La spia cinese infiltrata in Australia? È un truffatore: l’incredibile “spy story” di Wang Liqiang
Wang Liqiang, professione: agente segreto militare agli ordini di Pechino. È così che l’uomo di 27 anni si è presentato ai servizi d’intelligence australiani. Un gesto senza precedenti: non era mai capitato che una spia cinese disertasse e fosse disposto a rivelare importanti segreti della superpotenza asiatica. Wang, che si autodenuncia, chiede all’Australia asilo politico. E comincia a raccontare come le operazione di spionaggio della Cina a Hong Kong, Taiwan e in Australia. Non solo, confessa di aver preso parte in prima persona alle azioni nelle tre località. Rivela inoltre come Pechino manovri imprese quotate in borsa allo scopo di finanziare tali operazioni. Insomma, sembra che i servizi segreti australiani (Aiso) abbiano tra le mani non un semplice agente ma un’importante spia.
Il 22 novembre scorso, la storia della talpa cinese fa il giro del mondo. Wang, infatti, viene intervistato dalla televisione australiana nel popolare programma 60 minuti. Dopo la sua apparizione pubblica, cominciano a sollevarsi i primi dubbi. Uno dei primi a non essere molto convinto è James Kynge, corrispondente del Financial Times a Hong Kong, che scrive: “C’è qualcosa che non quadra in questo ragazzo. La sua storia sembra essere stata raccolta dai ritagli di giornale. E poi c'è la mancanza di una vera rivelazione”.
Nonostante le perplessità, la vicenda dell’ex agente cinese rimbalza sui tutti i maggiori quotidiani internazionali. L’Australia prende molto seriamente le dichiarazioni di Wang sulle interferenze cinesi nella regione. “È diventato un problema ineludibile”, afferma Hugh White, ex funzionario dell'intelligence che insegna studi strategici all'Università Nazionale Australiana di Canberra. “Abbiamo sottovalutato la rapidità con cui il potere della Cina è cresciuto insieme alla sua ambizione”. A preoccupare le autorità è anche la scoperta del tentativo di Pechino di far eleggere nel parlamento federale australiano il cinese-australiano Bo "Nick" Zhao. Dopo aver parlato con i funzionari di sicurezza australiani, nel marzo 2019 Zhao è stato trovato morto nella sua stanza d'albergo di Melbourne. La causa del decesso non è stata stabilita.
In una dichiarazione giurata, Wang ammette di aver preso parte nel 2015 al sequestro di uno dei cinque librai accusati di vendere materiale dissidente. Il 27enne, inoltre, rivela le identità di funzionari di intelligence cinesi a Hong Kong, Taiwan e in Australia. Ai media confessa che la decisione di disertare è dettata da una crisi di coscienza. “Ero parte di un'organizzazione – afferma l’ex spia – che ha il fine di sabotare la democrazia”. Da parte sua, la Cina prova a smentire. La polizia di Shanghai emette un comunicato in cui afferma che la presunta spia è in realtà un truffatore condannato nel 2016. "Wang Liqiang, il cosiddetto ‘agente cinese' è disoccupato ed è un latitante. Il suo passaporto cinese e il documento di residenza a Hong Kong sono contraffatti”. E il giornale statale cinese, Global Times, pubblica un video in cui si vede un giudice condannare Wang a 15 mesi di carcere per il reato di truffa.
Certo, può essere un tentativo di screditare un proprio agente disertore. Oppure potrebbe essere che Wang sia solo un abile millantatore che sta cercando asilo in Australia per sé, la moglie e il figlio. La pensa così Antonio Papaleo, giornalista investigativo. “E’ un fantasista, un imbroglione”, afferma il reporter a Fanpage.it. “Fonti autorevoli a Hong Kong – prosegue Papaleo – mi hanno assicurato che negli archivi della polizia è schedato come un truffatore. A Taiwan, dove si sarebbe recato per "truccare" le elezioni, le autorità non hanno alcun registro del suo passaggio. Gli stessi servizi segreti australiani nutrono dei forti dubbi sulla veridicità di quanto afferma Wang”. “Tuttavia – conclude – con le attuali tensioni internazionali non è escluso che, se non è l’Australia, qualche altro Paese sia disposto a credere ai racconti di questo personaggio”.
Sempre secondo la polizia di Shanghai, la presunta talpa cinese è sospettata di un’altra truffa avvenuta nel febbraio di quest'anno. Sarebbe quindi per evitare l’arresto che lo scorso aprile Wang è partito da Hong Kong con un passaporto falso diretto in Australia. “Non vi è dubbio che Pechino stia espandendo in modo aggressivo le sue attività di spionaggio all'estero – scrive Wang Xiangwei, per 20 anni caporedattore del South China Morning Post – allo stesso modo in cui assume una posizione sempre più decisa sulla scena internazionale. Detto questo, sembra veramente improbabile che Wang sia stato un ingranaggio importante dell’intelligence cinese”.