La storia di Igor, morto a Kiev. La sorella a Fanpage: “Ucciso da soldati che si fingevano ucraini”
La vita a volte è più veloce delle stagioni, dei cambi armadio e anche delle spunte su whatsapp. Oksana Matviyuk, pur essendo aprile, indossa ancora lo stesso maglione invernale che deve aver portato, fino a due mesi fa, nella fredda Chmel'nyc'kyj, Ucraina occidentale. La sua è una delle tante storie di fuga. Solo, se possibile, più amara.
Un prima e un dopo il 24 febbraio
“Come tanti miei connazionali, prima che arrivasse la guerra avevo una vita normale. Poi c’è stato il 24 febbraio, quando il mio Paese si è svegliato sotto le esplosioni. Ricordo che quella mattina ho telefonato a un’amica per capire cosa stesse succedendo e lei mi ha detto: ‘È iniziata la guerra, prendi tutto il necessario e scappa nei rifugi sotto terra'. Per strada c’era una gran confusione, abbiamo preso vestiti e documenti e siamo andati in un bunker: eravamo io, mio figlio Vlad di 4 anni, mia nonna di 94, mio marito e mio fratello Igor”.
Una famiglia tra Italia e Ucraina
È sul nome del fratello che la voce di Oksana si spezza: “Igor faceva il muratore, aveva lavorato per dieci anni in Italia, dove nostra madre fa la badante dal 2003. Ma poi gli mancava l’Ucraina e così, nel 2015, era tornato. Vivevamo vicini”. Fino all’inizio di marzo Oksana rimane nel suo Paese, nascosta sotto terra, poi si fa convincere dal marito e dal fratello a raggiungere la mamma Anna in Italia. Qui viene ospitata insieme a Vlad e a due cugine nella canonica della chiesa di Clusane d’Iseo, in provincia di Brescia. Anna invece continua a lavorare giorno e notte per assistere gli anziani. I contatti telefonici con i familiari rimasti in Ucraina sono brevi ma costanti.
Igor si era licenziato a lavoro e combatteva
“Igor – racconta Oksana – si era licenziato dal lavoro: in un primo momento era entrato nelle squadre di difesa territoriale, ma poi gli sembrava di non fare abbastanza, quindi si era spostato verso Kiev e aveva partecipato alle operazioni di evacuazione da Bucha, aiutando decine di famiglie a fuggire, prima che la città venisse completamente occupata dai russi”. A quel punto il 47enne decide di arruolarsi nell’esercito. E viene reclutato.
L’ultima chiamata e la spunta che non compare
“L’ultima volta che l’ho sentito era il 23 marzo, abbiamo fatto una chiamata di due minuti e mi diceva di stare tranquilla. Il 24 marzo, alle 12, ha scritto a mia madre, chiedendole di mandargli foto dei giornalisti italiani, perché voleva fingersi uno di loro per entrare a Irpin e vedere com’era la situazione”. Anna fotografa gli inviati sullo schermo del televisore e invia le immagini al figlio. Ma la doppia spunta di consegna non compare.
Ucciso da soldati che si fingevano ucraini
“All’inizio – dice Oksana – mia madre e io pensavamo che non si facesse sentire per un problema di rete, ma poi la paura è diventata sempre più concreta”. Fino a essere una drammatica certezza: “Erano andati in spedizione a Irpin – spiega la donna -, viaggiavano su due macchine e sono stati fermati a un posto di blocco da soldati che indossavano le divise dell’esercito ucraino. I due militari sull’auto davanti a quella di Igor sono scesi e uno di loro ha visto spuntare dalla casacca di chi li aveva fermati lo stemma dell’esercito russo. Quindi ha acceso il fuoco e sono iniziati gli spari. Dalla macchina dietro Igor ha aperto la portiera per sparare, ma è stato colpito. Nel frattempo il volontario alla guida ha rimesso in moto l’auto per scappare e il corpo di Igor è scivolato a terra. Dove è rimasto per un giorno”.
In Ucraina per il funerale
La notizia della morte di Igor arriva in Italia solo il 30 marzo: “Prima di dircelo – precisa Oksana – volevano almeno aspettare di recuperare il cadavere, cosa non facile, perché era stato portato nelle fosse comuni”. Oksana e Anna tornano in Ucraina il primo aprile, su un furgone partito da Bergamo e utilizzato per il trasporto degli aiuti alimentari. “Siamo arrivate a casa un’ora dopo la salma. Finito il funerale, siamo ripartite”.
Una nuova quotidianità sospesa
A Clusane Oksana rimane avvolta nel suo maglione invernale anche se è arrivata la primavera. Al mattino il piccolo Vlad, ancora ignaro della morte dello zio, va all’asilo e lei segue le lezioni di italiano. Fuori dalla canonica c’è un parco giochi e il paesino lacustre inizia a riempirsi di turisti, ma Oksana preferisce restare in casa a guardare le immagini sul televisore che raccontano luoghi conosciuti in una lingua sconosciuta.
“Sento un dolore immenso, non so come continuare a vivere. Capisco che mio fratello non c’è più, ma non riesco a crederci, mi sembra di essere in un incubo. Quello che sta succedendo al nostro Paese è ingiusto e non ha senso: la mia gente non voleva morire, voleva restare in Ucraina e vivere lì, da popolo libero”.