La storia di Oscar Pistorius: dall’omicidio della fidanzata all’uscita dal carcere nel 2024
È il giorno di San Valentino, siamo nel 2013: Oscar Pistorius spara quattro colpi verso la porta del suo bagno. Lì dentro c’è la sua compagna, Reeva Steenkamp. Pochi minuti dopo Pistorius scende al piano di sotto di casa sua, a Pretoria, in Sudafrica, portando in braccio il cadavere della fidanzata. Le persone che accorrono sul posto lo vedono disperato, grida aiuto. Quando i soccorsi giungono poco dopo, dichiarano morta la ragazza. Nei mesi a venire, una domanda ossessionerà stampa e opinione pubblica: perché Oscar Pistorius, un atleta di fama mondiale, ha ucciso la sua compagna Reeva Steenkamp?
Pistorius ammette subito di essere stato lui a sparare, per cui durante il processo restano due punti da chiarire: la dinamica e il movente. Pistorius sostiene di aver sparato in preda al panico, terrorizzato dall’idea che un ladro si fosse intrufolato in casa. Diversa la versione dell’accusa: ha sparato di proposito a Reeva Steenkamp dopo che lei si era rifugiata in bagno. Pistorius non ha mai ammesso di aver ucciso volontariamente Reeva, ma, in ultima istanza, la Corte Suprema d’Appello del Sudafrica l’ha condannato a 15 anni per omicidio volontario. Vediamo come si è svolto il processo a Oscar Pistorius, iniziato il 3 marzo 2014.
L'omicidio di Reeva Steenkamp e l'arresto di Oscar Pistorius
Considerato che Pistorius era anche l’unico presente in casa oltre alla vittima, il giudice non è mai riuscito a ricostruire con certezza come sono andate davvero le cose. Non c’erano infatti né indizi sufficienti né altri testimoni sulla scena del crimine. Incrociando le testimonianze indirette di chi viveva nei dintorni e aveva sentito rumori e urla, le prove materiali raccolte e le dichiarazioni di Pistorius, gli unici elementi certi per il giudice sono i seguenti.
È sicuro che verso le 3.12 vengono sentiti 4 colpi di pistola provenire dalla casa di Pistorius. È ugualmente un dato di fatto che Reeva si fosse chiusa nel bagno e che sia morta lì, ferita al bacino, a una spalla, a una mano e alla testa dai proiettili esplosi da Pistorius. Poco dopo aver sparato a Reeva, Pistorius grida aiuto dal suo balcone. Verso le 3.17 si sentono altri colpi: è Pistorius che, con una mazza da cricket, sfonda la porta del bagno per raggiungere Reeva e portarla poi al piano terra. Poco dopo Pistorius chiama l’ambulanza e implora l’amico Johan Stander di raggiungerlo al più presto.
Stander è anche il direttore del Silver Woods Country Estate, il complesso residenziale fortificato dove Pistorius vive, uno dei tanti quartieri protetti da mura, telecamere e guardie, molto diffusi in Sudafrica a causa dell’alto tasso di criminalità. L’ambulanza arriva alle 3.41 e alle 3.50 Reeva Steenkamp viene dichiarata morta. Pistorius viene quindi arrestato per omicidio, anche se uscirà pochi giorni dopo su cauzione in attesa del processo.
Chi è Oscar Pistorius
Quello contro Pistorius è sicuramente e prima di tutto un processo contro un uomo accusato di aver ucciso una persona. Ma prima del giorno dell’omicidio Pistorius non era semplicemente un atleta sulla cresta dell’onda. Era un simbolo di successo e determinazione che aveva ispirato tante persone. Nonostante l’amputazione a soli 11 mesi di vita di entrambe le gambe poco al di sotto delle ginocchia per una malformazione congenita, inizia a praticare sport fin da bambino con delle protesi.
Nel 2004, a 17 anni, intraprende la carriera da velocista conquistando le prime medaglie. Correndo si guadagna sia il soprannome di “fastest man on no legs”, l’uomo più veloce senza gambe, sia quello di “Blade Runner” un doppio riferimento al film e alle cheetah blades, le protesi in fibra di carbonio che usa per correre. Nel 2012, l’anno prima dell’omicidio di Reeva Steenkamp, Pistorius ha appena 27 anni ma è all’apice della sua carriera.
Fino a questo momento ha ottenuto 6 medaglie d’oro paralimpiche e ha coronato un sogno che sembrava inarrivabile: alle Olimpiadi di Londra del 2012 diventa il primo atleta con protesi a entrambe le gambe a gareggiare con atleti senza disabilità. L’incontro con Reeva Steenkamp avviene lo stesso anno, a novembre. Dall’esterno sembrano la coppia ideale: lui atleta di fama mondiale, lei modella in ascesa e laureata in legge. Un’unione rotta però molto presto nella notte tra il 13 e il 14 febbraio. Proprio per la gravità dell’accaduto e la fama dell’atleta si decide di trasmettere in diretta televisiva il processo, cosa che accade per la prima volta in Sudafrica.
La versione dell'accusa al processo
Per l’accusa, la cronologia degli eventi è piuttosto lineare. Quella sera, a notte inoltrata, scoppia una lite violenta tra Pistorius e Reeva. Per avvalorare questa tesi, l’accusa si basa anche sulle dichiarazioni di una testimone, che abitava nello stesso edificio di Pistorius e che sostiene di aver sentito un’accesa discussione intorno alle 2, quindi prima degli spari, ma di non aver potuto distinguere se le voci fossero maschili o femminili e di cosa parlassero.
A causa della discussione, prosegue l’accusa, Reeva si sarebbe sentita minacciata e sarebbe scappata in bagno portando con sé il cellulare – da cui però non sono partite chiamate né messaggi di aiuto – e si sarebbe chiusa a chiave. Pistorius allora avrebbe preso la sua pistola calibro 9, che teneva sempre vicino al letto, avrebbe raggiunto il bagno e sparato 4 colpi verso la porta. A questo punto la versione dell’accusa si ricollega alla ricostruzione dei fatti di cui abbiamo già parlato. Per quanto Pistorius abbia cercato aiuto subito dopo aver sparato e fosse in stato di forte agitazione dopo l’accaduto, cosa confermata da tutte le persone accorse sul posto, per l’accusa ciò non basta a scagionarlo.
Il rapporto tra l'ex atleta e la vittima
Durante il processo non emerge che il rapporto tra Pistorius e Reeva fosse particolarmente problematico. L’analisi dei messaggi tra i due, per il giudice, mostra i classici alti e bassi di qualsiasi coppia, senza segnali preoccupanti. Ma per l’accusa, che intende dimostrare il temperamento violento e aggressivo di Pistorius, è cruciale la testimonianza della sua ex, Samantha Taylor. Pistorius aveva troncato con lei probabilmente proprio perché aveva conosciuto Reeva. La testimone racconta che, durante la loro relazione, Pistorius si era dimostrato molto aggressivo durante le discussioni. Era inoltre ossessionato dalle armi e teneva una pistola sempre con sé, dentro e fuori casa. Infine, in più di un’occasione si era dimostrato piuttosto imprudente nel maneggiare queste armi.
Infatti tra le imputazioni del processo di 1° grado contro Pistorius, oltre all’omicidio di Reeva, c’è anche l’accusa di condotta pericolosa legata proprio all’uso della pistola, accusa legata a fatti avvenuti prima del 14 febbraio 2013: in un caso per aver sparato per sbaglio un colpo all’interno di un ristorante mettendo a rischio i presenti; in un altro perché, mentre era in macchina con un amico e la ex Taylor, aveva sparato un colpo dal tettuccio. Taylor racconta al giudice che in quest’ultima occasione erano stati fermati da un poliziotto per eccesso di velocità e l’agente aveva toccato la pistola di Pistorius, rimproverandolo di tenere un’arma carica sul sedile. Infastidito dalla cosa, Pistorius aveva sparato il colpo circa 15 minuti dopo che i tre erano ripartiti, per sfogarsi.
La condanna di Oscar Pistorius
Passiamo ora alla versione di Pistorius. L'ex atleta ha sempre sostenuto di aver sparato convinto che ci fosse un intruso in casa. E infatti presenta una ricostruzione dei fatti completamente diversa da quella dell’accusa. Secondo la sua versione, si sarebbe svegliato nel cuore della notte e avrebbe sentito dei rumori provenire dal bagno. Il suo primo pensiero sarebbe stato che qualcuno si fosse intrufolato in casa e che lui e Reeva fossero dunque in pericolo.
Senza indossare le protesi e prendendo la pistola, avrebbe detto a Reeva di avvisare la polizia e sarebbe andato verso il bagno. Il bagno era adiacente alla sua camera da letto e ci si arrivava attraverso un corridoio che dava direttamente sulla stanza, senza porte: solo il gabinetto era in un piccolo ambiente a parte, chiuso da una porta. Proprio da questa stanzetta avrebbe sentito provenire dei rumori una volta arrivato in bagno e, spaventato, avrebbe sparato: Pistorius ha giustificato il gesto dicendo che si sentiva particolarmente vulnerabile senza protesi.
Solo a quel punto, tornato in camera, si sarebbe reso conto che Reeva non era a letto e che quindi potesse essere lei la persona in bagno. Non riuscendo ad aprire la porta chiusa a chiave, sarebbe andato sul balcone per gridare aiuto. Poi avrebbe indossato le protesi e sarebbe andato a sfondare la porta con la mazza da cricket: da qui in poi torniamo agli elementi accertati di cui abbiamo già parlato.
La tesi di Pistorius e della difesa, insomma, è che lui avrebbe agito in preda al panico e che quindi non fosse del tutto padrone delle sue azioni. La ex di Pistorius, Taylor, ha dichiarato durante il processo che, quando erano fidanzati, in più occasioni l’uomo l’aveva svegliata durante la notte, preoccupato dal fatto che qualcuno potesse essere entrato in casa. È stata fatta anche una perizia psichiatrica per valutare se Pistorius fosse affetto da disturbo d’ansia: l’esame ha avuto però l’effetto contrario di dimostrare l’assenza di qualsiasi disturbo e che, anzi, l’imputato era in grado di valutare la situazione con lucidità.
Il 12 settembre 2014 Pistorius viene condannato a 5 anni di detenzione per omicidio colposo.
La seconda sentenza
Nel linguaggio giuridico, “omicidio colposo” indica l’azione di uccidere qualcuno non volontariamente, ma a causa di altri fattori, come la negligenza o l’imprudenza: l’esempio più comune è quello degli incidenti automobilistici. Ma considerato come si sono svolti gli eventi, per l’accusa è assurdo pensare che Pistorius abbia commesso un omicidio involontario. Infatti anche volendo accettare l’ipotesi che Pistorius abbia sparato contro un ipotetico ladro, e non contro Reeva, non ha senso dire che abbia ucciso “involontariamente”: non poteva infatti ignorare che, sparando, avrebbe potuto uccidere la persona in bagno.
Proprio su questo punto si basa la seconda sentenza in appello, che ribalta la prima condanna, ritenendola frutto di un errore giudiziario. Innanzitutto, per l’accusa Pistorius non è stato un testimone affidabile, perché ha fornito versioni contraddittorie della dinamica dello sparo: in un primo momento ha detto addirittura che ha sparato “senza neanche essere sicuro che ci fosse qualcuno in bagno”; poi che ha sparato perché pensava che, chiunque fosse nel bagno, stesse per uscire e potesse minacciare la sua vita; infine che non voleva davvero sparare a chi si trovava nel bagno.
Ma al di là della ricostruzione di Pistorius, per l’accusa siamo di fronte a una persona che maneggiava in modo imprudente le armi da fuoco e l’omicidio in questione è stato una ulteriore dimostrazione della cosa. Non solo è stato dimostrato che Pistorius era capace di intendere e di volere e quindi di valutare con razionalità e cautela la situazione, cosa che però non ha fatto. Ma non ha neanche rispettato le norme di prudenza che dovrebbe seguire chiunque abbia un porto d’armi e faccia uso di armi da fuoco.
Infatti Pistorius, per esempio, non ha sparato colpi di avvertimento, non si è accertato di chi ci fosse effettivamente nel bagno né ha verificato di trovarsi davvero in pericolo prima di sparare. La sua condotta non può essere considerata legittima difesa perché nei fatti Pistorius non si è mai trovato davanti a una minaccia concreta per la propria sopravvivenza. Quindi, a prescindere dalle motivazioni, nel processo in appello è stato stabilito che Pistorius ha sparato per uccidere, anche se non è stato possibile dimostrare la sua intenzione di uccidere Reeva Steenkamp. Nella sentenza in appello del dicembre 2015 la Corte Suprema del Sudafrica ha condannato Pistorius a 15 anni per omicidio volontario, ridotti a 13 anni e 5 mesi considerato il tempo già scontato in prigione.
A partire dal gennaio 2024, a poco più di dieci anni dal delitto, Pistorius ha ottenuto la libertà vigilata. L’ex campione paralimpico dovrà vivere agli arresti domiciliari fino al 2029: fino ad allora non potrà parlare con i media e sarà obbligato a seguire corsi sulla violenza di genere e sulla gestione della rabbia.
June Steenkamp, la madre di Reeva, non ha mai creduto alla versione dei fatti di Pistorius e ha espresso perplessità sulla decisione di farlo uscire di prigione, dicendo di non essere per nulla convinta che lui sia davvero pentito di ciò che ha fatto. Ha aggiunto anche che “non importa per quanto tempo si sconti la pena, ciò non riporterà Reeva indietro. Siamo noi genitori quelli che stanno scontando il vero ergastolo”.