“Putin può ricattare Trump, possibili interferenze della Russia nelle elezioni USA”: parla l’ex 007 Steele
Il Cremlino "sta cercando di interferire nelle elezioni americane in favore di Donald Trump", lo ha fatto anche nel 2020 e l’ipotesi che abbia materiale compromettente sul candidato repubblicano è quanto mai credibile. È quanto ha spiegato a Fanpage.it l’ex capo del desk Russia del Secret Intelligence Service britannico (Sis), Christopher Steele. Il suo nome è legato al dossier che anticipò la poi accertata ingerenza di Mosca nelle elezioni del 2016. Con alla Casa Bianca un uomo che Vladimir Putin può ricattare si rischia "un nuovo disordine mondiale", avverte oggi.
Nell’intervista che segue, Steele — 60 anni, propensione al rischio fin da piccolo, studi a Cambridge e poi subito il Sis (meglio noto ai cultori di James Bond come Mi6) — elabora e integra le rivelazioni contenute nel suo Unredacted: Russia, Trump, and the Fight for Democracy, appena pubblicato da Mariner Books. Tra l’altro, si dice convinto che "le relazioni tra Igor Sechin, l’amico di Putin messo a capo del colosso energetico Rosneft, e alcune istituzioni italiane "meriterebbero di essere analizzate per bene".
Dopo una carriera più che ventennale al servizio di Sua Maestà, come spia e come diplomatico, nel 2009 Steele si è licenziato per fondare la società privata Orbis Business Intelligence. Un dossier della Orbis fatto filtrare alla stampa — Steele afferma a sua insaputa — alla vigilia dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca nel 2017, rivelò che il regime russo aveva "coltivato, sostenuto e assistito" il neo-eletto. Al fine di "creare divisioni negli Usa e nell’alleanza occidentale". E che era in grado di ricattare l’allora presidente degli Stati Uniti.
Ne seguì un polverone mediatico, concentrato sulla parte più scabrosa del rapporto: secondo diverse fonti concordanti, Trump era stato protagonista, insieme ad alcune prostitute, di un rituale erotico parecchio perverso e decisamente poco igienico nella suite presidenziale dell’Hotel Ritz Carlton di Mosca. Il tutto, filmato dall’Fsb. È la tecnica del Kompromat, da sempre utilizzata dai servizi russi contro nemici e amici, interni ed esterni, per tenerli in pugno. Trump smentì tutto subito, categoricamente.
L’investigazione della Orbis sugli interessi di Trump in Russia era stata commissionata da una società di consulenza collegata alla campagna elettorale di Hillary Clinton, la candidata rivale del tycoon alle presidenziali del 2016. Il rapporto non conteneva vere e proprie prove. L’Fbi rinunciò a indagare. E il "dossier Steele" fu screditato. Con risvolti giudiziari e umani drammatici per il suo autore e per molte altre persone.
Però, la parte in cui si rivelava che Putin aveva ordinato attacchi informatici e "una campagna contro la Clinton e per minare la fiducia degli americani nel processo democratico" divenne di fatto la premessa del rapporto Mueller. Che provò le interferenze russe, portando alle condanne di collaboratori di Trump come Paul Manafort, Michael Cohen e George Papadopulos. E all’incriminazione in contumacia di Yevgeny Prigozhin e di una dozzina di operatori del Gru, il servizio segreto militare russo.
Il libro di Steele è una lezione sul funzionamento dell’intelligence. Si legge come un buon romanzo. Non solo di spie. La vita si incrocia o si scontra con la professione, e ne esce spesso offesa. Dai guai legali e lavorativi per il protagonista, la sua famiglia e i suoi collaboratori dopo la pubblicazione del famoso dossier. E dalla constatazione di come agenzie governative e media siano spesso insensibili rispetto alla necessità di approfondire gli spunti forniti dagli specialisti dello spionaggio. "In fondo, è un libro piuttosto triste", chiosa l’autore.
Il portavoce della campagna di Trump Steven Cheung non ha risposto alla nostra richiesta di un commento. Ma prima dell’uscita del libro aveva dichiarato ai media Usa: "Ogni informazione da parte di questo agente straniero che ha smerciato il dossier Steele, dimostratosi falso, dovrebbe essere ignorata. E i media che ospitano quel che ha da dire non fanno che interferire con la campagna elettorale”.
Christopher, chi gliel’ha fatto fare di tornare su questa storia dei rapporti fra Trump e Putin? Sono otto anni riceve insulti e cause legali. Vabbè che l’ultima l’ha vinta. Ma mi sa che ora ne arriveranno altre. Ne vale la pena?
"Sì, l’interferenza di stati ostili nelle elezioni dei Paesi democratici è aumentata. Negli Stati Uniti, due cittadini russi sono stati appena rinviati a giudizio per la loro connessione con Tenet Media (gruppo di editoria online dell’estrema destra americana, i due sono accusati di averlo finanziato con 10 milioni di dollari per diffondere la propaganda del Cremlino, ndr). Gli avvertimenti che avevamo dato otto anni fa sono serviti a poco, sono stati trascurati".
Quindi, Mosca vuole influenzare anche queste presidenziali?
"Non solo, ma la posta in gioco, per Putin e i suoi, stavolta è più alta che mai, dicono le nostre fonti. L’unico modo per uscire dal pantano ucraino e mantenere la popolarità interna è che gli americani eleggano un presidente e un Congresso isolazionisti. Verrebbero tagliati gli aiuti, con la conseguente imposizione a Kiev di un accordo per la rinuncia al 20-30% del suo territorio, la neutralità e forse anche le dimissioni del suo presidente".
Che altro stanno combinando in questo momento i russi per destabilizzare l’Occidente?
"Cercano di sostenere il prezzo del petrolio, diminuendone la produzione. Per alimentare l’inflazione e l’insoddisfazione delle popolazioni nei confronti di chi le governa".
Di che tipo sono le sue fonti, su questo punto?
"Si tratta di fonti vicine al Cremlino e di insider dell’industria energetica russa".
Qualche altro esempio di condizionamento delle presidenziali Usa?
"La Russia cerca di fomentare la tensione alla frontiera col Messico. La presenza di agenti russi nel Paese latino americano è cresciuta enormemente".
Perché il suo dossier sulle elezioni del 2016 non è stato capito? Forse difettava di prove?
"Era intelligence pura. La natura e il ruolo dell’intelligence è quello di informare ed educare, non di fornire prove certe come avviene per le indagini di un procuratore che deve vincere un processo. Una delle ragioni di questo è la confidenzialità delle fonti. Che in un paese come la Russia devono essere protette, non identificabili. Nessuna delle nostre fonti russe verrebbe mai a testimoniare in un’aula di tribunale. Non vogliono mettere a rischio le loro famiglie e i loro mezzi di sostentamento".
Nel libro dice che le informazioni prodotte dall'intelligence sono oggettivamente vere “al 70 per cento”. Non è un po’ poco?
"L’intelligence fornita onestamente, riportando in buona fede quello che si è sentito, è credibile, se la fonte è buona. Serve a far prendere decisioni al committente. Una decisione può essere quella di approfondire. La realtà oggettiva è un’altra cosa. Nei regimi autoritari, poi, le informazioni non sono quasi mai obiettive. Nemmeno se provengono dal vertice. Al capo viene detto solo quel che vuole sentire. A Putin, per esempio, era stato detto che l’Ucraina sarebbe crollata in pochi giorni. Informazione falsa. Ma l’intelligence secondo cui Putin credeva di piegare l’Ucraina velocemente era intelligence genuina ed utile".
Ritiene ancora valide le informazioni raccolte nel 2016 sul Kompromat a luci rosse per Trump?
"Le fonti sono credibili, e il “controller” (nel gergo delle spie chi gestisce gli agenti e gli informatori sul campo, ndr) ha lavorato per me per anni senza mai sbagliare".
Le sue fonti russe per il dossier sulle elezioni americane del 2016 sono state rese pubbliche. Lo stesso Donald Trump ha desecretato parte del materiale. Che conseguenze ci sono state, per i diretti interessati?
"È un argomento molto delicato. Preferirei non affrontarlo nei particolari. Di alcuni non sappiamo più niente. Per altri abbiamo prove che sono stati costretti a testimoniare l’uno contro l’altro. C’è chiaramente stata una repressione. Credo che abbiano avuto molte difficoltà".
Nuove fonti hanno intanto riferito a Orbis delle interferenze sulle elezioni del 2020. Nel libro si racconta di un’operazione “false flag” per inscenare un sequestro di cittadini americani e far risolvere la situazione dall’allora presidente Trump, che avrebbe così guadagnato punti sull’avversario Joe Biden. Non se ne fece di niente. Quanto sono affidabili le sue nuove fonti?
"Anche in questo caso le informazioni sono state raccolte da un “controller” che conosco bene e che è estremamente affidabile".
Lei parla di “false flag” anche per le bombe che nel 1999 uccisero oltre trecento persone in edifici residenziali a Mosca, Buynaksk e Volgodonsk. Putin era primo ministro, divenne improvvisamente popolare per come gestì la crisi. E subito scatenò la Seconda guerra cecena. Non le pare però esagerato pensare che Putin sia il mandante di una strage di russi? Ha fonti “credibili” anche su questo?
"In quel periodo lavoravo ancora per il governo britannico, quindi non posso commentare sul fatto che avessimo o meno fonti in merito. Ma credo proprio da queste mie parole lei possa trarre la giusta conclusione".
Che informazioni ha sull’influenza russa in Italia?
"Ritengo che dovreste indagare in profondità i rapporti del capo della Rosneft Igor Sechin con l’industria petrolifera, con attori del settore bancario e con politici italiani. E la villa dell’ex ufficiale del Kgb Alexander Lebedev in Umbria è stata un hub per incontri informali di persone importanti e politici, tra cui il nostro Boris Johnson quando era ministro degli Esteri. C’è un network russo significativo e con notevoli capacità, in Italia. E non è mai stato investigato per bene (Palazzo Terranova, la residenza di Lebedev a Città di Castello, è stato sorvegliato dai servizi segreti italiani, che in un rapporto del 2021 al governo Conte, visionato da Channel 4, non escludevano che il magnate fosse sempre rimasto una spia, ndr)".
Nel suo libro rivela che — secondo una fonte che definisce “impeccabile” — tra i documenti top secret portati da Trump nella sua residenza di Mar-a-Lago alla fine del mandato presidenziale c’erano segreti militari della marina britannica. Che non si sa che fine abbiano fatto. Se è vero, allora Trump è proprio un pericolo, per l’Occidente. O no? Mica penserà che se vincesse le elezioni gli Usa passerebbero nel campo delle autocrazie?
"Se Trump diventasse presidente con un Congresso controllato dai repubblicani, gli Stati Uniti potrebbero allinearsi ai regimi autoritari, dando loro la libertà di perseguire i propri programmi, come le azioni militari saudite nello Yemen o le operazioni israeliane in Libano, in modi inimmaginabili in passato. Trump non si sente vincolato al trattato Nato, né agli interessi del liberalismo".
Quanto devono preoccupare l’Occidente i rapporti sempre più stretti tra Russia e Cina?
"I due Paesi vedono le cose in modo molto diverso. Xi Jinping — secondo le nostre fonti — considera Putin una mina vagante. Ma non può permettersi che venga spodestato, perché altrimenti rimarrebbe la sola potenza ad opporsi alla Nato. Ritengo però — alla luce dell’intelligence che abbiamo raccolto — che Putin stia portando le relazioni verso un punto di rottura. E che l’Occidente dovrebbe gestire in modo saggio questa possibilità. La Cina non è una causa persa. Certo, ha un regime autoritario. È una dittatura. Ma non ha oltrepassato il punto di non ritorno, come invece ha fatto la Russia. Ed è dipendente dall'Occidente per il suo export".
Il Sud globale e chi in Occidente solidarizza con il Sud globale son fattori destabilizzanti per le democrazie?
"Uno dei problemi attuali dell'Occidente è l’ipocrisia nel sostenere le azioni di Israele a Gaza e in Libano mentre si condannano le invasioni e le stragi di civili altrove. Chi, dall’esterno e dall’interno, ci critica per questo ha più di una ragione. È un nodo che dobbiamo sciogliere".
Come possiamo difenderci meglio dall’interferenza russa? E che dobbiamo fare se in America vince Trump?
"Possiamo contrastare le interferenze cooperando più strettamente e investendo nella difesa e nell’intelligence, per opporsi alla Russia e agli autoritarismi. E prepararsi all’eventualità che gli Usa abbiano un presidente e un Congresso isolazionisti. Europa, Australia, Corea del Sud devono stringere i rapporti tra loro e con la Gran Bretagna, che non accetterà mai una situazione in cui Putin diventi il benvenuto a Washington dopo aver liquidato l’Ucraina. Dobbiamo, insieme, predisporre un piano di emergenza".