L’Europa ha salvato la Spagna? Lo abbiamo chiesto a un economista
Le più nefaste profezie riguardo le conseguenze di una politica economica ciecamente neoliberista si stanno avverando, passo dopo passo, senza eccezioni. Curare con ricette neoliberiste il punto di rottura del capitalismo – vale a dire il punto in cui, per mantenersi in vita, il sistema è costretto a nutrirsi di se stesso, fagocitando tutto e tutti attraverso un'aperta strategia offensiva – è un paradosso che nemmeno molti tra i più importanti economisti di scuola liberista sono pronti ad accettare. E la seconda vittima dell'accanimento neoliberista – se non consideriamo l'Islanda, rifiutatasi tempo addietro di venir risucchiata nel vortice – è la Spagna. La scorsa settimana, infatti, la Troika ha deciso che la nazione iberica non era in grado di far fronte autonomamente al debito privato determinato dalle folli speculazioni delle banche spagnole ed ha perciò pressato perché il governo accettasse l'aiuto europeo: con tutto quel che ne consegue in termini di obblighi e garanzie.
Al fine di comprendere meglio possibile cos'è accaduto, chi sono i responsabili, quali saranno le conseguenze, quali erano le alternative possibili e – soprattutto – cos'è lecito aspettarsi in futuro per tutti i paesi dell'area mediterranea, abbiamo interpellato un esperto di economia, un giovane economista italiano residente da diversi anni in Spagna: Giuseppe Quaresima, Phd Law and Economics presso l'Università di Siena e Ricercatore presso la facoltà di Economia dell'Università di Malaga.
L'intervista all'esperto
Perché la Spagna si trova nelle condizioni di dover domandare aiuto all'Europa? Qual è il problema a cui non è in grado di far fronte in indipendenza?
I problemi della Spagna sono due: il debito privato – creato dal sistema finanziario e dalle banche – e il debito pubblico. Si tratta di un paese che non ha la fiducia dei mercati e, gioco forza, per vendere e piazzare i propri bond deve offrire interessi alti. Quello dei giorni scorsi non è che un salvataggio finanziario, vale a dire un salvataggio che riguarda le banche, ma potrebbe essere premonitore di un salvataggio economico vero e proprio.
In cosa consiste questo "salvataggio"?
Questa prima immissione di denaro ha caratteristiche molto simili all'operazione che l'Islanda ha rifiutato. Vale a dire che ci sono entità bancarie spagnole – Bankia è la prima ma ce ne sono altre – che si sono caratterizzate per una gestione finanziaria rischiosa, vale a dire che hanno investito nei cosiddetti derivati tossici – investimenti ad altissimo rischio – e ora si ritrovano con un gigantesco vuoto di danaro che mette a rischio la sopravvivenza delle entità bancarie stesse. In questo contesto, lo Stato spagnolo ha provato a riempire il vuoto con soldi pubblici, ma non ce l'ha fatta e per questo è intervenuta l'Europa. Di fatto, la Spagna si è accollata il debito privato delle entità finanziarie e delle banche trasformandolo in debito pubblico – interessi inclusi; di fatto lo Stato è diventato garante del debito contratto dalle banche; di fatto questa situazione ha generato e genererà grande instabilità, creando problemi allo Stato spagnolo soprattutto nel cercare e trovare finanziatori esterni che comprino i suoi bond. Inoltre, tutto ciò ha determinato l'immediato aumento del differenziale – lo spread con Germania – e ancor di più del tasso di interesse sui bond emessi. In ogni caso, non si possono non considerare le enormi responsabilità politiche che sottendono l'intera situazione.
Quali sono e in cosa consistono queste responsabilità politiche?
Al di là della condivisione o meno della ricetta tedesca – che personalmente reputo non solo inadeguata, ma a tratti folle – in questa circostanza una delle colpe del governo risiede nell'aver creato un clima in cui continue menzogne si mescolavano alla crescente incertezza. Ad esempio, nella fase iniziale il governo ha negato con forza la necessità di un salvataggio finanziario da parte d'Europa, successivamente ha affermato che il debito privato delle banche non sarebbe mai diventato debito pubblico, poi ha assicurato che era stato il governo stesso a chiedere il salvataggio e invece Barroso ha chiarito che è stata la Commissione Europea a spingere la Spagna ad accettare. Insomma, una serie di bugie e smentite che non solo creano sfiducia diffusa all'interno della società civile, ma determinano anche sfiducia e incertezza in ambito politico ed economico; per non parlare dei danni sociali e delle conseguenze nefaste di un probabile salvataggio in stile Grecia che si prospetta.
Quali sono le analogie tra Spagna e Grecia che potrebbero condurre verso un comune destino?
Forzando il paragone – giacché ogni caso è diverso dagli altri, soprattutto per condizioni macroeconomiche distinte – cominciamo col dire che il salvataggio finanziario che è piombato sul popolo spagnolo è molto simile a quello che il popolo islandese ha rifiutato: sono stati offerti dei soldi per salvare banche i cui debiti diventano pubblici, e quindi della popolazione. Sappiamo come è andata in Islanda. In Spagna – purtroppo – è stato scelto un altro tipo di cammino. Ciò detto, credo che a breve la Spagna non avrà la capacità di auto-finanziarsi e a quel punto ci sarà bisogno dell'Europa per far fronte alle spese correnti: in stile Grecia. Ma perché questo accada, chiaramente, la dieta tedesca prevede delle garanzie: prima fra tutte l'obbligo (sia in caso di salvataggio finanziario che in caso di un – eventuale – salvataggio economico) di estinguere per primi i debiti verso l'Europa. Ma perché un paese indebitato e senza alcuna prospettiva di sviluppo possa offrire questo genere di garanzie non c'è altra strada se non quella dei tagli su tagli. Il dramma è questo: se non si garantisce una possibilità di sviluppo, non si esce dalla spirale dei tagli e l'unica prospettiva – a lungo termine – potrebbe arrivare ad essere l'uscita dalla zona euro pur di riappropriarsi (almeno) dello strumento di controllo monetario. Per questo è importante osservare e fare attenzione a quanto accade in Grecia. Potrebbe anche darsi che la Germania e l'Europa tutta non vogliano arrivare all'uscita di alcuni paesi dalla zona euro e quindi prospettino un cambio di politica. Senza dubbio quel che attende la Spagna è un lungo periodo di conflitto sociale e instabilità politica. È comunque sempre più evidente come l'austerità non sia la soluzione. Credo serva grande unità da parte dei paesi del Mediterraneo e, in generale, da parte dei paesi in difficoltà perché si cominci a mettere sul tavolo un altro possibile cammino comune.
Quali sono le immediate conseguenze di questo "salvataggio dolce" – come lo ha definito la Merkel – dove e cosa si è tagliato nelle ultime settimane?
Innanzitutto, va detto che la famosa Troika (o "gli uomini di nero", los hombres de negro come li chiamano in Spagna) controlla – anche in questo caso – l'operato del Governo. Il controllo è però di tipo finanziario e non macroeconomico, ma sempre di controllo si tratta. In ogni caso, sembra che ci siano già diverse di misure pronte per essere attuate. Le prime probabili misure saranno l'aumento dell'Iva e la vendita del patrimonio pubblico. Ma non è che l'aperitivo. Credo che se ci saranno ulteriori aiuti e, se dovesse arrivare un "salvataggio" vero e proprio, sarà la fine della sanità gratuita, si avvierà lo smantellamento di interi settori della pubblica amministrazione e – cosa peggiore – assisteremo a un'ulteriore precarizzazione delle condizioni lavorative, con una progressiva eliminazione di quegli ammortizzatori sociali oggi vitali per una buona fetta della popolazione. Il punto è proprio questo: l'ortodossia neoliberista sta rappresentando – per gli interessi degli speculatori e per gli investitori privati – un'ottimo strumento per fare affari e quattrini. Gli stati svendono, insieme alla loro sovranità, anche le proprie risorse, il proprio popolo. Come diceva John Adam, ci sono due modi per schiavizzare uno stato: una è con la spada, l'altro è con il debito. Basterebbe chiedere ai cugini sudamericani per sapere quanto è stato difficile – per loro – riacquistare la sovranità, l'autonomia politica e quella economica.
C'era una soluzione diversa per colmare il vuoto creato dalle banche?
Una crisi finanziaria di natura simile ha già colpito la Svezia negli anni novanta, in quel caso lo stato assunse su di sé un ruolo molto forte, ma si garantì il ritorno del capitale da parte di coloro che avevano investito nella banca almeno per il 70%. L'Islanda è andata ancora oltre rifiutandosi di pagare il debito. È vero che siamo all'interno dell'Unione Europea e che il vuoto in qualche modo va colmato perché non contagi il resto del continente mettendo a repentaglio la stabilità dell'intero sistema finanziario continentale, ma questo va fatto per mezzo della nazionalizzazione delle entità bancarie e colmando il vuoto attraverso la sospensione dei debiti nati da investimenti rischiosi, ovvero responsabilizzando chi ha gestito l'entità bancaria e – soprattutto – chi ha giocato con la speculazione. Speculare non vuol dire altro che giocare con la vita delle persone; persone che non hanno responsabilità dell'accaduto e che, magari, hanno pochi spiccioli in banca. Detto questo, mi sembra evidente che nonostante il problema sia di natura strettamente speculativo, non si faccia niente per fermare la speculazione. Le misure vanno in tutt'altra direzione. A mio avviso, sarebbe necessario istituire la tracciabilità delle operazioni finanziarie (per determinare e stabilire le responsabilità); introdurre delle direttive che blocchino la speculazione dei debiti sovrani sui mercati secondari e – soprattutto – iniziare a condannare coloro che con la crisi hanno guadagnato e speculato. In Islanda qualcosa è stato fatto. Mentre in Spagna i top manager di Bankia (la banca che ha determinato lo scoppio della crisi finanziaria) hanno incassato liquidazioni milionarie, liquidazioni milionarie per aver lavorato in una banca che è sul lastrico e che rischia il fallimento. Qualcosa non va.
Alla luce dei risultati delle elezioni in Grecia, quali sono stati i contraccolpi in Spagna e – in generale – come valuti la vittoria delle forze pro-austerity? Quali scenari si aprono per la Spagna e il Mediterraneo in generale?
Tutti si aspettavano una reazione positiva da parte dei mercati e di conseguenza una minore pressione speculativa su Spagna ed euro, ma così non è stato. Nonostante le elezioni fossero state trasformate in uno scontro tra pro-europeisti e anti-europeisti (cosa peraltro non vera), già dopo poche ore dall'apertura delle Borse si è capito che i problemi sono ben altri. La stessa cosa è successa con la vittoria del PP in Spagna che non ha portato nessun vantaggio o sollievo ai mercati, anzi. La destra europea – capitanata da Merkel – utilizza la situazione per creare un clima di paura e tensione e per giustificare delle misure che appaiono necessarie ma che, in realtà, non lo sono affatto. In spagna il futuro è tutt'altro che roseo. In questo momento il paese è in stagnazione; una stagnazione destinata a trasformarsi in recessione. L'austerità in questo senso è il male principale. Leggendo Hosbawn, nel Secolo Breve l'autore si sorprende di come, nonostante sia stata responsabile del peggioramento della crisi del 29, l'ortodossia liberista sia tornata in auge negli anni ottanta e novanta. Ancora più sorprendente, inoltre, è che mentre sempre più analisti – anche di formazione classica e liberale – evidenziano la necessità di misure per la crescita, la risposta europea sia così miope. Credo sinceramente che la zona del Mediterraneo si riscalderà moltissimo nei prossimi mesi. La sinistra anticapitalista inizia a conquistare ampi consensi un po' ovunque – fatta eccezione per l'Italia, ma credo sia una situazione contingente; inoltre la percezione dell'ingiustizia sistemica è diffusa. In Spagna non si contano più le manifestazioni e gli scioperi settoriali in cui si sono verificati veri e propri momenti di lotta barricadera – come nel caso dei minatori delle Asturie. Alla lunga, l'austerità porterà ad un conflitto sociale prolungato. E credo che Monti, Hollande, Rajoy questo lo sappiano bene. Anche la Germania alla lunga potrebbe risentire di un abbassamento marcato dei consumi nella zona euro e – inoltre – si stanno già delineando accese campagne anti-tedesche.