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Kenya, miss condannata a morte per aver ucciso il suo fidanzato: “Non è pentita”

Nel 2015 Ruth Kamande ha assassinato il fidanzato. Il giudice non crede nella versione della donna, che afferma di aver agito per legittima difesa durante un tentativo di stupro del ragazzo. In carcere, la 24enne è stata eletta “reginetta di bellezza”.
A cura di Biagio Chiariello
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Una 24enne è stata condannata a morte in Kenya per aver ucciso il suo fidanzato. Secondo i giudici, Ruth Wanjiku Kamande ha agito deliberatamente e non per legittima difesa, come hanno invece sostenuto i suoi legali. La giovane è detenuta nel carcere femminile di Lang’ata, dove ha effettuato un percorso di riabilitazione sociale e dove è stata eletta regina di bellezza. L’omicidio è avvenuto nel 2015 nella capitale Nairobi. Secondo la versione dell’imputato, il fidanzato avrebbe tentato di violentarla, dopo averla immobilizzata. Le pugnalate, inferte con un coltello da cucina, erano “l’estremo tentativo di proteggere se stessa”.

L’accusa ha invece tutt’altro parere: Ruth Wanjiku Kamande ha accoltellato Farid Mohammed in preda a un raptus di gelosia. Il ragazzo aveva conservato alcune lettere d’amore, scambiate durante relazioni precedenti e lette casualmente dalla 24enne. L’episodio avrebbe fatto andare su tutte le furie la giovane. La sera precedente al delitto, avrebbe chiesto al compagno perché conservasse ancora quelle lettere, senza ottenere alcuna risposta. La discussione sarebbe ripresa la mattina successiva, degenerato nell’assassinio di Mohammed. Il giudice Jessie Lesiit ha appoggiato la tesi dell’accusa, affermando che “non bisogna uccidere il proprio fidanzato o la propria fidanzata, quando si interrompe una relazione, ma semplicemente abbandonare il rapporto”. Per quanto riguarda l’aver agito per legittima difesa, il giudice ha rilevato che le ferite trovate sul corpo di Farid Mohammed sono incompatibili con questa versione. Durante il processo Ruth ha detto di provare “profondo rimorso” e di essere “molto cambiata”. L’avvocato ha invocato una sentenza clemente, aggiungendo che la ragazza è l’unica figlia di una madre single e che si era anche iscritta all’università, prima del suo arresto.

Dopo la sentenza, la filiale locale di Amnesty International ha subito denunciato la condanna a morte di Ruth, in un Paese in cui nessuna esecuzione è stata praticata per trent’anni: “È un preoccupante passo indietro – ha dichiarato il direttore esecutivo di Amnesty International in Kenya, Irungu Houghton – . È un’inversione della pratica giudiziaria consolidata in questo Paese, dove le condanne a morte sono sempre state commutate in detenzione”, ha aggiunto la Ong, auspicando che in sede di appello la pena di morte sia commutata in una condanna più lieve.

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