video suggerito
video suggerito
Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

La proposta del giurista Luigi Daniele: “Peacekeeper europei a Gaza, Israele sta cancellando i palestinesi”

“Chiunque voglia realmente costruire una difesa comune europea fondata sui valori dichiarati nei trattati dell’Unione – afferma il giurista Luigi Daniele – dovrebbe considerare un’iniziativa concreta: la creazione di una forza europea per la protezione dei civili palestinesi a Gaza, naturalmente sotto l’egida dell’ONU”.
Intervista a Luigi Daniele
Docente di diritto dei conflitti armati e diritto Internazionale Umanitario e penale alla Nottingham Trent University
A cura di Davide Falcioni
226 CONDIVISIONI
Immagine
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

"Ciò a cui assistiamo è un’operazione che va ben oltre la logica del conflitto militare. Il vero obiettivo di Israele è svuotare la Striscia di Gaza e cancellare la popolazione palestinese". A dirlo, in un'intervista rilasciata a Fanpage.it, il professor Luigi Daniele – docente di diritto dei conflitti armati e diritto Internazionale Umanitario e penale alla Nottingham Trent University – a due giorni dalla ripresa dei bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, raid che hanno provocato oltre 450 morti, molti dei quali bambini. Di fronte a quello che sta accadendo il silenzio – o meglio, il doppio standard dell'Europa – appare sempre più inquietante. "Chiunque voglia realmente costruire una difesa comune europea fondata sui valori dichiarati nei trattati dell'Unione – afferma Daniele – dovrebbe considerare un'iniziativa concreta: la creazione di una forza europea per la protezione dei civili palestinesi, naturalmente sotto l'egida dell'ONU".

Il professor Luigi Daniele
Il professor Luigi Daniele

Due giorni fa Israele ha rotto il cessate il fuoco e ripreso a bombardare la Striscia di Gaza uccidendo almeno 480 palestinesi, tra cui 183 bambini.

Questi bombardamenti si inseriscono in una strategia molto più ampia che non riguarda né la vittoria militare di Israele su Hamas, né il recupero degli ostaggi. Anzi, paradossalmente questi attacchi mettono seriamente a rischio la vita degli ostaggi stessi, che avrebbero potuto essere liberati agevolmente arrivando alla fase 2 degli accordi. Ciò a cui assistiamo è un’operazione che va ben oltre la logica del conflitto militare. Inizialmente, i discorsi del Governo israeliano giustificavano questi bombardamenti come una sorta di punizione collettiva contro l’intera popolazione della Striscia, ritenuta  complice, collettivamente, degli attacchi del 7 ottobre. Un’idea, questa, che attribuisce a due milioni di persone la responsabilità di crimini internazionali di alcuni commando, cosa evidentemente inaccettabile da qualsiasi prospettiva giuridica e morale. Tuttavia, col passare dei mesi, è diventato chiaro che la strategia va ben oltre questa idea.

A cosa punta Israele?

Il vero obiettivo è svuotare la Striscia di Gaza della sua popolazione, portare avanti un processo di "depalestinizzazione" di tutto il territorio palestinese, inclusa la Cisgiordania. Non si tratta più di una guerra contro Hamas, ma di una trasformazione radicale della realtà demografica e politica della Striscia, rendendo impossibile la permanenza dei sopravvissuti palestinesi. D'altro canto, lo dichiarano apertamente diversi esponenti del governo israeliano, da tempo. Non solo si sta cancellando ogni possibilità di creare uno stato palestinese, ma nel farlo si sta cancellando la stessa popolazione palestinese. Di recente Amichai Chikli, Ministro degli affari della diaspora di Israele, ha detto apertamente che "una società che tollera simpatizzanti di Hamas non ha diritto ad esistere". Si tratta di un ennesimo, esplicito tassello della retorica dell'esecutivo israeliano protesa a dimostrare una sorta di "meritevolezza di eliminazione" di tutto il popolo palestinese.

Quello che sta avvenendo aggrava la posizione di Israele nella causa per genocidio alla Corte Internazionale di Giustizia?

Tanto i bombardamenti indiscriminati quanto l'uso della fame, della sete e delle malattie come mezzo di guerra diventano, verso l'obiettivo criminale di sradicare la popolazione da Gaza, non solo tollerabili ma persino invocati come doverosi. Questa strategia non è un effetto collaterale del conflitto, bensì parte integrante di un progetto politico che vede l’eliminazione dei gazawi come una sorta di missione. Pensiamo, ad esempio, all’interruzione dell’elettricità e alla distruzione degli impianti di desalinizzazione, che rappresentano l’unica fonte di acqua potabile per centinaia di migliaia di persone. Tali azioni non solo trasformano la perenne crisi umanitaria in causa esponenziale di morti indirette, ma forniscono ulteriore sostanza alle argomentazioni del Sudafrica davanti alla Corte Internazionale di Giustizia. Ogni nuova prova di questa strategia di soffocamento sistematico della vita e delle possibilità di vita per la popolazione palestinese rende sempre più difficile escludere che alla CIG si vada una condanna a Israele per violazione della Convenzione sul Genocidio. Ma sarà troppo tardi per salvare vite. Il momento di salvare vite era dye anni fa ed è ora, non tra mesi o anni.

Secondo alcuni suoi colleghi giuristi, tuttavia, le azioni di Israele a Gaza non si configurerebbero affatto come un genocidio.

Ho rispetto di questa posizione. Il nostro mestiere è fatto di costante interazione tra letture diverse e contrapposte. Penso ad esempio a tutti quelli che hanno espresso scetticismo in merito, parlando però di chiari crimini di guerra e contro l'umanità. Guai a pensare si tratti di crimini secondari. Dovrebbero bastare a ogni cittadino e politico democratico per la richiesta di sanzioni.

Ricorderei però a questi colleghi quello che scrisse il grande giurista ebreo polacco Raphael Lemkin, che coniò il concetto di "genocidio" nel suo capolavoro Axis Rule in Occupied Europe. Scrisse che i genocidi sono "l'antitesi della dottrina Rousseau-Portalis sulla guerra". Questa teoria, che affonda le sue radici nell’Illuminismo europeo e a cui tutti noi facciamo riferimento, stabilisce un principio fondamentale: la guerra non può mai essere un conflitto tra popoli, ma deve rimanere confinata agli stati sovrani e ai loro eserciti regolari. Oggi potremmo estendere questo concetto anche ai gruppi armati non statali, ma il punto centrale resta lo stesso: la guerra non può trasformarsi in uno scontro tra intere popolazioni, tra cittadini in quanto tali, tra gruppi di esseri umani visti come collettività da annientare. Ciò che abbiamo visto nell'ultimo anno e mezzo a Gaza, però, è la sistematica e folle abolizione di questa conquista di civiltà giuridica da parte dell’esecutivo israeliano. Ancora più grave è il fatto che questa deriva non sia stata contrastata, ma anzi, abbia trovato complicità in una parte significativa della politica occidentale.

Immagine

Parliamo dell'Occidente: dopo i massacri degli ultimi giorni sono arrivate solo tiepide critiche a Israele. Nient'altro che questo. Quali sono, secondo lei, le implicazioni di questo silenzio da parte dell'Europa?

Siamo di fronte a una tragedia storica e politica di enorme portata. L’Europa, che aveva forgiato frontiere di civiltà ispirate all'universalismo dei diritti e all'eguaglianza di fronte alla legge, si ritrova oggi responsabile di un silenzio assordante di fronte alla carneficina di Gaza, quando non di una vera e propria complicità attiva. Sembra che tutto ciò che resti di quelle conquiste sia esclusivamente il loro lato oscuro, cioè la ferocia coloniale, col motore di nuovi razzismi.

Già nei primi cento giorni di guerra la posizione europea era preoccupante, ma ciò che abbiamo visto nelle ultime 48 ore, con stragi odiose di bambini (quasi 150 in meno di 24 ore), donne e civili, ha reso ancora più evidente questa deriva.

A ciò si aggiunge un aspetto particolarmente inquietante: i leader europei, anche quelli che si definiscono progressisti, ci hanno chiesto di considerare queste stragi di civili come un’espressione del diritto alla legittima difesa di una democrazia. Dobbiamo chiederci: è questa la concezione di democrazia che dovrebbe convincerci a pagare il riarmo degli stati nazionali europei per decenni? Parliamo di una democrazia svuotata, razzista, fondata sull'etica della diseguaglianza, che finisce per legittimare l’eliminazione di interi popoli, come se la sicurezza di qualcuno potesse fondarsi sulla cancellazione di qualcun altro.

Non possiamo più permettere che il concetto stesso di democrazia venga sequestrato e svuotato da poteri selvaggi (lo ha ricordato di recente Luigi Ferrajoli in una iniziativa comune) che ne abusano per giustificare la rimozione, uno ad uno, di tutti i principio dello stato di diritto. Continuando su questa strada, il risultato sarà solo quello di un regalo alle autocrazie, cui si contrapporranno classi dirigenti occidentali sempre più oligarchiche e detestate dai cittadini per la sconcertante rinuncia ad ogni azione contro gli orrori di Gaza.

Contro le minacce delle autocrazie l'Europa si appresta a spendere centinaia di miliardi di euro per riarmarsi. Cosa ne pensa? Vede dei pericoli in questa strategia?

Lancio una proposta. Chiunque voglia realmente costruire una difesa comune europea fondata sui valori dichiarati nei trattati dell'Unione dovrebbe considerare un'iniziativa concreta: la creazione di una forza europea per la protezione dei civili palestinesi, naturalmente sotto l'egida dell'ONU. Una missione del genere, seguendo l’esempio di precedenti operazioni di peacekeeping, potrebbe frapporsi tra la violenza indiscriminata di esecutivo ed esercito israeliano e i civili superstiti palestinesi, garantendo loro protezione. Credo che molti opinionisti e intellettuali, che recentemente hanno lamentato una perdita di “spirito guerriero” nelle giovani generazioni europee, potrebbero scoprire che esistono molti più giovani disposti a rischiare la propria vita per difendere un popolo vittima di una carneficina inaudita, che non per rispondere ai vaghi appelli dei leader europei su presunte, imprecisate emergenze strategiche.

Intendiamoci, la questione non riguarda più solo le realtà di solidarietà o coloro che hanno una sensibilità per i diritti del popolo palestinese. Ormai, è un problema che investe direttamente le culture politiche europee e la tenuta democratica delle nostre società. C'è un legame sempre più evidente tra la brutalità esercitata contro i palestinesi e il progressivo decadimento della convivenza civile nei nostri Paesi. Affrontare questa sfida non è solo un dovere morale, ma una necessità politica per il futuro dell’Europa.

226 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views