La Croazia e la Slovenia verso le elezioni europee, tra lotta alla corruzione e riforme
Immaginate di essere il presidente di un Paese, ma di candidarvi alle elezioni per il Parlamento con l’obiettivo di diventare primo ministro. È strano, senza dubbio, ma è quello che è successo a fine aprile in Croazia. Le elezioni anticipate sono state convocate dopo le forti proteste scoppiate nel Paese per alcuni scandali di corruzione, che hanno coinvolto anche il governo, di stampo conservatore. L’opposizione di centrosinistra non solo ha appoggiato le manifestazioni ma ha schierato in campagna elettorale un pezzo da novanta, il presidente del Paese Zoran Milanovic.
Una mossa che non è piaciuta alla Corte costituzionale, che lo ha escluso dalla corsa, spiegando che per legge avrebbe prima dovuto dimettersi da presidente, per partecipare alle elezioni. Ma questo non ha fatto alcuna differenza per Milanovic, che ha accusato i giudici di collaborare con il sistema corrotto del potere di governo e ha continuato a fare campagna elettorale come se nulla fosse. Il premier uscente, Andrej Plenkovic, ricandidato con il centrodestra, ha criticato duramente il rivale, descrivendolo come un “codardo” per non essersi dimesso e accusandolo di essere un filorusso, per le sue posizioni sulla guerra in Ucraina e su Vladimir Putin.
Nella vicina Slovenia, invece, il leader dell’opposizione, l’ex premier Janez Jansa, è stato accusato dall’opposizione di essere troppo vicino a Viktor Orban e di prendere come modello un populista come Donald Trump. Insomma la scena politica interna in questi due Paesi appena al di là del confine italiano è in fermento. E le elezioni europee del prossimo 9 giugno saranno importanti nel rafforzare – o sconvolgere – gli equilibri tra i partiti.
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Croazia, il presidente che vuole fare il premier
Le elezioni primaverili in Croazia sono state vinte dall’Unione democratica croata del premier uscente Plenkovic, un partito conservatore che in Europa fa parte del gruppo dei Popolari. L’HDZ – questa la sigla del partito – ha ottenuto il maggior numero di seggi, ma non abbastanza da raggiungere la maggioranza per formare un nuovo governo, costringendo Plenkovic a negoziare con gli altri partiti per formare una coalizione.
La seconda forza più votata è stata il Partito socialdemocratico, la SDP di Milanovic, che a Strasburgo fa invece riferimento a S&D, il gruppo dei socialisti e democratici. A seguire, lo schieramento nazionalista di destra, il Movimento Patriottico. L’affluenza è stata al 64%, di ben 14 punti in più rispetto alle ultime elezioni del 2020: è stata una campagna elettorale decisamente sentita, tutta incentrata sulla lotta alla corruzione dilagante, sul tasso di inflazione alle stelle e sul contrasto dei flussi migratori provenienti dalla rotta balcanica.
Il partito di Plenkovic è stato il più colpito dagli scandali sulla corruzione, con diversi ministri che si sono dimessi in seguito alle accuse. Milanovic ha cavalcato questo argomento per consolidare i consensi a suo favore. Il premier uscente, invece, già in carica da due mandati, ha puntato tutto sulla questione geopolitica. Ha detto che la situazione della sicurezza globale è talmente precaria che per i prossimi quattro anni è meglio che la Croazia abbia alla guida persone molto responsabili. Sottintendendo, chiaramente, che Milanovic non lo sia.
L'importanza della questione geopolitica
Il presidente croato, il cui mandato scade a fine anno, ha definito l’invio di armi in Ucraina immorale, in quanto prolunga la guerra con la Russia, e si è opposto all’eventualità che Kiev entri nella Nato. Il premier Plenkovic, invece, non è solo un convinto atlantista, ma è anche profondamente europeista: proprio durante i suoi governi la Croazia ha adottato l’Euro ed è entrata nello spazio Schengen, per citare un paio di misure.
La Croazia elegge 12 eurodeputati: al momento, tra quelli uscenti, 4 fanno parte dei Popolari, altri 4 dei Socialisti, 2 non sono affiliati a nessun gruppo, mentre i Conservatori di ECR e i liberali di Renew ne hanno uno a testa. Le elezioni del 9 giugno saranno un test importante, per capire se il consenso propende sempre per i popolari o se i socialdemocratici stanno effettivamente rimontando.
La corsa alle elezioni in Slovenia
Anche nella vicina Slovenia le elezioni europee saranno un momento per fare i conti sui consensi. Alle ultime elezioni parlamentari, nel 2022, ha vinto a sorpresa Robert Golob, del Movimento Libertà, battendo lo schieramento dell’ex primo ministro Janez Jansa, il leader del Partito democratico sloveno, l’SDS, uno schieramento di destra populista.
Il risultato è stato sorprendente, considerando che Golob era alla sua prima candidatura al Parlamento, mentre Jansa è un politico di vecchia data, uno dei protagonisti della storia indipendente del Paese, nonché tra le sue figure più controverse. È stato arrestato due volte, la prima alla fine degli anni Ottanta, per aver scritto degli articoli critici del regime e dell’esercito jugoslavo; la seconda dieci anni fa, per corruzione. Dopo alcuni mesi, però, la condanna è stata annullata e lui riabilitato. Nel 2020 è tornato alla guida del Paese, fino alle elezioni di due anni dopo.
Golob ha dimostrato di essere molto abile nella campagna elettorale: con un passato da imprenditore nel settore energetico, ha messo le riforme progressiste e la lotta al cambiamento climatico tra le sue priorità, venendo premiato dagli elettori.
In Europa il Movimento Libertà fa parte di Renew mentre l’SDS del Partito popolare. Al momento la Slovenia ha 8 eurodeputati, ma il 9 giugno ne eleggerà 9, in conseguenza dell’aumento del numero di seggi totali al Parlamento europeo. Degli attuali, 4 fanno parte dei Popolari, 2 dei Socialisti e 2 dei liberali di Renew.
L'ammirazione per Donald Trump
Gli ultimi sondaggi, ci dicono che lo scenario politico è cambiato rispetto al voto del 2022. A pochi mesi dalle elezioni europee, l’SDS è tornato in cima alla classifica dei consensi, distanziandosi di oltre dieci punti dal Movimento Libertà. E Jansa potrebbe ben presto tornare sulla scena. È già stato primo ministro in Slovenia diverse volte, distinguendosi per la retorica populista e anti-immigrazione, ed è un ammiratore di Donald Trump. Nel 2020, ad esempio, si è congratulato con il tycoon quando era già chiaro che a vincere fosse stato Joe Biden, alimentando le falsità sul risultato delle presidenziali che portarono poi all’assalto del Campidoglio nel gennaio del 2021.
Oltre ad alcune posizioni politiche, Jansa condivide con l’ex presidente statunitense anche la presenza nel settore mediatico. È infatti il fondatore di un’emittente televisiva, un canale di estrema destra che più volte ha diffuso teorie del complotto o contenuti strumentali alla campagna contro la comunità musulmana e quella Lgbt. Secondo un’inchiesta del New York Times, questa emittente avrebbe ricevuto ingenti finanziamenti da imprenditori ungheresi, vicino a Viktor Orban, di cui Jansa è sempre stato un alleato. Il timore dei suoi oppositori è che il voto di giugno dia nuovo vigore al suo partito, aprendo per Jansa le porte per un ritorno al potere. E per trasformare la Slovenia in una democrazia illiberale, proprio come accaduto nel Paese dell’alleato.