Offensiva ucraina a Kursk, ora da Mosca si ammette: “La Russia costretta a cambiare strategia contro Kiev”
La Russia ha cambiato la sua strategia militare e incrementerà in modo drastico truppe e mezzi a difesa delle sue frontiere, dopo che almeno due brigate ucraine sono penetrate nella oblast di Kursk come un coltello caldo in un panetto di burro. Il principale obiettivo dell’offensiva di Kiev sembra quindi raggiunto.
I rischi per le forze armate di Volodymyr Zelensky restano alti a causa dell’allungamento del fronte: potrebbe finire per avvantaggiare chi ha più uomini e armi, ovvero l’invasore. Intanto, la nuova situazione ripropone al Cremlino il dilemma sulla necessità o meno di una mobilitazione. Che aumenterebbe il malcontento strisciante tra la popolazione. Minando alle fondamenta un regime dal quale molti russi si sentono traditi.
Rivoluzione strategica
"Il cambiamento nella nostra strategia militare c’è già stato", dice a Fanpage.it da Mosca Vasily Kashin, direttore del dipartimento Affari internazionali della Scuola superiore di economia (Hse), una tra le più prestigiose università russe. "Stiamo spostando unità nelle regioni di Kursk, Bryansk e Belgorod (sono state formate tre task force apposite, ha annunciato il Cremlino). Ci siamo resi conto di aver mal giudicato le intenzioni del nemico: sapevamo benissimo che stavano concentrando forze alla frontiera di Kursk, ma ritenevamo che fosse un trucco per farci spostare forze dal Donbass. Non vedevamo alcuna logica per un attacco oltre-frontiera". Kashin e colleghi, a partire dal suo diretto superiore Sergei Kraganov, sono tra i più ascoltati advisor del Cremlino.
Se la Russia sta effettivamente spostando forze ai suoi confini – come anche l’intelligence americana ha asserito – si alleggerirà la pressione sulle linee in Ucraina, Donbass compreso. Kiev può quindi considerare il suo attacco a sorpresa come un successo. Comunque vada a finire. L’ex consulente militare di Kyiv Liam Collins ha spiegato a Fanpage.it come costringendo il nemico a spostare forze altrove a migliori la propria capacità difensiva generale sul lungo termine. Lo facciamo presente a Kashin.
"Non è così", replica il professore moscovita: "Solo in minima parte le truppe russe vengono spostate dal Donbass. Arrivano soprattutto dall’interno della Russia: sono truppe di riserva, finora non erano operative". Secondo Kashin l’offensiva ucraina è già stata fermata "con grandi perdite umane e di materiale bellico da parte nemica", e sarà presto completamente respinta grazie all’arrivo dei rinforzi.
Un successo che costa
In realtà, l’operazione Kursk ha permesso a Kiev di conquistare in 20 giorni più territori russi di quanti Mosca ne abbia conquistati in Ucraina durante un anno. L’avanzata continua, in diverse direzioni. "L’esercito di Putin resiste ma non sembra in grado di stabilizzare la situazione", dice a Fanpage.it l’analista imitare russo Nikolay Mitrokin, esperto del think tank Carnegie e ricercatore all’Università di Brema. "Le forze armate ucraine hanno la possibilità di prendere il vasto distretto di Glushkovsky e di cacciare i soldati russi dalle vicinanze di Sudzha".
Su Telegram i commenti dei militaristi filo-Putin hanno toni quasi disperati: "La situazione sul quadrante di Korenevsky sta gradualmente deteriorandosi", dicono dal fronte le fonti di Mir Segodnya, canale considerato vicino al Cremlino. "La manovra di aggiramento nemica ha raggiunto i suoi obbiettivi, il nodo difensivo di Koronevo è caduto e gli ucraini avanzano sul villaggio".
Il costo del successo ucraino è alto: secondo la agenzia open-source intelligence Naalsio, solo quello materiale ammonta a più di 50 tra veicoli corazzati tedeschi Marder, Stryker americani e lanciarazzi Himars. Circa il doppio rispetto ai mezzi russi distrutti. Il bilancio rispecchia la superiorità numerica di armamenti e personale rispetto alle forze di Mosca nell’area dell’attacco. Non si conosce l’entità delle perdite umane.
Il trade-off di Kiev
Fatto sta che mentre subisce in patria, la Russia continua a premere in Ucraina. In particolare nel Donbass, dove la città di Pokrovsk, 60mila abitanti, è stata evacuata ed è in procinto di cadere in mano agli invasori. "La perdita di Pokrovsk potrebbe portare tutt’al più a quella del sud-ovest della regione di Donetsk", commenta Mitrokin. "Ma non subito. Semmai tra dicembre e gennaio. E le forze di Kiev forse hanno un piano per respingere l’avanzata nemica, perché la situazione tattica dei russi al momento non è ottimale". E comunque, nota l’analista, "ci sono città ben più importanti di Pokrovsk rimaste sotto il controllo ucraino nel Donbass. Come Konstatninovka, Kramatorsk, Slavyansk". I russi non sembrano così vicini a conquistare il pezzo di Donbass rimasto sotto il controllo dell’Ucraina. Anche se se lo sono già formalmente – e per il diritto internazionale illegalmente – annesso.
L’analista Konrad Muzyka che monitora la guerra per la società polacca Rochan Consulting, sottolinea come gli ucraini faranno sempre maggior fatica a riempire i vuoti difensivi e a contrastare le minacce su loro territorio. L’impegno a Kursk, tre l’altro, potrà comportare turni ancora più lunghi in linea per soldati ormai sfiniti da 30 mesi di combattimenti. La Russia ha molta più gente da mandare al macello. Ma, con la “nuova strategia” a cui viene costretta dall’assalto ai suoi territori, dovrà incrementare per forza e rapidamente la presenza dei suoi soldati.
Il "soldatino Ivan" a difesa della Russia
A difendere Kursk al momento sono anche e soprattutto i coscritti, "soldatini Ivan" che il Cremlino aveva solennemente promesso di non impiegare in battaglia. Centinaia di loro sono stati presi prigionieri degli ucraini negli ultimi giorni.
"La possibilità di un ricorso alla mobilitazione è tornato ad essere oggetto di forti pressioni politiche", ammette Vasily Kashin. "In molti ritengono che il governo sia stato finora troppo timido e che si cambiare l’approccio per distruggere una volta per tutte il nemico".
La questione di un richiamo generale alle armi è tornata sul tavolo. II governo russo cercherà di evitarlo. Lo sta facendo aumentando la paga dei volontari. Che è molto alta rispetto agli stipendi medi, soprattutto fuori dalle grandi città.
Secondo Kashin, l’operazione Kursk è solo una “sanguinosa tragedia” con effetti controproducenti per l’Ucraina anche sul piano politico. "Oltre ad allontanare ogni possibilità di negoziato, contribuisce a stringere i russi intorno alla loro bandiera e al loro presidente".
Kursk ha un posto importante nella Storia russa: durante la Grande guerra patriottica, ovvero la Seconda guerra mondiale, fu teatro della vittoria dell’armata rossa contro le divisioni corazzate di Hitler, nella più grande battaglia tra carri armati della Storia. "Ci saranno ancora più volontari per combattere contro gli ucraini fino alla vittoria, nota Kashin. Anche se la mobilitazione è tornata a essere un’opzione perseguibile, forse potremo evitarla".
Se lo zar mobilita i russi
"Certo, Putin ricorrerà alla mobilitazione solo quando non avrà più scelta", commenta a Fanpage.it il politologo Abbas Gallyamov, ex collaboratore del presidente russo, per il quale durante due anni ha scritto i discorsi. "Non può permettersi di perdere. Quindi, se si troverà all’angolo chiamerà tutti i russi abili alle armi. Questo aumenterà l’avversione alla guerra. Molti oggi si dicono a favore del regime e del conflitto solo perché seguono i combattimenti dal divano. Cambieranno tutti idea, se in prima linea dovranno andarci loro".
Secondo gli ultimi sondaggi del centro statistico indipendente Levada, al momento è favorevole alla guerra un terzo della popolazione. Ma se gli ucraini riusciranno a mettere a segno colpi come quello nell’oblast di Kursk e a sfruttare il cambiamento della strategia militare russa già ottenuto con l’offensiva d’agosto, allora il leader del Cremlino potrà sentirsi mancare il terreno sotto i piedi e tenterà il tutto per tutto. Gettando sui campi di battaglia la maggior superiorità convenzionale che ha il suo Paese: l’abbondanza di esseri umani. "Rischierà e dichiarerà la mobilitazione generale, a costo di alimentare proteste di piazza", sostiene Gallyamov.
I bombardamenti sulle infrastrutture energetiche ucraine potrebbero anche finire per mettere in ginocchio il nemico e garantire la vittoria a Putin, evitando mobilitazione e rischi connessi. Finora hanno fatto molto male, non hanno davvero funzionato. Né funzioneranno i bombardamenti indiscriminati sugli obiettivi civili o sugli alberghi dei giornalisti. Il cambiamento di strategia forse comprende anche l’intensificazione di tutto questo. Che più di una strategia sembra però solo furia cieca. Sentimento atipico, per chi dice di esser sicuro della vittoria. E che non contribuirà certo a stringere i russi attorno alla bandiera.
Permettendo che la madrepatria subisca la prima invasione del suo territorio dalla Seconda guerra mondiale, Putin ha rotto il patto con i russi. Aveva assicurato loro che l’operazione militare speciale era una cosa di cui non era necessario occuparsi direttamente. Roba per i professionisti, non per la gente comune. Vallo a dire a adesso alla popolazione della regione invasa. Che non fa mistero di sentirsi abbandonata e delusa dal capo e esprime tutta la sua rabbia con video e post sui social. Se in seguito all’avanzata ucraina oltre confine dovesse poi scattare la mobilitazione, il patto con la popolazione non risulterebbe solo rotto, ma profondamente tradito. Con conseguenze difficilmente prevedibili per il regime che attualmente ha il potere in Russia.