Jyoti, violentata e uccisa su un bus a 23 anni: condannati all’impiccagione i quattro responsabili
“Sono felice che finalmente sia stata fatta giustizia non solo per nostra figlia, ma per l’intera nazione”. È stato il primo commento di Badrinath Singh alla sentenza di condanna a morte per i quattro responsabili di aver violentato e ucciso la figlia Jyoti a New Delhi nel 2012. “Dopo sette anni di lotta, adesso possiamo sentirci in pace – ha aggiunto Asha Devi, la madre della ragazza – gli uomini che hanno stuprato mia figlia saranno impiccati. Aspetteremo con ansia questo momento”. Martedì un giudice della capitale indiana ha condannato a morte per impiccagione: Akshay Kumar Singh, Pawan Gupta, Vinay Sharma e Mukesh Singh. L’esecuzione avverrà la mattina del prossimo 22 gennaio nel carcere di Tihar, prigione di massima sicurezza in cui sono attualmente rinchiusi i quattro uomini. Un quinto imputato si è suicidato nel 2013, mentre un minorenne accusato degli stessi reati è stato rilasciato nel 2016, dopo aver scontato tre anni di reclusione.
Sette anni fa, la morte della giovane scuote profondamente l’India il mondo intero. La sua drammatica fine fa emergere in tutta la sua crudezza il fenomeno delle violenze sessuali sulle donne indiane, suscitando un’ondata di proteste che durerà per settimane. Sono le 9 di sera del 16 dicembre 2012: a New Delhi su un autobus di linea, Jyoti Singh, fisioterapista di 23 anni, sta tornando a casa dopo essere stata al cinema con un amico. Una volta a bordo, cinque uomini e un minorenne la violentano con selvaggia ferocia, senza che nessuno degli altri occupanti faccia niente per impedirlo. Solo l’amico prova a difenderla, ma viene massacrato di botte. Dopo averla stuprata, nei pressi dell’aeroporto internazionale, i corpi di Jyoti e l’amico sono scaraventati fuori dal bus in corsa, guidato Mukesh Singh, fratello di uno degli stupratori. La ragazza viene soccorsa in fin di vita. Ha lesioni interne gravissime: i suoi aguzzini hanno usato anche una spranga di ferro che le ha lacerato quasi tutto l’intestino. Dopo un ricovero in ospedale, i medici decidono di trasferirla a Singapore per delle cure specialistiche. Il 29 dicembre 2012, Jyoti muore.
Ci sono voluti sette anni prima di arrivare alla condanna definitiva per uno dei casi più clamorosi di violenza sessuale mai commesso in India. Anche se la pena di morte era stata prevista già nel primo grado di giudizio, gli avvocati degli imputati erano riusciti a ritardare la sentenza definitiva ricorrendo davanti alla Corte suprema indiana. Fino a martedì, quando un giudice ha ordinato l’impiccagione per i quattro uomini. La decisione del magistrato è stata accolta favorevolmente anche da partiti politici e opinione pubblica, nonostante arrivi dopo molti anni dalla morte di Jyoti. Un ritardo che ha provocato le critiche nei confronti della magistratura e del governo, accusati di inefficacia nel porre fine al crescente numero di stupri in India. “Se si fosse fatta giustizia in tempo – ha lamentato il padre di Jyoti – forse si sarebbero potuti impedire altri casi di violenza”. “Gli episodi di stupro sono in aumento nel nostro Paese – ha aggiunto – ma ora i criminali dovranno avere paura della legge. Questa sentenza manda un messaggio forte alla popolazione e sarà un deterrente contro chi commette violenza contro le donne”.
In India ogni 15 minuti una donna subisce uno stupro
L’India purtroppo si conferma un luogo molto pericoloso per il genere femminile. Secondo i dati governo, nel 2018 una donna ha subito uno stupro ogni 15 minuti. Nel Paese, infatti, sono state quasi 34.000 le violenze sessuali. Un numero appena di poco inferiore rispetto all’anno prima. L’altro aspetto che colpisce è che solo il 27% delle denunce ha portato ad una condanna in tribunale. Una dei motivi, secondo le organizzazioni per i diritti umani, dipende dal maschilismo imperante in India. La polizia, insomma, prenderebbe poco in considerazione le accuse delle donne a causa di pregiudizi di carattere sessista. “Il Paese è ancora gestito da uomini – ha detto Lalitha Kumaramangalam, ex responsabile della Commissione nazionale per le donne – aver avuto una premier (Indira Gandhi) non ha cambiato le cose”. “Ci sono pochi laboratori forensi– ha sottolineato la politica, membro del partito del Popolo Indiano del primo ministro Modi – e nei tribunali sono altrettanto pochi sono i riti abbreviati nei casi di violenza sessuale”.
I dati ufficiali sugli stupri commessi in India nel 2018, inoltre, sarebbe sottostimati rispetto alla vera dimensione del fenomeno. In alcune parti del Paese, infatti, le donne non denunciano una violenza carnale per timore alle conseguenze. Uno stupro, quindi, è considerato un tabù di cui non bisogna parlare. Come se non bastasse, nei casi in cui la vittima viene assassinata, la polizia finisce per trattare il reato solo come omicidio, senza considerare la violenza subita dalla donna. In India, le impiccagioni per crimini sessuali sono molto rare. Le condanne a morte vengono comminate solo in casi estremi. L'ultima esecuzione risale al 2004, quando Dhananjoy Chatterjee, ritenuto colpevole dello stupro e dell’omicidio di una studentessa di 14 anni, è stato mandato alla forca. Dopo la morte di Jyoti, tuttavia, i giudici indiani si stanno mostrando più inflessibili: nel 2017 sono state inflitte 109 condanne a morte. Di queste, 43 si riferivano a omicidi seguiti a violenza sessuale.