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Guerra in Ucraina

La strage di civili a Sumy e l’ambiguità di Trump dimostrano che è Putin a dettare la pace in Ucraina

Il Cremlino sfrutta l’inerzia americana e mantiene le pretese. “Strategia precisa dietro i missili su Sumy”, dicono a Fanpage. it gli analisti. Nessuna vera critica da Trump al presidente russo dopo la strage di civili. Alla Casa Bianca per ora prevale la linea Witkoff, favorevole a blandire Mosca e a dir di sì a tutto.
A cura di Riccardo Amati
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La strage della Domenica della Palme dimostra che il Cremlino è certo di poter continuare a perseguire i suoi obiettivi di guerra in Ucraina senza concedere compromessi, perché non teme serie resistenze da parte degli Usa di Donald Trump. Probabilmente ha ragione: Trump vuol chiudere il prima possibile il capitolo Ucraina ed è disposta a dare a Vladimir Putin tutto quello che vuole, o quasi.

Lo scopo del Cremlino

"Lo scopo di Mosca, è che Washington faccia più pressione su Kyiv affinché accetti tutte le condizioni russe per un cessate il fuoco", dice a Fanpage.it John Lough, del New Eurasian Strategies Centre di Londra. "Finché non si arriverà a quel punto, le forze armate russe andranno avanti, non solo sul campo ma anche con la strategia terroristica vista a Sumy: non hanno mai fatto molta differenza tra colpire civili o militari".  Sui due missili che domenica nella città dell’Ucraina nord-orientale, hanno ucciso oltre trenta persone, tra cui due bambini, Trump ha tenuto a precisare di avere informazioni secondo cui i civili sono morti "per sbaglio".

In pratica, ha ripetuto la propaganda del Cremlino. Secondo cui il bersaglio era un evento militare: una premiazione all’interno del Centro Congressi. Come se questo possa giustificare il lancio di ordigni sul centro di una città di domenica e durante una festa religiosa, proprio all'ora i cui le famiglie vanno in chiesa o a fare una passeggiata. "Credo che tutta questa guerra sia orribile", ha aggiunto il presidente Usa. Nessuna critica a Putin, nessuna parola su eventuali ritorsioni. Solo insistenza sulla necessità di chiudere il conflitto.

La "linea Witkoff"

Le dichiarazioni di Trump fanno il paio con quelle del suo Segretario di Stato: la strage di Sumy "è un tragico promemoria del motivo per cui stiamo lavorando duramente per porre fine a questa guerra e raggiungere una pace duratura", ha detto Marco Rubio. La Casa Bianca evidentemente ha scelto la linea dell’inviato speciale del presidente Steve Witkoff, favorevole a cedere senza tante discussioni alla Russia le quattro regioni ucraine che si è unilateralmente annessa e di cui nemmeno controlla tutti i territori.

La Reuters ha descritto con precisione la "linea Witkoff", citando più fonti vicine a governo Usa. La "linea" comprende un premio esplicito all’invasore, a cui si dà anche quel che non ha ancora invaso. "Il segnale è che gli Usa non vogliono pestare i piedi alla Russia, e che lasciano aperto il canale negoziale anche a costo di dire molti sì a Mosca". Finora la diplomazia statunitense si era mossa su piani paralleli o anche contrastanti, con Rubio più disposto ad ascoltare anche gli ucraini.

Le posizioni pro-Cremlino di Witkoff, già emerse in un’intervista concessa all’ex anchor di Fox News Tucker Carlson, avevano preoccupato molti repubblicani suscitando sonore proteste. Ma il vecchio amico di Trump l’ha spuntata. Non sappiamo cosa abbia detto a  Putin venerdì scorso a San Pietroburgo. Le immagini di Witkoff con la mano sul cuore mentre si appresta a salutare il leader del Cremlino lasciano però pochi dubbi su quale sia stato l’atteggiamento "negoziale" dell’inviato Usa.

Trump ha fatto tante promesse non mantenute. L’ultima, quella di arrivare al cessate il fuoco entro maggio. Che basti concedere a Putin tutto quel che vuole per riuscire nell’intento è però tutt’altro che scontato. Gli ucraini non ci staranno. E poi, la volontà di compiacere Putin finora è servita solo ad aumentare le sue pretese e la aggressività russa nel conflitto in corso. L’impressione è che si senta padrone della situazione e che possa decidere solo lui tempi e modi per un’eventuale soluzione politica.

Niente compromessi

Che a Mosca non ci sia intenzione di far compromessi emerge chiaramente da una lettura della stampa russa. I giornali, tutti obbligatoriamente fedeli al regime sottolineano compiaciuti "il segno di rispetto" di Witkoff nei confronti di Putin. Scrivono proprio così:  "rispetto". Come se parlassero di un boss di mafia. E scherniscono le notizie dei giorni scorsi secondo cui Trump stava perdendo la pazienza e chiedeva alla Russia di "muoversi" per arrivare alla pace.

"E perché dovremmo muoverci noi e non l’America", si chiede la Komsomolskaya Pravda, chiarendo che la Russia non ha alcuna fretta di raggiungere un accordo. A differenza degli Stati Uniti. E che l’Ucraina del futuro "non dovrà essere più un pericolo". Smilitarizzazione e governo filo-Mosca, quindi. Oltre alle regioni contese e al veto all’entrata nella Nato. Gli obbiettivi di Putin fin dall’inizio.

Izvestia e altri scrivono che Witkoff vuol regalare a Trump un accordo entro il centesimo giorno dall’insediamento del presidente. Ovvero il 29 aprile. E concordano che sarà praticamente impossibile, anche se concedesse tutto il concepibile. D’altra parte, lo stesso portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha espresso cautela riguardo a aspettative di "risultati immediati" per i negoziarti.

I punti deboli

Se gli sforzi e il favore di Witkoff non bastassero a chiudere presto la trattativa, la possibilità che Trump finisca per perdere davvero la pazienza può diventare realistica. "A Washington c’è chi pensa che succederà proprio così", ritiene Lough. Solo allora tornerebbe a proporsi la necessità di usare le maniere forti, col Cremlino. Paradossalmente, potrebbe essere il momento migliore per ottenere i compromessi indispensabili per un processo di pace accettabile per Kyiv e quindi sostenibile.

Il calo dei prezzi petroliferi, causato dei dazi di Trump, sta erodendo le riserve economiche della Russia. Il bilancio statale, dipendente in gran parte, da petrolio e gas, potrebbe ridursi del 2,5 per cento nel 2025, avvertono gli analisti. Questo mette sotto pressione l’economia, già in rallentamento, ormai sostenuta solo dalle spese militari. Le riserve del fondo sovrano sono in calo e, con le sanzioni occidentali che bloccano parte dei fondi, il Cremlino potrebbe dover tagliare le spese non militari o aumentare le tasse alle imprese esportatrici.

Il mito della grande potenza

"Putin vorrebbe porre fine a questa guerra rapidamente alle sue condizioni", sostiene John Lough. "Se non riesce a farlo, dovrà trovare più soldati per combattere, e questa guerra non è popolare, in Russia". L'eventuale necessità di una seconda mobilitazione parziale preoccupa il Cremlino. Dovrà quasi deviare ancora più risorse dal settore civile per alimentare l’industria di guerra, probabilmente senza alcun alleggerimento delle sanzioni nel frattempo. Ipotizzare che un atteggiamento più deciso e qualche minaccia nei confronti del Cremlino possa avere effetti utili a porre fine alla carneficina non è azzardato. Nemmeno c’è da sperarci troppo.

"Al Cremlino si ritiene che le armi nucleari della Russia siano la garanzia che nessuno oserà mai minacciarla", dice a Fanpage.it l’ex diplomatico russo Boris Bondarev. "Mentre la Russia può minacciare chiunque, perché nessuno oserà risponderle sul serio: è quello che credono Putin e i suoi collaboratori". E hanno motivi per crederlo. Funziona, a quanto pare. Anche con Trump.

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Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.
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