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Opinioni

La Germania, le banche, la democrazia: noi cittadini per l’Europa non contiamo nulla

Oggi finisce la democrazia. I fatti di questi giorni parlano di minacce, poca trasparenza, limiti invalicabili che sono stati oltrepassati. Ora il futuro dell’Europa è a rischio. E ci riguarda tutti.
A cura di Michele Azzu
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E così il referendum greco non è servito a nulla. Non sono servite le strategie di Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis, i manifesti con scritto ‘OXI’, né le manifestazioni in Piazza Syntagma ad Atene. L’accordo dell’Unione Europea per il salvataggio della Grecia realizza un austerity durissimo – tagli ai servizi, agli stipendi, alle pensioni, privatizzazioni – molto peggio del piano presentato dalla Grecia, e in cambio non è neanche previsto un alleggerimento del debito, ma solo una promessa.

È una data storica: il giorno i cui l’Unione Europea ha mostrato il suo volto. Quello di un soggetto politico votato a difendere gli interessi delle banche. In cui la Germania fa quello che vuole. E in cui la democrazia non conta nulla. È il giorno in cui la Grecia ha smesso, di fatto, di essere una democrazia per essere governata da uno Stato estero: banche, politiche economiche, fiscali, welfare, persino le infrastrutture greche ora sono in mano all’Europa.

E pensare che per una settimana il coraggio del popolo greco aveva continuato a dispensare lezioni su cosa significa democrazia. Le proteste ad Atene, le defezioni al voto nel partito di Syriza, perfino il piano di austerity approvato da Tsipras: tutte cose spiacevoli per l’Eurogruppo ma che avevano smosso un po’ le carte di una Europa ingessata sui diktat della finanza tedesca. E, diciamo la verità, ce n’era stato davvero bisogno. Perché di democratico avevamo visto molto poco in questi mesi di trattative europee.

È un copione già scritto e a cui siamo abituati, quello che in questi giorni vive i suoi momenti più drammatici. Ricorda il governo tecnico di Mario Monti, così caro all’Europa ma che non ha preso un voto quando ha provato a candidarsi. E quante volte abbiamo sentito ripetere da Bruxelles quanto avrebbero preferito un governo tecnico al posto di Alexis Tsipras? Come quello di Monti, o di Enrico Letta – e aspetta, non è quello di Matteo Renzi un governo tecnico? Dopotutto non è stato eletto.

È la democrazia, cara Europa, e tu non puoi farci nulla: il governo greco lo decidono i greci, l’austerity lo decide il referendum. Ma tutto questo ora è cambiato. Banca Centrale Europea, Commissione Europea, Fondo Monetario Internazionale – sono organismi non democratici e non eletti, espressione di lobby finanziarie, banche, potenti. Che continuano, anche dopo un referendum storico, a esercitare pressioni su un governo e sulle sue politiche economiche. E pensare che quel governo, per far loro piacere, aveva perfino fatto dimettere il ministro delle finanze, Yanis Varoufakis.

Proprio Varoufakis, a seguito dell’accordo, ha rilasciato nuove, pesanti dichiarazioni. In questa intervista su New Statesman l’ex ministro spiega come in 5 mesi di trattative all’Eurogruppo, le sue proposte non siano mai state neanche prese in considerazione. E dell’Unione Europea dipinge un quadro perfettamente il linea con la percezione della gente comune: burocrati senza scrupoli, tecnici e politici cooptati dalla finanza, l’opacità delle decisioni, l’impossibilità di far sentire la propria voce o di cambiare alcunché.

Di chiaro, democratico e trasparente abbiamo visto ben poco in queste settimane. C’è la testimonianza di un “insider” anonimo del governo di Syriza, pubblicata dal francese Mediapart a firma di Christian Salmon, in cui si racconta di come in questi mesi la Germania, e in particolare il ministro delle finanze Schauble, abbia esercitato forti pressioni sulla Grecia, al limite del ricatto, e di come la “Grexit”, ovvero l’uscita della Grecia dall’Euro sia stata usata come minaccia, bella e buona, per costringere un governo inviso all’Europa a fare quello che vuole la Germania.

Ma costringerli a fare cosa? È semplice: le politiche economiche che vanno sotto il nome di austerity. E quindi le riforme del lavoro liberiste, delle pensioni, del welfare, le privatizzazioni. Ragionare sul deficit di democrazia in Europa e di austerity va di pari passo. Dell’insieme di dottrina e ideologia tecno-liberista di destra – ma pienamente condivisa da tutta la sinistra socialista europea, Pd in testa – che si è rivelata del tutto inefficace a gestire almeno metà di questa Europa.

La Germania, la poca trasparenza, gli organismi non eletti, le pressioni, le minacce. Il problema qui non è economico, non è vero che l’Europa sta fallendo perché non ha una politica monetaria o fiscale unificata. Il problema è politico, ed è oggi chiaro più che mai: l’Unione Europea è governata da organismi non eletti, che esercitano pressioni illegittime su governi democraticamente eletti. In barba perfino ai diritti umani: costringere un paese a chiudere le banche, lasciandolo a corto di medicinali e viveri, significa varcare un limite che non si dovrebbe mai raggiungere.

Quelli a cui stiamo assistendo in questi giorni sono eventi che influiranno sulle vite di tutti noi. Perché se contravvenire a un referendum, al voto, alla base stessa della democrazia non è più un tabù, non si è più capaci di sapere cosa accadrà dopo. Questa Europa non funziona, questa “tecnocrazia” ha allontanato i giovani più che mai: solo uno su tre ha votato alle ultime europee – così come i giovani greci in massa hanno votato ‘No’ al referendum sull’austerity. Questa Unione Europea ha abbandonato i giovani e il futuro, e per tutto questo c'è un prezzo da pagare.

C’è ancora una speranza, ed è quella incredibile, inaspettata, potente del referendum della Grecia. Un evento che per la prima volta nella storia ha messo l’Unione Europea in condizione di doversi ridiscutere, ha obbligato i suoi leader a dover rendere conto, e quelle istituzioni non elette a dover fare un passo indietro. Non è durato a lungo. Ma nel 2016 arrivano le elezioni in Spagna, col partito Podemos (nato dalle proteste degli Indignados) che potrebbe fare il pieno di voti. Cosa farà quel giorno l’Europa?

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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