La schiava sessuale dell’Isis sfuggita ai jihadisti: ha 18 anni e ha perso un occhio
Ha perso l’occhio destro, col sinistro ci vede a malapena e ha bisogno di costanti cure. Il suo viso è stato deturpato completamente dall’esplosione di una mina, che ha ucciso le sue due compagne di fuga, una di 20, l’altra, una bambina, addirittura di 8 anni. E’ un racconto straziante quello della 18enne Lamiya Aji Bashar. L’unico lato positivo di questa drammatica storia è che la giovane è ancora viva, dopo esser sfuggita dalle grinfie di aguzzini dell’Isis, in Iraq, che hanno probabilmente trucidato tutti i membri della sua famiglia. “Mi hanno catturata – ha raccontato – il 15 agosto nel villaggio di Kocho. Ci hanno radunati nella scuola del villaggio. Hanno portato via gli uomini e non sappiamo cosa ne hanno fatto. Poi hanno portato le giovani a Mosul e le nostre madri e le donne sposate a Tal Afar. Neanche a loro sappiamo cosa sia successo”.
Era solo l’inizio del suo supplizio: “Un uomo mi ha portata a Raqqa, in Siria. Era un iracheno e sono stata con lui un mese. Da lì ho provato a scappare due volte, ma mi hanno presa entrambe mi hanno picchiata forte. E mi hanno fatto cose orrende. Dopo di ciò, mi hanno venduta a un altro uomo, a Mosul. Anche lui iracheno. Il suo nome è Abu Rami. Sono stato con la sua famiglia due mesi. Erano veramente persone orribili” ricorda. Lamiya continua: “Mi hanno venduta a un altro uomo di Mosul, che fabbrica bombe. Realizza autobombe e cinture esplosive. Ho vissuto con lui per due mesi. Ho provato a fuggire anche da lui. E mi ha catturata. Mi ha picchiata. Mi ha fatto di tutto. Mi obbligava anche ad aiutarlo nel suo ‘lavoro’”.
La 18enne avrebbe provato a scappare in almeno quattro occasioni da coloro che la utilizzavano come schiava sessuale. Ogni volta le è andata peggio. Lamiya però aveva un unico desiderio: fuggire. E al quinto tentativo ci è riuscita: un paio di mesi fa è così riuscita a raggiungere le zone controllate dai curdi. La giovane è di etnia yazida, secondo le autorità curde, oltre 2,5mila tra uomini e donne appartenenti a questa fede sono stati salvati, grazie all’aiuto di “contrabbandieri”. Oltre 3mila, però, restano prigionieri degli jihadisti al Daesh, il sedicente Stato islamico.
Il precedente di Nadia Murad
La storia di Nadia Murad, anche lei yazida, è molto simile a quella di Lamiya Aji Bashar. La giovane ha raccontato la sua storia nel corso di una conferenza durante la Triennale di Milano: il suo villaggio fu distrutto dagli estremisti del Daesh, la famiglia massacrata e lei rapita e venduta come schiava sessuale. A dicembre ha denunciato il genocidio degli yazidi pronunciando un discorso alle Nazioni Unite.