Kobane frontiera dell’Occidente: ecco perché l’Isis vuole riconquistare la città
Distrarre il nemico da posizioni ritenute di primaria importanza e riconquistare un simbolo della lotta contro l'occidente. Questa, in estrema sintesi, è l'opinione che nel corso delle ultime ore si è fatta strada tra gli analisti internazionali in relazione all'attacco armato a Kobane, la cittadina che si trova sul confine turco-siriano e che, all'inizio dell'anno, è stata l'epicentro di feroci combattimenti tra le milizie jihadiste dell'Is e i volontari prevalentemente kurdi.
Secondo quanto circolato in queste ultime ore sia su fonti ufficiali che sui media indipendenti e piattaforme social, i convogli dell'Is sarebbero entrati dalla frontiera di Mursitpinar verso le 4 del mattino, dividendosi su tre fronti e facendo esplodere almeno 3 auto bomba. Grazie a questa operazione diversiva i testimoni locali riportano che l'Is averbbe preso il controllo di alcuni palazzi della periferia Sud-Est di Kobane. Il numero di morti e feriti è ancora imprecisato e le ultime stime parlano di circa quaranta persone decedute e settanta i feriti (ma il dato non è confermato da fonti ufficiali). A Kobane, inoltre, non ci sono ospedali e i feriti avrebbero provato a entrare in Turchia per dirigersi verso le città curde presenti sul territorio di Ankara, ma le autorità turche avrebbero deciso di chiudere la frontiera.
L'assalto alle postazioni difensive di Kobane giunge a circa cinque mesi dalla sconfitta dei miliziani fedeli ad Abu Bakr al-Baghdadi. Era lo scorso gennaio quando i volontari curdi – di cui si ricorderà la nutrita partecipazione di combattenti donne –, aiutati dai raid aerei occidentali (condotti prevalentemente dell'aeronautica militare degli Stati Uniti) riuscirono a scacciare, dopo feroci battaglie, gli uomini del califfato riconquistando la città che rappresenta una delle principali porte d'ingresso per la Turchia.
A dare notizia dell'attacco è stato il Syrian Observatory for Human Rights (centro di ricerca che ha sede nel Regno Unito), confermato poco dopo anche dal network curdo Rudaw che, riportando le testimonianze dei miliziani curdi, ha confermato l'attacco alle postazioni difensive della città e la presenza di auto con vessilli dei jihadisti nel perimetro esterno del centro noto anche col nome di Ayn al-Arab. In contemporanea all'assalto di Kobane le forze dello Stato Islamico hanno attaccato altre due città siriane: Hassakeh, nel Nord del paese, e Deraa nel Sud della Siria.
Due attacchi che sembrano tutt'altro che casuali o non direttamente collegati a quanto avvenuto nella roccaforte curda. A Nord le forze del vessillo nero avrebbero conquistato alcune postazioni strategiche tenute fino a questa mattina dalle forze curde, andando ad occupare intere aree della cittadina sita nella parte settentrionale del paese. La televisione di stato siriana ha riportato che i combattenti dell'Is avrebbero catturato e successivamente ucciso decine di persone nell'area di Hassakeh compreso il comandante del locale distaccamento curdo, mentre avrebbero perso a loro volta alcuni comandanti militari.
Copione molto simile nel Sud del paese dove le forze estremiste hanno attaccato l'esercito regolare siriano di stanza nel centro di Deraa. Secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa Reuters, nell'area meridionale del paese si sarebbero registrati furiosi combattimenti tra le forze fedeli al Presidente siriano Bashar al-Assad e i miliziani jihadisti che avrebbero tentato in tutti i modi di conquistare posizioni strategiche a Deraa, centro considerato di vitale importanza perché conduce direttamente al confine con la Giordania e quindi all'eventuale ed ulteriore ampliamento del conflitto mediorientale. La mossa di attaccare in forze Deraa segue la campagna militare dell'Is in corso a Raqqa, sita nell'area centro settentrionale del paese, per aprire con tutta probabilità un secondo fronte verso il Sud del paese e dividere le già spossate forze regolari siriane.
La scelta di attaccare nuovamente Kobane, sarebbe dunque legata direttamente anche agli altri attacchi lanciati questa mattina con l'obiettivo sia di riconquistare la città divenuta simbolo della resistenza curda e siriana contro l'avanzata delle forze jihadista, in particolare come scritto in precedenza nel luogo dove le donne hanno contribuito in modo primario a contrastare l'avanzata del califfato nero, sia per aprire nuovi fronti nel territorio siriano verso la Giordania e indebolire così ulteriormente le forze regolari. “L'attacco a Kobane rappresenta un monito, atto a rappresentare l'attuale forza dell'Is in Siria e utile a confutare quanti ritengono che il califfato sia ormai debole – ha affermato all'Independent Natasha Underhill, esperta di terrorismo in Medio Oriente presso l'Università Nottingham Trent –. I due attacchi prolungati alle postazioni curde di Kobane, dimostrano che i miliziani jihadisti sono sempre ben addestrati, ben armati e che operano più come un esercito che come un'organizzazione terrorista. Questa è una delle caratteristiche più pericolose della strategia di combattimento dei terroristi, fatta nel modo più professionale possibile e che dimostra come molti dei militanti siano stati addestrati negli Stati Uniti sia in termini di tattica di combattimento che di utilizzo e conoscenza dei sistemi d'arma”. Infine alcuni osservatori hanno sottolineato come l'attacco di Kobane possa anche essere collegato alle recenti elezioni turche e alla volontà da parte delle autorità di Ankara di contrastare la crescita, sia in termini di successi militari sia di indipendenza e popolarità, della milizie curde e facendo per questo motivo optare le formazioni regolari turche a non intervenire in favore degli assediati di siriani.