La guerra santa dell’Isis in Libia è mossa dalla sete di petrolio, denaro e potere
Petrolio, denaro e potere tribale. Questo, in estrema sintesi, è la Libia di oggi. Un paese devastato da una lunga guerra civile che per molto, troppo tempo è stata dimenticata dai riflettori dell'opinione pubblica internazionale, e in particolare italiana, e che solo in queste ultime ore è tornata alla ribalta delle cronache a causa del massacro di ventuno cittadini egiziani cristiani copti avvenuto per mano di uomini proclamatisi vicini ad Abu Bakr al-Baghdadi, autonominato califfo di Iraq e Siria (o meglio parti di questi due paesi) e capo ufficiale della formazione terrorista dell'Is (nota anche come Isis e Isil).
La carneficina delle scorse ore rappresenta l'ultimo, e forse il più grave, atto di violenza che ha insanguinato l'ex protettorato italiano governato per quarantadue anni da Muammar Muhammad Abu Minyar al-Gaddafi, meglio conosciuto come colonnello Gheddafi.
Non è ancora chiaro quanto gli uomini vestiti di nero che hanno massacrato i cittadini egiziani siano collegati effettivamente alle milizie jihadiste dell'Is operanti in Siria e Iraq, non è chiaro se e dove siano stati addestrati (se nell'antica Mesopotamia e poi abbiano attraversato il confine oppure se siano stati invece istruiti in altri campi del terrore presenti nei confinanti Sudan o Ciad) o se, invece e come vociferato da più osservatori libici, siano miliziani locali che abbiano deciso di utilizzare le insegne del terrore nero per conquistare territorio e riconoscimento attraverso la carneficina.
Ciò che emerge con chiarezza è che la conquista della Libia rappresenta un punto strategico nello scacchiere del Mediterraneo sia per quanto riguarda la conquista di una roccaforte in Nord Africa, necessaria per le eventuali operazioni terroristiche in occidente (la Libia per la sua posizione geografica insiste come un vero e proprio ponte verso l'Europa, Italia e Grecia in testa), sia e soprattutto per le sua immense ricchezze petrolifere che se sommate a quelle già in mano ai terroristi in Iraq, potrebbero dare un eccezionale potere economico alle milizie jihadiste.
La situazione, è bene ricordare, è crollata in Libia nel 2011 quando la coalizione guidata da Usa prima e Nato poi contribuì in modo significativo a detronizzare il governo del colonnello Gheddafi, dittatore assoluto del paese, con l'obiettivo formale di dare un nuovo futuro al paese nel solco della democrazia e del progresso. Purtroppo invece e come spesso accaduto nella storia recente, l'intervento militare alleato ha causato sì la rimozione del colonnello dalla sua posizione di potere (Gheddafi è stato ucciso in circostanze ancora poco chiare il 20 settembre del 2011 mentre era in fuga verso il deserto), ma anche la conseguente disgregazione dello stato libico gettato nel caos e vittima da ormai da quattro anni di una violenta e sanguinosa guerra civile.
Tale situazione è dovuta sia alla complessa composizione sociale del paese, sostanzialmente ancorata a modelli tribali di gestione della società e dei suoi rapporti, sia alle ricchezze petrolifere nazionali ritenute le più grandi dell'intera Africa e tra le prime dieci su scala mondiale. Una ricchezza che, da sempre, ha fatto gola all'occidente come all'oriente e che oggi più che mai – data la situazione caotica all'interno del paese – rende la Libia terreno di scontro e di conquista per nazioni e gruppi armati determinati a gestire e lucrare grazie a tali risorse.
Non è un caso, con tutta probabilità, che gli attacchi di queste ore delle milizie islamiche si siano concentrati proprio nella parte orientale del paese, dove è sita una parte più che rilevante del petrolio libico. La gestione delle raffinerie e la vendita del greggio, sebbene di contrabbando, ha al momento prodotto enormi introiti alla formazione di al-Baghdadi in Iraq ed è ragionevole pensare che le milizie libiche più estremiste ed interessate alla gestione di questi immensi giacimenti petroliferi possano aver stretto accordi con i terroristi dell'Is per lo sfruttamento delle risorse e dei loro introiti su scala internazionale.
D'altronde lo stesso occidente, Italia e Francia in testa, hanno per decenni goduto di rapporti particolarmente positivi con la Libia del colonnello Gheddafi, poi diventato (a ragione) il mostro di turno, proprio per le grandi disponibilità energetiche del paese e siglando sia accordi pubblici di partenariato energetico-militare (l'Italia ad esempio ha realizzato anni in passato la rete radaristica libica) sia accordi privati di sostegno politico-economico al potente di turno (note le indiscrezioni sui presunti rapporti tra l'ex presidente francese Nicolas Sarkozy e lo stesso Gheddafi). La minaccia posta dalle armi degli uomini in nero al paese, all'area Nord africana e all'Occidente è reale e le ricadute dalla possibile conquista della Libia da parte dei jihadisti potrebbero essere ben più drammatiche di quanto si possa pensare, o si sia pensato fino ad oggi, ma è bene tenere a mente che la presenza di tali formazioni si sostanza anche e soprattutto attraverso lo sfruttamento delle risorse energetiche e quindi economiche dell'area che potrebbero portare ulteriore forza alle minacce degli estremisti.