La storia di Chico Forti: “Io all’ergastolo da innocente nella civile America. Aiutatemi”
Il 15 febbraio 1998, l’ereditiere australiano Dale Pike, figlio del patron del Pike Hotel di Ibiza, Anthony, vola a Miami per incontrare il produttore italiano Enrico Forti. Ventiquattro ore dopo un surfista lo trova cadavere, completamente nudo, a Sewer Beach. Qualcuno gli ha sparato in testa due colpi con una calibro 22. Poco più di 72 ore dopo, Enrico Forti, detto Chico, viene interrogato senza il suo avvocato come principale sospettato del caso. Dopo una sequela di imbarazzanti omissioni ed errori della polizia di Miami, Chico Forti viene condannato all’ergastolo nelle prigioni americane. Per lui, figlio del Paese che ha assolto Amanda Knox, nessuno statista italiano ha battuto il pugno.
Chi è Chico Forti
L’omicidio Dale Pike avviene dopo alcune ore dal suo arrivo da Sidney a Miami. L’ultimo a vederlo è stato Chico Forti. Sulla scena del ritrovamento, in mezzo a una macchia di verde sulla spiaggia di Sewer, una tessera telefonica e un biglietto aereo, riconducono a lui. Sembra semplice, fin troppo, tanto che sul legame tra vittima e carnefice e sull’ipotetico movente, sia gli inquirenti che la giuria al processo si soffermano poco. Chi è Chico Forti? Perché avrebbe dovuto uccidere un uomo che aveva conosciuto quella sera? Questo l’interrogativo cui la difesa di Forti dà risposte assai diverse da quelle di chi indaga. Chico Forti è un cittadino italiano che ha fatto la sua fortuna vincendo una grossa somma a ‘Telemike', gioco Tv condotto dal compianto decano della tv Mike Bongiorno. La vincita è la base sulla quale costruisce il suo successo. Sportivo, ambizioso, talentuoso, negli anni '90 Forti si trasferisce in America dove fa alcuni fruttuosi investimenti immobiliari e apre una casa di produzione televisiva. Sposa Heather, ha tre figli, è un italiano di successo a Miami e nell’ambito dei suoi affari si imbatte in Tony Pike, il padre di Dale, la futura ‘vittima’.
L'omicidio di Dale Pike
Tony vuole vendere il Pike Hotel di Ibiza, tempio sacro della movida disinibita, dove gli Wham hanno girato ‘Club Tropicana', a un prezzo stracciato. Chico intercetta l’affare e si accorda con Tony, ma poi nella transazione fa capolino il figlio Dale, che non è favorevole alla vendita. Dale e Chico decidono d'incontrarsi, Chico prenota per lui un volo per Miami per il 15 febbraio del 1998, lo stesso giorno in cui in città arriva suo suocero. A Dale propone di sistemarsi a casa sua, sebbene sua moglie, infastidita dalla fama del playboy australiano, non sia proprio d’accordo. Sono le 18 e 30 quando Pike Jr atterra all’aeroporto di Miami e sale in auto con Chico. Da questo punto della storia abbiamo due versioni, la prima è quella della polizia, la seconda è quella di Chico.
La versione di Chico Forti
Partiamo dall’ultima. Seduto al fianco del produttore italiano, Dale chiede a Forti di fermarsi a una stazione di servizio per comprare un pacchetto di sigarette. Mentre lo aspetta Forti vede Pike fermarsi a telefonare in una cabina, anche se in auto c’è uno dei vecchi telefoni cellulari con filo, da cui avrebbe potuto fare la chiamata. I due si rimettono in cammino, il produttore fa notare all’amico che è in ritardo per andare a prendere il suocero che lo aspetta all’aeroporto di Fort Lauderdale, dall’altra parte della città. Pike, allora, gli chiede di lasciarlo al parcheggio del Rusy Pelican, dove lo vede avvicinarsi a una Lexus bianca. Alla guida, secondo la versione di Forti, c’è un uomo dalle fattezze orientali, pelle olivastra un rolex al polso. Forti va a prendere il suocero torna a casa e non sente più Pike. Quattro giorni dopo viene intercettato mentre torna da New York, dove doveva incontrare Tony Pike.
Le bugie di Forti e quelle della Polizia di Miami
La polizia di Miami lo convoca per interrogarlo sulla morte di Dale Pike e suo padre Tony, ritrovati entrambi uccisi con le stesse modalità. Davanti alla detective Clarke, Forti nega di aver incontrato Pike Jr all’aeroporto, dice che non è mai arrivato. Mente, a suo dire, perché schiacciato dalla pressione dei sospetti della polizia, che chiaramente lo crede il killer. Forti lascia il dipartimento di polizia per essere richiamato di nuovo e poi fermato dopo un interrogatorio fiume di 14 ore, dove riesce a chiamare il suo avvocato fingendo di telefonare alla moglie. Da lì la sua storia è segnata. Unico particolare, Tony Pike, padre di Dale, è vivo e vegeto e la falsa notizia della sua morte è stata utilizzata strumentalmente dalla polizia per fare pressione su Forti. Uno stratagemma che in Italia sarebbe valso un procedimento per falso d’ufficio, ma che in America è considerato legale.
La ricostruzione processuale
Per la polizia di Miami, invece, le cose sono andate diversamente. Forti ha prelevato Dale Pike all’aeroporto, con lui ha discusso per l’affare dell’hotel, lo ha ucciso a colpi di pistola, ne ha denudato il corpo per inscenare un omicidio a sfondo omosessuale. Poi ha allestito la scena del ritrovamento con la carta telefonica utilizzata da Dale per chiamarlo e il biglietto aereo che lui stesso aveva acquistato per l’australiano. Contro di lui la polizia di Miami ha l’ipotetico movente dell’hotel, l’ultimo contatto avvenuto poche ore prima della morte e la bugia raccontata da Forti in sede di interrogatorio, ritenuta incriminante. Quello che non ha è la prova della presenza di Forti sulla scena, dove non è stato trovato in alcuna forma il suo DNA, ma neanche le sue impronte. E non solo. Alla polizia manca anche lo sub test effettuato dopo l’omicidio sulle mani e i vestiti di Forti. La prova della polvere da sparo, infatti, avrebbe confermato senza alcun dubbio che a premere due volte il grilletto contro Pike era stato Forti, ma l’esame, non è chiaro per quale ragione, è stato omesso. In compenso, Pike, si è sottoposto volontariamente o alla macchina della verità e ha superato il test.
La richiesta di revisione e il ‘ragionevole dubbio'
Secondo la polizia di Miami, tuttavia, Forti non ha agito da solo, ma avrebbe fatto ricorso a un sicario per ammazzare Pike. Dei presunti contatti con un killer professionista anche stavolta non ci sono prove. Il processo si svolge davanti a una giuria popolare che decreta la colpevolezza, oltre ogni ragionevole dubbio, di Forti, a cui viene data la possibilità di scontare la pena in Italia, se ammette il crimine. Agevolazione che rifiuta con fermezza. Per i successivi ventuno anni, Forti e la sua famiglia cercheranno di trovare elementi che possano scagionarlo e di mobilitare l’Italia affinché si interessi alla vicenda di un cittadino italiano condannato, in presenza di ragionevole dubbio, all’estero. Nel 2012 Ferdinando Imposimato, ex giudice e avvocato, si interessa alla vicenda e presenta una richiesta di revisione allora Ministro degli Esteri Giulio Maria Terzi di Sant'Agata. Contro Forti, evidentemente non solo manca la prova regina, ma ci sono una serie di indagini viziate da errori e al limite della malafede.
Il precedente di Amanda Knox
Al processo, infatti, vengono mostrati i tabulati della cabina telefonica da cui Pike avrebbe fatto l’ultima telefonata. All’orario indicato da Forti non risultano chiamate, salvo poi scoprire che sono i tabulati relativi a un altro giorno, di un altro anno. L’interrogatorio di Forti, peraltro, condotto in assenza del suo avvocato e senza la lettura dei diritti, viene comunque ritenuto valido e incriminante. In presenza di indagini inquinate l’Italia ha assolto Amanda Knox, che pure si è espressa pubblicamente sull'innocenza di Chico Forti. Di fronte a un’indagine corrotta da errori e sviste, l’America ha gettato la chiave della cella di Chico Forti. O almeno è quello che sembra. Tra i tanti dubbi di Forti riguardo a questa storia c’è il non trascurabile astio che la polizia di Miami poteva nutrire nei suoi confronti per il Sorriso della Medusa, il documentario firmato in qualità di produttore in cui metteva in dubbio il suicidio di Andrew Cunanan, il serial killer che uccise Gianni Versace. “Non sto chiedendo misericordia o un atto di carità – dice oggi Forti – sto chiedendo giustizia. Questo è quello che mi tiene in vita perché i 20 anni che mi hanno rubato non li posso riavere”.