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La storia Al Capone, il ‘re’ di Chicago incastrato per evasione fiscale

Al Capone guidò una delle bande criminali che nei primi anni del Novecento spadroneggiavano a Chicago. Negli anni del proibizionismo, il gangster creò un vero e proprio impero dell’illegalità che mantenne saldo garantendosi l’appoggio di poliziotti e giudici, tutti al soldo del criminale. Incastrato per evasione fiscale, è stato il simbolo di un’America corrotta e violenta, rimanendo nella memoria come icona del gangsterismo.
A cura di An. Mar.
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Il nostro sistema Americano, chiamalo Americanismo, chiamalo capitalismo, chiamalo come ti pare, dà ad ognuno di noi una grande opportunità se solo sappiamo coglierla con entrambe le mani e trarre il massimo da essa.

Con questa frase Alfonse Gabriel Capone sintetizzava la sua filosofia degli affari. La stessa che in poco meno di dieci anni ne fece il re del mercato del contrabbando di alcolici a Chicago e uno dei personaggi più iconici della storia del crimine americano. Con Al Capone, in una Chicago corrotta e violenta, nacque il gangsterismo americano.

‘Scarface'

Nato nel 1899 da un barbiere originario di Castellammare di Stabia, a pochi chilometri da Napoli e da una casalinga, visse la sua infanzia nei sobborghi di New York, dove la famiglia si era trasferita dall'Italia, in cerca di fortuna. Cresciuto in un nucleo rispettabile che viveva del lavoro del capofamiglia, Al manifestò presto una natura diversa, intemperante e allo stesso tempo carismatica. Da bambino, una volta vide rubare a una tavola per il bucato a una anziana signora: organizzò una spedizione per recuperarla e le suonò di santa ragione ai ladri, poi organizzò una parata autocelebrativa. Lasciò la scuola elementare dopo aver subìto una dura punizione per aver dato uno schiaffo a un professore, fu allora che cominciò a bazzicare locali e bar, dove si guadagnò il soprannome che lo avrebbe accompagnato tutta la vita: ‘scarface' (lo sfregiato).

Chicago, la Babilonia del crimine

Lavorava come buttafuori nel locale ‘Harvard,' gestito da Francesco Ioele, un capobastone nativo di Cosenza, meglio conosciuto come Frankie Yale. Fu lì che Al notò una avvenente ragazza alla quale rivolese degli apprezzamenti piuttosto espliciti. Sfortunatamente, la giovane era la sorella del bullo Frank Galluccio, che reagì all’onta estraendo il coltello e  ferendo sulla guancia lo spavaldo corteggiatore 18enne. Quella ferita sulla sarebbe sempre stata motivo di vergogna per Al, che voleva a ogni costo essere considerato un uomo elegante e distinto. Quella cicatrice sulla guancia, che era solito coprire con il trucco, poco si addiceva all‘immagine di uomo d'affari e viveur che si sarebbe costruito. Negli stessi anni del night club, Al conobbe Johnny Torrio, un gangster italiano che aveva  la sua banda a Chicago, all'epoca, vera e propria Babilonia del crimine. Al si trasferì a Chicago per dirigere gli affari di Big Jim Colosimo, che controllava una serie di bische e bordelli e per il quale l'amico Torrio lavorava. Intanto Al, 19 anni era già sposato con una ragazza irlandese ed era già diventato padre.

Il proibizionismo

La famiglia Capone arrivò a Chicago nel 1919, negli anni ruggenti, poco prima che il proibizionismo entrasse in vigore. Quando gli alcolici furono messi al bando, Torrio e Capone intravidero immediatamente un nuovo terreno per il racket e, così, proposero a Colosimo di entrare nel business. Questi però rifiutò. A quel punto i due gregari decisero di liberarsi del capo e di condurre da soli gli affari. Fu proprio Capone a pianificare il ‘parricidio'. Morto Big Jim Colosimo,  Torrio e ‘Scarface' rimanevano a capo di un impero che viveva di sfruttamento della prostituzione, contrabbando di alcolici e gioco d'azzardo. Un'egemonia che si fondava anche sul controllo armato e sulla corruzione delle forze dell'ordine. La maggior parte dei poliziotti di Chicago, infatti, era al soldo di Capone.

Capone il ‘dandy'

Raggiunta una posizione di potere, Capone prese a curare molto la sua immagine. Fece un corso di dizione per liberarsi dell'aspro accento di Brooklyn e iniziò a frequentare abitualmente l'opera. Anche se gli piaceva mostrarsi come un influente uomo da affari, le sue abitudini, però, non erano esattamente quelle di un gentiluomo. Si accompagnava abitualmente con delle prostitute, beveva a si allontanava per lunghi periodi da casa. Intanto aveva trasferito tutta la famiglia a Chicago, compresi la madre i fratelli e la sorella e aveva preso per tutti una maxi villa da 15 stanze. In città, però, l'aria stava cambiando: di lì a poco sarebbe scoppiata la ‘guerra della birra' e il fratello di Al sarebbe stato ucciso in una sparatoria con la polizia.

La corruzione

L'omicidio di Frank Capone fu un evento che influì fortemente sul destino di Al: da spregiudicato uomo d'affari diventò un gangster disperato e violento. Dopo la tragedia, tuttavia, decise di ampliare gli affari espandendosi anche a Cicero, periferia ovest di Chicago, dove aprì diverse sale scommesse. Quando fece eleggere sindaco della città "Big Bill" Thompson, un suo uomo, era ormai il padrone di Chicago. Intanto, un giovane giornalista di nome Robert St. John, pubblicò un coraggioso articolo con i nomi dei poliziotti sul libro paga del gangster. Dopo poco il giornalista fu vittima di un feroce pestaggio al quale miracolosamente sopravvisse. Capone pagò il conto dell'ospedale e poi comprò le quote del giornale per il quale il giovane cronista scriveva. L'ascesa sembrava inarrestabile e, infatti. Quando Torrio fu arrestato per violazione del proibizionismo, Capone diventò il capo della banda. Aveva solo 26 anni.

La strage di San Valentino

Il 1925 è segnato da un’escalation di violenza. Nell'ambito della guerra per il controllo delle attività illecite, Big Al ordinò l'agguato a una banda rivale. Bilancio: tre vittime, ma tra loro c’era un giovane assistente procuratore. Lo sdegno fu unanime. Capone, si consegnò alle forze dell’ordine, ma non venne mai incriminato. Andò in una stazione di polizia chiedendo se qualcuno fosse disposto ad arrestarlo, ma nessuno ebbe il coraggio di parlare. Ora però Al era bersaglio per i capi rivali: Earl ‘Hymie' Weiss e George ‘Bugs' Moran. A quel punto era una questione di sopravvivenza: o gli uni o gli altri e big Al decise di non soccombere, così ordinò l'attentato al rivale Bugs Moran. La data prescelta fu la mattina del 14 febbraio 1929, giorno in cui Capone avrebbe conferito con un giudice federale a Miami. I sicari travestiti da poliziotti sorpresero gli uomini del gangster irlandese che, credendo si trattasse di una retata, si lasciarono disarmare. I killer li fecero schierare lungo le pareti di un magazzino e li falciarono con una gragnola di colpi. Solo per caso Moran non fu ucciso: una delle vittime, infatti, somigliava molto al suo capo e il commando credette di aver ucciso il boss. Capone aveva un alibi, ma Moran puntò subito il dito contro di lui. Nondimeno sparì dalla città, temendo prima o poi di essere ucciso dal feroce rivale. Capone rimase padrone incontrastato della malavita di Chicago.

I nemici? Massacrati a cena

In quel periodo Giovanni ‘John' Scalise e Alberto Anselmi e Giuseppe ‘Joe' stavano progettando di uccidere il gangster napoletano. Venuto a conoscenza del piano Capone reagì: invitandoli a cena. Al termine del banchetto per loro li accusò di tradimento e li massacrò insieme ai suoi uomini con delle mazze da baseball, prima di finirli a colpi di pistola. Fu un crimine orrendo: ne rimasero disgustati anche gli altri gangster che presero le distanze. Intanto Capone era diventato il nemico pubblico numero uno, sulla sua testa c'era una taglia di 50mila dollari.

La condanna (per evasione fiscale)

Non era possibile addebitargli nessuno dei crimini dei quali si era macchiato: i testimoni rifiutavano di parlare i giudici erano corrotti, tuttavia c'era un altro fronte su cui era possibile intervenire. Da tempo l'Internal Revenue Service, l'agenzia esattoriale del governo federale d'America, stava indagando sulle finanze del gangster. Legalmente, Al era un nullatenente: la casa in Florida era intestata alla moglie, mentre tutti i beni erano intestati ad altri. Non teneva libri mastri, alcuni dei suoi contabili, però, lo facevano. Fu così che gli ispettori dell'IRS riuscirono a incastrare Capone. Trovarono i libri e il modo per ricondurli a Capone. Ci vollero 5 anni, ma alla fine, nel 1931, ‘Scarface' fu incriminato per evasione fiscale commessa dal 1925 al 29. Il procuratore generale George E Johnson sostenne che Capone doveva allo Stato più di 250mila dollari. Al processo Capone provò a corrompere la giuria ma i giurati furono cambiati pochi istanti prima che iniziasse il processo. Capone fu condannato a 11 anni di prigione, la pena più severa che si poteva chiedere per un reato fiscale. L'iconografia del cinema lasciò intendere che Capone fu fermato dagli agenti del Dipartimento del Tesoro, ma in realtà gli ‘Intoccabili' guidati da Eliot Ness fecero solo un parte del lavoro, mentre gli uomini dell’IRS ebbero una parte molto importante.

Il tramonto dell"impero' di Al

Dopo la condanna, Capone continuò a dare direttive alla sua banda dalla cella del carcere. Per questo, nell’agosto del ’34 fu trasferito ad Alcatraz, dove il regime detentivo era molto più severo. Nel '38 gli fu diagnosticata la sifilide, che aveva contratto in gioventù e che cominciava a manifestarsi attraverso la demenza senile. Nel gennaio del '39 fu trasferito nel penitenziario di Los Angeles. Fu rilasciato prima della fine della condanna e fece ritorno in Florida dove, il 25 gennaio 1947, fu stroncato a 48 anni da un arresto cardiaco. Antony Accardo, ex guardia del corpo di Capone era diventato il nuovo leader degli affari criminali a Chicago.

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