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L’Isis si riorganizza, ecco chi punta a prendere il posto di al Baghdadi

Con la caduta di Mosul e la decimazione della leadership dell’Isis si è aperta una lotta intestina per guidare ciò che resta del Califfato. E in ogni caso, è aperta la corsa a prendere il posto di Abu Bakr al-Baghdadi.
A cura di Augusto Rubei
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Miliziani dell'Isis
Miliziani dell'Isis

Non è la prima volta che lo danno per spacciato. Le ultime voci sulla sua morte erano giunte qualche giorno fa, da Mosca. Ancor prima da fonti libanesi, dunque sciite, politicamente e culturalmente vicine a Damasco. Entrambe troppo di parte per essere considerate credibili. Ma qualche sospetto sullo stato di salute del Califfo lo avevano sollevato. In fondo sono mesi che Abu Bakr al-Baghdadi non compare in video, mesi di silenzio e riflessioni in un momento delicatissimo per il suo impero, all'indomani della caduta di Mosul, città simbolo della nascita dello Stato Islamico.

Oggi è stata la tv irachena Al Sumariya a dare la notizia della sua scomparsa, precisando che i vertici dello Stato islamico si appresteranno a comunicare il nome del successore. Questo basta a credere che al Baghdadi sia davvero morto? No. Non basta affatto. Potrebbe infatti trattarsi di una notizia pilotata, magari per distogliere l'attenzione sullo sceicco e agevolare una sua exit strategy in vista del forte pressing della colazione internazionale in Siria. Morire per non morire mai. E' una ipotesi.
Così come un'altra ipotesi suggerisce che con la caduta di Mosul e la decimazione della leadership dell’Isis si sia aperta una lotta intestina per guidare ciò che resta del Califfato. La fonte che ha annunciato la morte di al Baghdadi, in sostanza, potrebbe voler lanciare un suo “candidato” per la successione. Infine non è molto chiaro il perché un evento di tale portata non sia stato comunicato attraverso il media center ufficiale Al Furqan, o almeno dall’agenzia Amaq. Mancano inoltre informazioni più precise, come il luogo dell’uccisione di al Baghdadi, il mandante e le consuete immagini.

In ogni caso, il primo dato da considerare è che il nuovo Califfo, semmai la notizia venisse confermata, davanti a sé avrà un compito arduo: prendere in mano le redini di un impero in declino e sull'orlo della disfatta, ma con un potenziale ancora altissimo. Tra gli uomini da sempre più vicini ad al Baghdadi figurano Abu Muhammad al-Shimali e Abi al-Hassan al-Muhajer. Il primo fino ad oggi ha ricoperto il ruolo di coordinatore delle operazioni all'estero dell'Isis, facilitando il flusso di combattenti jihadisti lungo il confine turco-siriano. E' colui che ha guidato a distanza gran parte degli attacchi compiuti in Europa. Parigi 2015 è un esempio. Il secondo è l'attuale portavoce dell'organizzazione, successore di Abu Mohammad al-Adnani. La sua identità e le sue origini sono ancora un mistero.
Subito dopo vengono Gulmurod Khalimov, tagiko classe '75 nominato nel 2016 ministro della guerra e Sally Jones, la "Vedova bianca", cittadina britannica ed ex moglie di Junaid Hussain, l'hacker dell'Isis morto ad agosto 2015, esperto di reclutamenti in rete. Poi Denis Cuspert, in arte Deso Dogg, nome di battaglia Abu Talha al-Almani, l'ex direttore responsabile di al Hayat Media Center, il principale mezzo per le comunicazioni e la gestione dei nuovi media dei jihadisti di Isis, il service che da sempre traduce in diverse lingue (inglese, francese, tedesco) gli annunci di al Baghdadi. Insomma, la cabina di regia per la propaganda del Califfato. Deso Dogg è un tedesco di Kreuzberg (Berlino) e prima di fare il terrorista faceva il rapper. Poi lascia il Paese e vola in Siria. Si converte all'Islam dopo aver rischiato la vita in un incidente d'auto e dopo essere entrato in contatto con Pierre Vogel, un ex pugile e predicatore musulmano. Non è chiaro se sia morto o ancora vivo. Il Pentagono comunicò la sua scomparsa nel 2015, colpito da un raid Usa, poi ritrattò.

Questo è senza alcun dubbio lo zoccolo duro dello Stato Islamico. Gli insostituibili, le teste pensanti dell'organizzazione. Dopo di loro c'è la seconda fascia: Abu Luqman (governatore di Raqqa), Faysal Ahmad Ali al-Zahrani, l'austriaco Mohamed Mahmoud, il ceceno Akhmed Chatayev. E la terza, con i capi delle filiali estere in Arabia Saudita, Somalia, Iraq, Libia, Sinai, Filippine, Afghanistan, Indonesia. Anche se è da escludere che i vertici decidano di affidare la nuova leadership a una figura "local", più marginale e con un volto poco noto.

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