La Russia aumenta la spesa militare, gli analisti: “L’economia di guerra funziona ma è fragile”
Mosca prevede di aumentare del 25% il budget per la difesa nel 2025, per alimentare la sua guerra in Ucraina, prepararsi a un eventuale futuro scontro con l’Occidente e spingere la crescita economica. Vladimir Putin è in grado di sostenere uno sforzo bellico per parecchio tempo, dicono alcuni tra i maggiori esperti russi. Inflazione permettendo.
Il paradigma di Putin
“La Russia dal 2021 ha potuto spendere sempre di più, perché le sue entrate sono cresciute in media del 70 per cento l’anno”, spiega a Fanpage.it l’economista Vladislav Inozemtsev. “Putin ha trovato il paradigma per stimolare la crescita dei consumi e del gettito fiscale”.
Per questo può permettersi ora di portare all’equivalente di oltre 128 miliardi di euro la fetta di bilancio destinata al settore militare. Significa il 6,2 per cento del Pil. Un record assoluto dalla fine dell’Urss.
La spesa per la difesa nazionale e la sicurezza interna ammonterà al 40 per cento del totale. Più di quanto verrà destinato complessivamente a istruzione, sanità, servizi sociali e ad altri settori, si legge nel documento programmatico appena sottoposto al Parlamento.
Il 30 per cento ha destinazioni secretate o non specificate. Tutto questo, prevedendo un rapporto tra deficit e Pil limitato allo 0,5 per cento per il prossimo anno.
Inozemtsev fino al 2023 — quando è stato dichiarato “agente straniero” ed è andato in esilio — era direttore di un think tank moscovita e del Dipartimento di Economia mondiale dell’Università statale Lomonosov, la più prestigiosa della Russia. Ritiene che a supportare le entrate e quindi la capacità di spesa del suo Paese non sia solo l’immissione di liquidità nell’industria militare.
Difesa e idrocarburi, ma non solo
Certo, la mancanza di manodopera a fronte dell’impennata della produzione ha aumentato salari e fatturati incrementando il gettito fiscale di un settore sempre più ampio dell’economia. Ma Putin — secondo l’accademico — ha giocato le carte giuste fin da prima del conflitto, abbassando al 4 per cento la tassa forfettaria per tutte le “partite Iva” della Russia ed eliminando molti impicci burocratici per le piccole imprese.
Ciò ha contribuito all’abbattimento dell’evasione fiscale. Con un ridimensionamento delle attività sommerse, scese dal 32 per cento della ricchezza nazionale del 2020 fino a 14 per cento attuale, secondo dati della banca centrale.
“Non è solo il settore militare a tirare. L’economia russa, anche al netto dell’industria dominante degli idrocarburi, ha molto altro”, sostiene Inozemtsev. “E le entrate dai settori secondari aumentano in modo costante”.
Redditività doppia rispetto agli Usa
L’invasione dell’Ucraina, infatti, ha coinciso con una maggior redditività anche per le aziende che con la guerra non c’entrano. “L’economia russa remunera il doppio di quella statunitense”, nota ancora l’accademico.
Nel 2023, la percentuale del Pil corrispondente agli utili societari era pari al 16 per cento, in Russia. Contro l’8,9 per cento degli Stati Uniti. Nel prossimo anno, la tassa sui profitti delle imprese salirà al 25 per cento, dal 20 per cento attuale. Le casse dello Stato ringraziano.
La spesa militare record del 2025 sarà comunque pari a “solo” la metà dell’aumento del gettito fiscale di circa il 43% previsto dal governo. Paradossalmente, a contribuire sono anche le sanzioni finanziarie imposte dall’Occidente: “Hanno aiutato molto la Russia, bloccando la fuga di capitali dal Paese”, commenta a Fanpage.it Ruben Enikolopov, docente alla Scuola di economia di Barcellona (Bse) ed ex rettore della Nuova scuola economica di Mosca.
Il gioco di Putin potrebbe continuare per anni, alla faccia dell’Occidente. E con piena soddisfazione del banco, ovvero la Russia.
In guerra oltre la guerra
“Se qualcuno pensa che il Cremlino mollerà sull’Ucraina a causa di problemi economici, ha sbagliato i suoi conti”, dice Enikopolov. “Non sarà certo un collasso dell’economia russa a permettere una vittoria di Kyiv”, concorda Inozemtsev.
Putin ha scelto l’economia di guerra e non tornerà indietro. Perché il sistema funziona. Così, anche se il conflitto ucraino dovesse finire o interrompersi, gli investimenti statali nell’industria della difesa proseguiranno.
“Putin dovrà continuare ad accontentare la potentissima lobby dei produttori di armamenti e dei vertici militari. E poi non si può semplicemente fermare la spesa per il settore trainante della crescita. Non sarà semplice”.
“Gli investimenti record nel settore difesa rimarranno sostenibili per altri cinque anni, come minimo”, prevede Vladislav Inozemtsev. “E se la guerra finirà, gli investimenti continueranno nel dopoguerra”.
Lo stesso Putin, parlando in occasione di una visita in Cina nell’ottobre 2023, assicurò che anche dopo una vittoria in Ucraina la domanda di lavoro per l’industria militare rimarrà alta per cinque o anche dieci anni, per ricostituire le riserve dissipate nel conflitto.
Il punto debole
Ruben Enikolopov ritiene invece che l’economia di guerra possa esser sostenibile ancora per due o tre anni al massimo. Il punto debole è l’inflazione. Arrivata al 9 per cento, ufficialmente. Ma è probabile che in realtà sia più alta, secondo l’ex professore della Lomonosov.
Con i tassi d’interesse già al 19 per cento e la prospettiva di prezzi al consumo sempre più alti a causa dell’aumento dei salari e della spesa delle famiglie, le condizioni creditizie peggioreranno oltremodo.
Tutto bene finché c’è crescita. Ma se qualcosa andasse storto, per fattori esogeni o interni, e gli utili aziendali si ridimensionassero, “visto l’attuale indebitamento di molte imprese, assisteremmo a fallimenti a catena”, afferma Enikolopov. Perché pagare interessi così alti diventerebbe impossibile.
Non ditelo ai russi
Il governo ha cercato di non far pubblicità all’aumento della spesa militare. Non era citato nel comunicato stampa diffuso dal ministero delle Finanze quando il Documento di programmazione economica è stato presentato alla Duma. Niente nemmeno sui media specializzati in economia, come Rbk, Kommersant o Vedemosti. Che con ogni probabilità hanno ricevuto precise istruzioni in merito.
Il motivo è politico: “È una illusione che i russi siano contenti della guerra. La stragrande maggioranza non lo è”, chiarisce il professore della Bse. Un sondaggio dell’istituto statistico indipendente Khroniki ha rilevato che oltre l’82 per cento auspica la fine dei combattimenti e vorrebbe che il governo si concentrasse sulle questioni socioeconomiche.
Meglio quindi non sottolineare che ci si sta attrezzando per un conflitto ancora lungo. Il fatto che il settore militare sia foraggiato più del welfare, poi, potrebbe peggiorare significativamente il morale sul fronte interno.
Le cose sono molto diverse rispetto ai tempi dell’Unione Sovietica, quando ad ogni incremento di spesa per la difesa corrispondeva a tagli e “defitsit”, ovvero carenze, in altri settori. Ma gli stipendi reali dei dipendenti statali saranno erosi dall’inflazione, la spesa per le infrastrutture diminuirà. E l’economia sarà vulnerabile ad ogni shock.
"L’economia della morte"
A Mosca, su enormi cartelli stradali, nella metropolitana e su nuove panchine che ricordano una bara, campeggia una cifra: 5.200.000 rubli. Sono circa 52mila euro.
È quanto offre lo Stato a chi vuole arruolarsi per combattere in Ucraina. Quasi dieci volte lo stipendio medio di un anno, in Russia. In più, i volontari avranno un bonus di oltre 21mila euro per la firma del contratto.
Nei manifesti manca una cifra, quella che andrà alla famiglia se il guerriero viene ammazzato: più di 81mila euro.
Putin ha bisogno di soldati e non vuole una mobilitazione. Quella solo parziale dichiarata nel settembre 2022 fece scappare dal Paese centinaia di migliaia di giovani, e intaccò i rating del presidente. La pubblicità per andare a farsi ammazzare è incalzante.
In tivù, uno spot mostra “come sono fatti gli uomini russi”, mettendo a confronto immagini “maschie” di militari della Federazione al fronte con quelle, caricaturali, di presunti ragazzi occidentali decadenti.
Vladislav Inozemtsev l’ha battezzata “smertonomika”, che in russo suona come “economia della morte”. Insieme alle altre iniziative per il settore militare, conta per tre quarti della crescita del Pil russo, secondo l’accademico in esilio. “È un volano formidabile”.
È anche un esempio del cinismo con cui Putin sostiene le sue guerre.