Finisce con il peggior risultato elettorale di sempre la "meravigliosa avventura dell'esperimento socialista ai tempi di Zapatero". In una consultazione elettorale dall'esito praticamente scontato, a trionfare è infatti Mariano Rajoy, leader del Partito Popolare già due volte sconfitto dall'ex premier socialista. I dati parlano chiaro, con i popolari che ottengono il 44,4% dei voti e ben 186 seggi (che corrispondono alla maggioranza assoluta), distanziando i socialisti che si fermano al 28,6% e conquistano solo 110 seggi (la scorsa tornata elettorale aveva restituito a Zapatero 169 seggi). Buono invece il risultato delle forze cosiddette minori ed in particolare di Izquierda Unita, compagine di estrema sinistra che ottiene undici seggi, mentre gli indipendentisti baschi conquistano ben 7 seggi.
Ma la sconfitta di Rubalcaba, erede di Zapatero costretto a sobbarcarsi una campagna elettorale per certi versi umiliante, è anche l'ennesima manifestazione lampante degli effetti a breve termine di una crisi che, lungi dall'essere "oscura materia per tecnocrati ed economisti", sta incidendo in profondità nella "struttura complessiva" del vecchio continente. La Spagna ai tempi della crisi è infatti un Paese in grave difficoltà, in cui la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli altissimi (oltre il 40% solo qualche mese fa) e in cui le tensioni sociali hanno determinato uno sfaldamento del rapporto fra i cittadini e le istituzioni, con la contestazione degli indignados che ha fatto della penisola iberica un avamposto della (finora incompiuta e controversa) "global Revolution". E non sembri un controsenso che proprio laddove la contestazione radicale è più forte ad imporsi è una forza tendenzialmente conservatrice, che probabilmente abbatterà a colpi di maggioranza le riforme più discusse della sinistra zapateriana. Del resto da subito la contestazione degli indignados non aveva trovato nel Psoe un interlocutore attento e disponibile, anzi. Proprio la sottovalutazione del carattere dirompente del movimento è, a detta di molti, uno dei fattori che hanno portato al tracollo elettorale.
Una sconfitta che segna anche la fine di un modello che per anni aveva impressionato e che basava la propria ragion d'essere sul problematico equilibrio fra equità sociale e crescita economica. Un esperimento fallito però anche a causa delle mille contraddizioni della sinistra iberica, incapace di perseguire obiettivi di ampio raggio e, tanto per citare un editoriale de "Il Pais", "così spaventata dalle implicazioni dei cambiamenti in atto da fare retromarcia proprio nel momento del cambio di passo decisivo. E la conversione ipocrita ad una austerity esosa e intransigente non solo non ha convinto i ceti medi, ma ha finanche scoraggiato la base storica". A ben guardare si tratta del quinto governo nazionale caduto prima della scadenza naturale del mandato sotto gli strascichi sanguinosi della crisi, ma anche sotto il peso insostenibile di ingerenze e pressioni dalle istituzioni europee, che continuano la loro "crociata all'insegna del rigore e dell'intransigenza fiscale". E poco importa se il prezzo da pagare è la distruzione delle fondamenta dello stato sociale…