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La nave dei marò può tornare in Italia

La Corte Suprema indiana ha accolto il ricorso dell’armatore della Enrica Lexie. I 24 membri dell’equipaggio e i 4 marò dell’unità antipirateria possono tornare dalle loro famiglie. Salvo, ovviamente, colpi di scena a cui la giustizia indiana ci ha ormai abituato negli ultimi due mesi e mezzo.
A cura di Biagio Chiariello
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La nave dei maro può tornare in Italia

La Enrica Lexie, il mercantile italiano sui cui erano imbarcati i due marò arrestati in India, dovrebbe lasciare il Paese. Ci sembra giusto usare il condizionale alla luce della piega che il caso dei due fucilieri ha preso negli ultimi due mesi, cioè da quando Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono tenuti in carcere nel Kerala con l'accusa di aver ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati. La disputa tra India ed Italia, con le frequenti intercessioni della comunità internazionale, in merito al rilascio in primis dei fucilieri e poi della stessa nave, è stata caratterizzata da rinvii, ritrosie e titubanze da parte degli organi di giustizia di Nuova Delhi che più volte hanno gettato nello sconforto i familiari dei 28 membri dell'equipaggio della nave italiana (tra i quali 4 marò dell'unità antipirateria).

Ora però l'autorizzazione alla partenza della Enrica Lexie è arrivata dalla Corte suprema indiana, massimo organo giudiziario del Paese, riunitasi a seguito del ricorso presentato dall'armatore contro un precedente sentenza dell'Alta Corte del Kerala. Ma a dimostrazione dei dubbi sull'effettività del verdetto della giustizia indiana, sono arrivate le parole del comandante Carlo Noviello che quasi sgrana gli occhi di fronte al pronunciamento della Corte, dopo gli ultimi episodi: «Ci ha chiamati l'avvocato dell'armatore dandoci questa notizia. Io spero che si riesca a partire, che non ci siano altri contrattempi».

 E del resto, la possibilità che la petroliera italiana lasci il porto di Kochi dove è ormeggiata da oltre 70 giorni è vincolata a tre condizioni: l'equipaggio completo ha dovuto firmare un documento nel quale si assicura la disponibilità per l'eventuale processo contro i due marò; lo stesso dicasi per i quattro marò  dell'unità antipirateria; infine, il versamento di una assicurazione bancaria. Il governo italiano ha già garantito il proprio impegno affinché tutto ciò avvenga.

La decisione della Corte suprema è comunque un segnale positivo nello spinoso caso dei marò, ancora detenuti nel carcere di Trivandrum, che segue i passi avanti già fatti con l'ammissione del ricorso italiano sull'incostituzionalità dell'arresto dei nostri connazionali e il pagamento da parte dell'Italia di 380.000 dollari alle famiglie dei pescatori uccisi. Si spera che la prossima buona notizia arrivi l'8 maggio quando la Corte dovrà esprimersi sulla giurisdizione del caso. Anche e soprattutto per quell'occasione l'India tirerà fuori gli artigli. La posizione, infatti, è sempre la stessa: i fatti «rientrano nella nostra giurisdizione» hanno più volte detto i ministri di Nuova Delhi. La Farnesina però ribadisce che l'incidente è avvenuto in acque internazionali, dove vige il  principio dell'immunità sovrana (articoli 14 e 21 della Costituzione indiana).

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