probabilmente non ha, ma perché è assolutamente leale e legato al regime. Anche per motivi inconfessabili. Boris Bondarev sostiene che la sua vera missione è far perder tempo alle controparti, “intrattenendole" su aspetti economici che poco hanno a che fare con un processo di pace per l’Ucraina. Fino a quando Donald Trump, “alle prese con i problemi interni legati alla guerra mondiale commerciale scatenata dalla Casa Bianca e al crollo delle borse, non si stufi del dossier Ucraina”. Lasciando la Russia libera di potersi muovere come meglio crede contro Kyiv.