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L’Unione europea ora pensa a finanziare la ricerca sulle armi

La proposta dovrà essere approvata dal Parlamento europeo: 25 milioni l’anno dal 2017 al 2019, ma l’obiettivo a lungo termine è uno European Defence Research Programme (EDRP) da 3,5 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. Sarebbe la prima volta che l’Ue inserisce una voce sulla difesa nel suo budget. Secondo le Reti per il disarmo è un grosso favore all’industria bellica.
A cura di Claudia Torrisi
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Unione Europea, Euro

Nel nuovo budget dell'Unione europea potrebbe esserci per la prima volta una voce dedicata alla ricerca per l'industria bellica. All'interno delle proposte per il prossimo bilancio, infatti, ci sono 25 milioni per il 2017 da investire in tecnologia e innovazione in campo militare. Il programma di ricerca si trova nella Preparatory action proposta dalla Commissione europea, una sorta di "progetto pilota" che poi andrà prima approvato dal Parlamento europeo e, in caso di esito positivo, inserito stabilmente in bilancio. Sarebbe una novità piuttosto rilevante: di norma, infatti, il settore della difesa è esclusiva dei singoli stati. Per contrastarla sono state lanciate da realtà pacifiste campagne e petizioni internazionali, tra cui #NoEUmoney4arm (che ha raccolto circa 59 mila firme), promossa sulla piattaforma We.Move.Eu dalla rete Enaat– European network against arms:

"Presto i membri del Parlamento europeo voteranno per dire sì o no per dare all'industria delle armi fondi Ue. Anche se presentano questo come "difesa" l’obiettivo di queste sovvenzioni è quello di preservare la competitività dell’industria delle armi e la sua capacità di esportare all’estero, anche in paesi che contribuiscono all'instabilità e prendendo parte a conflitti mortali, come l'Arabia Saudita".

"L'Ue ha un bilancio con capitoli bloccati, che va di sette anni in sette anni. Prima che un tipo di spesa arrivi in quel grosso percorso di sette anni – il prossimo sarà 2021-2027 – ci sono delle azioni preparatorie. Ecco, per la prima volta una di queste preparatory action è sulla difesa", spiega Francesco Vignarca,  coordinatore italiano della Rete disarmo, onlus che ha aderito alla campagna. L'azione preparatoria prevede che dal 2017 al 2019 vengano stanziati 25 milioni di euro da consumare di anno in anno per consentire alle industrie militari di fare ricerca, per esempio, su nuove armi. L'obiettivo a lungo termine, però, è quello di allargare questo finanziamento, e arrivare per il periodo 2021-2027 a uno European Defence Research Programme (EDRP) da 3,5 miliardi di euro.

Per i componenti del network disarmo l'operazione presenta più di un punto preoccupante. "Il primo riguarda proprio il ‘come' si è arrivati a questa decisione", spiega Vignarca. Per elaborare la proposta di budget – che poi dovrà essere confermata sia dal Parlamento europeo, che dal consiglio degli Stati membri – è stato istituito una sorta di comitato consultivo. "Ma tra le sedici persone che ne facevano parte – ha aggiunto il coordinatore della Rete disarmo – nove sono direttamente legate all'industria della difesa. L'Ue non si è rivolta a un gruppo neutro, ma direttamente a persone che sono interne al settore bellico". Il gruppo di personalità ha elaborato un rapporto in cui si sottolineava che i finanziamenti erano "necessari in vista della possibile decisione di rafforzare la postura militare complessiva dell'Europa e creare un livello di autonomia strategica". Sostanzialmente, quindi, il suggerimento di inserire una voce di spesa in ricerca militare arriva direttamente dall'industria degli armamenti che, come denuncia il network europeo, "fondamentalmente è stata l'unica portatrice di interessi ascoltata dalla Commissione".

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Legato a questo c'è un secondo problema: non esistono al momento dettagli sull'utilizzo dei fondi. Per l'Enaat, quindi, è come se a Parlamento europeo e Stati membri si chiedesse di votare "quello che è possibile definire come un assegno in bianco a favore dell'industria" bellica e, inoltre, "la Commissione non ha ancora fornito il quadro di riferimento dei progetti e delle azioni preparatorie che dovrebbe essere invece il metro di paragone per poter valutare davvero l'eventuale impatto positivo di questa proposta". Le uniche indicazioni finora pubblicate sull'utilizzo dei fondi – si legge in un approfondimento dell'Enaat – "vengono ancora una volta dal Gruppo di Personalità" e si tratta di "proposte altamente problematiche sotto diversi aspetti fondamentali: finanziamento di oltre il 125% dei costi possibili, diritti di proprietà intellettuale mantenuti dall'industria, definizione delle proprietà e delle modalità di governance di questi fondi rimasta praticamente nelle mani delle aziende e degli Stati membri. In breve le proposte di questi consulenti servono solo a definire le migliori condizioni possibili per i beneficiari del programma". Insomma, il network denuncia la "mancanza di qualsiasi pubblico interesse in questa azione preparatoria".

Qualora la proposta dovesse passare, come detto, sarebbe la prima volta che l'Ue inserisce nel suo budget questioni inerenti la difesa. "Qualcuno ha parlato in proposito del fatto che finalmente l'Europa stia provando a dotarsi di una politica estera comune", dice Vignarca, secondo cui, però, in quest'operazione manca un passaggio: "Prima devi scegliere che politica fare, e poi inizi a metterci i soldi. Partire dai fondi per fare ricerca su nuove armi, vuol dire che stai bypassando integralmente l'aspetto politico, che in quest'ambito è fondamentale".

Un altro punto riguarda le conseguenze dell'allocazione delle risorse per la ricerca in campo militare. Come sottolineato da Vignarca, "25 milioni non sono tantissimi rispetto al budget europeo", ma hanno una rilevanza futura non indifferente. "Quello che succede – ha spiegato il coordinatore della Rete disarmo – è che si sta aprendo una porta politica e non solo". Se, ha aggiunto, "ci sarà conferma dopo la fase di sperimentazione, l'idea a cui stanno puntando gli esponenti dell'industria della difesa è che per il periodo 2021-2027 ci siano 3 miliardi e mezzo, quindi 500 milioni all'anno. Si tratta di un cambiamento di scala importante, anche perché una volta inseriti in quel capitolo di bilancio del settennato, quegli stanziamenti sono intoccabili". Ma c'è un'altra questione che riguarda il budget dell'Unione europea che, spiega Vignarca, "è rigido, quindi se si decide di inserire questi fondi per la difesa, le somme vanno tolte da un'altra parte".

Il programma di ricerca europeo per espressa previsione non escluderebbe quanto già stanziato internamente da ogni paese: ogni singolo Stato, infatti, potrà proseguire con i suoi progetti sulla tecnologia militare. Secondo l'Enaat, utilizzare per la ricerca per la difesa "il bilancio europeo già abbastanza stringato", nonostante gli Stati membri abbiano preso impegni a livello Nato di dedicare almeno il 2% del loro pil alla spesa militare, permetterebbe a questi ultimi di "non assumersi le conseguenze di tale decisione di fronte ai propri elettori, ma il tutto andrebbe a detrimento di progetti dai quali potrebbero trarre benefici i cittadini, e non certo l'industria".

L'approvazione della proposta per l'inserimento nel bilancio Ue segue tre step, di cui uno è già passato. Il Parlamento europeo, infatti, si è già pronunciato all'interno del comitato preposto al budget, dando l'ok alla preparatory action. Due emendamenti contrari che erano stati presentati sono stati rigettati. A fine mese, invece, è previsto il voto in plenaria, e poi a novembre quello nel consiglio degli Stati membri. "Cercheremo di fare pressione sempre più forte sulla seconda tappa, perché temiamo che se la proposta dovesse passare al Parlamento europeo poi nel dialogo degli Stati membri potrebbe calare il silenzio", avverte Vignarca. La petizione che la Rete disarmo ha lanciato insieme al network europeo chiede che "nemmeno un centesimo dei fondi pubblici" finisca "nelle tasche delle aziende che producono armamenti". L'alternativa a uno stanziamento di questo tipo esiste: si potrebbero, ad esempio, dedicare quei soldi a iniziative nonviolente di prevenzione e risoluzione dei confitti. "Se si fa il confronto con i programmi per i diritti umani dell'Ue che hanno 25 milioni di euro complessivi in tre anni – conclude Vignarca – è facile comprendere perché si tratti di una scelta ingiusta e sbilanciata sul settore dell'industria bellica. Senza contare l'evidente conflitto d'interessi che ha portato alla sua elaborazione. Chiedessero anche a noi, per una volta, dove potrebbero essere allocati tutti quei soldi".

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