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La Siria dopo Assad, tra bombe su ospedali e ambulanze: “Temiamo che il Rojava venga abbandonato”

“Dopo la caduta del regime di Assad, la Turchia e le sue milizie proxy hanno iniziato a bombardare ospedali, ambulanze e civili”: Fanpage.it incontra la Mezzaluna curda.
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Al-Hol Camp, Nord Est della Siria. Foto di: Lidia Ginestra Giuffrida
Al-Hol Camp, Nord Est della Siria. Foto di: Lidia Ginestra Giuffrida

“Sono tante e di diversa natura le guerre che il Nord Est della Siria ha dovuto affrontare negli ultimi anni”, spiega Dilgesh Issa, presidente della Croce Rossa curda, mentre apre la porta del suo ufficio a Qamishlo, nel Rojava. Sono circa le 18:00 e il sole è già da un po' scomparso dietro le montagne, accesa resta solo la luce della mezzaluna sulla facciata principale dell'edificio.

“La Mezzaluna rossa nasce con la guerra in Siria e l’invasione di Daesh”, continua Dilgesh, “ma dopo c’è stata quella della Turchia nel 2017, poi il colera, dopo la pandemia da Covid, nel 2023 il terremoto e adesso di nuovo le bombe turche. Le persone qui vivono in un perenne stato di emergenza”.

L’emergenza sanitaria in Rojava è gestita quasi interamente dalla croce rossa curda e dall’Ong italiana Un Ponte Per (Upp). “Abbiamo deciso di operare anche in Rojava nel 2015 – spiega Giulia Torrini, presidente di Upp – allora la regione era in piena invasione da parte dell’Isis, tutti gli strumenti sanitari a disposizione erano stati distrutti. All’inizio organizzavamo solo convogli medici insieme alla KRC, da lì è iniziata una collaborazione che dura da ormai dieci anni, grazie alla quale è stato possibile ricostruire quel sistema sanitario che era ormai diventato inesistente. Ci occupiamo delle cliniche mobili, della formazione dei sanitari, del trasporto di medicine, della cura delle donne vittime di violenza, e del corretto smaltimento dei rifiuti ospedalieri”.

Giulia Torrini presidente di Upp in KurdistanFoto di: Lidia Ginestra Giuffrida
Giulia Torrini presidente di Upp in Kurdistan. Foto di: Lidia Ginestra Giuffrida

I due ospedali più importanti nel Nord Est della Siria, quello di Raqqa e quello di Hasaka, sono stati in parte ricostruiti grazie alla Ong italiana, che oggi conta 35 cliniche sia dentro che fuori dai campi profughi, 2 cliniche mobili e 50 ambulanze.

“Qui non ci sono farmaci – continua il presidente della Croce Rossa curda – in tutto il Nord Est della Siria l’unico modo per far arrivare le medicine è attraversare il valico con l'Iraq, il che vuol dire lunghe attese e prezzi molto alti per il trasporto. Il vero problema però lo abbiamo con gli sfollati interni, dal 2012 non abbiamo mai avuto un momento in cui non ci fosse un’emergenza sfollati. Il lavoro più grande che facciamo insieme agli italiani è quello all'interno dei campi, compreso Al Hol – il campo dove si trovano le mogli e i figli di coloro che nel 2014 si affiliarono all’Isis, ndr – dove abbiamo due cliniche e il centro di smistamento delle ambulanze”.

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Dalla caduta del regime di Assad, nella Siria del Nord Est le milizie filo-turche, unite sotto il nome di Esercito Nazionale Siriano (SNA), hanno attaccato e occupato le città di Shahba e Manbij, portando a 120.000 gli sfollati di Shahba, che già nel 2017 erano fuggiti da Afrin, conquistata in quell'anno dalle milizie turche. Gli sfollati si trovano adesso per la maggior parte a Raqqa, dormono in scuole e moschee, le stesse scuole che da due mesi ormai non possono essere utilizzate dagli studenti della città.

“Noi ci stiamo prendendo cura di circa 100.000 persone fuggite da Manbij dopo l’avanzata delle milizie filo-turche, più della metà di loro sono minori. Tutte le persone dell’area di Manbij si sono spostate verso Est. La Turchia e le sue milizie proxy hanno iniziato, sin dal giorno successivo alla caduta del regime di Assad, a bombardare ospedali, ambulanze e civili. All’ospedale di Manbij sono entrate le milizie dell’Esercito Nazionale Siriano, e hanno fucilato i feriti”, continua Torrini.

Dalla prima settimana di dicembre ad oggi la Turchia ha colpito due ambulanze, distruggendole completamente, uccidendo un operatore sanitario e ferendone tre. Intanto continuano gli attacchi sulla diga di Tishrin, l’infrastruttura strategica situata nel governatorato di Raqqa che fornisce l’acqua a tutta la ragione: qui la Turchia ha ucciso una ventina di civili nelle ultime settimane.

Lo scopo di questi attacchi è distruggere la vita regolare delle persone, che è sempre stata la stessa strategia dell’Isis”, conclude Fee Bauman, coordinatrice dei programmi dentro la Mezzaluna curda, “non c’è modo di pensare al futuro finché continueranno a bombardare, ogni giorno speriamo solo che la Turchia si fermi e che il mondo non ci lasci da soli. Adesso che tutta l’attenzione è su Damasco abbiamo paura che il Rojava venga abbandonato, come è successo dopo la liberazione dall’Isis”.

Intanto il leader di Taḥrīr al-Shām, Abū Muḥammad al-Jawlānī, alla guida del nuovo governo in formazione a Damasco, non ha ancora mai condannato gli attacchi turchi sui civili e i sanitari curdi.

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