Jihadisti e narcos: due facce della stessa medaglia
Negli ultimi due anni, sull’onda del terrore generato dalla strategia di tensione degli estremisti islamici, i media si sono occupati degli attentati dell’Isis contro i paesi dell’Unione Europea, e in particolare in Francia, in maniera ossessiva.
Per cercare di far comprendere all’opinione pubblica mondiale la pericolosità dei miliziani si è provato a semplificare l’argomento paragonando l’Isis ai Cartelli Messicani. Si è aperto così un dibattito tra “assimilatori” e “differenziatori” che si confrontano in rete ognuno con una propria legittima teoria di carattere economico, sociale, civile, religioso, culturale e razziale.
Alla fine di giugno lo scrittore Don Winslow, autore di best sellers come “Il potere del cane”, “Le belve” e “Il cartello”, ha dichiarato che «l'Isis ha copiato molte pagine dal libro delle strategie dei narcos, in particolare per quanto riguarda la terminologia o nel pubblicare sui social media i video delle atrocità commesse, cosa che i narcos fanno dal 2005. In ogni caso trafficanti e terroristi sono cugini: entrambi usano l'intimidazione, devono controllare le popolazioni e vincere la guerra delle parole. Spesso si trovano a nuotare nelle stesse acque».
Il contatto tra jihadisti e narcos era già emerso lo scorso aprile quando lo sceicco Mahmood Omar Khabir aveva dichiarato di essere da oltre un anno nello Stato messicano di Chihuahua, dove, ad otto chilometri dal confine con gli Stati Uniti, ha realizzato una base con 200mila uomini pronti, grazie agli accordi presi con gli uomini dei cartelli messicani, a valicare il confine e, al momento opportuno, uccidere migliaia di persone in Texas o Arizona. Il canale che ha trasportato i miliziani dall’altra parte dell’oceano Atlantico è il fiume di droga, uno dei principali business economici a sostegno dell’organizzazione islamica. A quanto pare alcuni jihadisti già collaboravano con Ismael «el Mayo» Zambada, il leader del cartello di Sinaloa.
In verità, come ha rilevato Winslow, sono stati i miliziani a copiare le strategie di terrorismo criminale dei narcos. Perché, allora, gli orrori perpetrati dallo Stato Islamico hanno catturato l’attenzione dei governi e dei media mondiali? Perché i commentatori americani si sbracciano per etichettare l’Islam come un mondo di ‘’barbari’’ la cui inciviltà è connessa al concetto di arcaismo? Perché si bypassa la crudezza e la degenerazione degli attentati per concentrarsi sulla componente religiosa? Perché non si dà altrettanta risonanza globale alla violenza efferata dei Cartelli messicani che dura almeno da dieci anni interrottamente?
Nel solo 2014 il conflitto tra le forze di sicurezza Irachene e l’Isis ha prodotto la morte di circa 8.500 persone e il ferimento di quasi 16mila. Consideriamo il conflitto messicano (che coinvolge forze militari statunitensi, messicane e affiliati dei Cartelli): nello stesso anno sono stati eseguiti 16mila omicidi (dal 2006 al 2015 la somma è 179.000). Inoltre, dal 2005 le decapitazioni sono divenute un gesto di ordinaria amministrazione nei regolamenti di conti, oltre agli smembramenti, alle mutilazioni, alle pubbliche esecuzioni e alle pile di corpi lasciate al centro di cittadine e villaggi per terrorizzarne gli abitanti.
Sono stati i narcos ad aver cominciato ad usare i social media per atterrire l’audience globalizzata della Rete e mostrare la vastità di un potere che non ha limiti morali, né regole “d’onore”. Se scrivete nella sezione “cerca” di Youtube la frase “decapitación narcos” (“decapitazione narcotrafficanti”) avrete circa 14.300 risultati. Se ripetete la ricerca, scrivendo questa volta la frase “ejecutan narcos” (“esecuzione di narcos”), la piattaforma vi proporrà 28.900 risultati. Le prime venticinque pagine sono tutte correlate a riprese in diretta o servizi televisivi che riguardano conflitti armati tra cartelli messicani (al filmato di un assassinio corrisponde sempre una vendetta altrettanto filmata e firmata) e le operazioni militari della estenuante narcoguerra. Una brutalità che da un minuscolo smart-phone può raggiungere un pubblico illimitato collegato alla Rete.
Il video più visto ha come protagonista una donna di una quarantina d’anni il cui nome era San Juana Gabriela Enriquez Galvàn. Esistono due versioni del filmato con titoli diversi: “Sicarios Armados Interrogan y Ejecutan a Mujer Extorsionadora En Ciudad Juarez” e “VIDEO Interrogatorio y Ejecucion Brutal de Mujer”. Il primo è di un’agenzia televisiva ad ha avuto 3.783.345 visualizzazioni (i commenti sono stati disabilitati); il secondo è stato caricato da un utente il cui nickname è “kiko 1822” ed è stato visto 2.128.023 volte (riportando 931 “like” e 1032 “dislike”). Oltre due milioni di persone hanno assistito alla esecuzione mortale e ben 1963 utenti hanno espresso un gradimento positivo o negativo.
Le immagini risalgono al 2010 ma la possibilità di riesumarle dalla Rete le rende sempre attuali: è come se Gabriella fosse stata uccisa ogni volta che il video riparte daccapo. I narcos che la tengono in ostaggio hanno organizzato un vero e proprio set: un ambiente chiuso ma ben illuminato il cui sfondo è una parete bianca. La scena è ripresa da una videocamera digitale piazzata su un treppiedi, con un’inquadratura fissa, che riprende la protagonista al centro della scena. Al suo fianco ci sono due uomini armati di AK 47 che indossano un giubbino antiproiettile con il volto nascosto da un passamontagna nero.
Come accade in ogni trasmissione che si rispetti seguono una scaletta: prima di eseguire la pena capitale la donna viene interrogata affinché confessi pubblicamente le sue colpe. Le domandano: «Sei vedova o single?»; «Vedova», risponde. «Quanti figli hai», continuano; «due», ribatte. L’accusa è precisa: «Da quanto tempo commetti estorsioni ai danni dei cittadini di Ciudad Juarez?»; la replica è secca: «Due mesi». Ancora: «Per chi lavori?»; «Per La Linea (cartello avversario a quello del Sinaloa)», ammette. E infine: «Quanto ti pagano a settimana?», lei: «Duemila pesos (circa 150 euro)». Insomma una specie di macabro reality in cui chi viene “nominato” è eliminato, nel senso letterale del termine. Di fronte ad un simile olocausto in presa diretta (sono centinaia i video di questo tipo tra i quali uno mostra l’esecuzione di ben 107 narcos) a che serve snocciolare le statiche di Youtube?
La piattaforma è uno snodo critico: i numeri delle visualizzazioni simboleggiano una forma di controllo sociale violento che dal reale si estende al virtuale. Grazie a Youtube i narcos possono manifestare pubblicamente (anche se nascosti dietro un passamontagna e rinchiusi in un covo) il proprio potere e comunicarlo a milioni di persone dentro e fuori il Messico. Dalle statistiche è possibile rilevare che il video di Gabriela, sulla scena internazionale, ha avuto il maggior successo tra i maschi nella fascia di età tra i 35 e i 44 anni. Non si tratta, dunque, della solita splatter mania adolescenziale ma di uomini adulti alla ricerca di una narrazione empatica bidirezionale: da un lato si cerca la conferma dello stereotipo, dall’altro si vuole entrare in contatto con uno stile di vita ritenuto esemplare o prossimo, tanto è vero che la maggior parte dei “non mi piace” deriva dalla delusione di non vedere eseguita la sentenza di morte.
Sono stati i narcos, e non certo l’Isis (la quale emula la violenza reale/virtuale dei Cartelli amplificandone la paura grazie ai pregiudizi contro l’Islam), ad aver dimostrato che i social media possono diventare parte di una strategia che rende visibile il potere criminale pur rimanendo occulto e segreto. Youtube, moltiplicando all’infinito (con lo sharing) la distribuzione degli home video, ha democratizzato l’utilizzo dei media collegando i produttori direttamente all’audience. In tal senso le esecuzioni diventano uno spettacolo pubblico il cui obiettivo primario è l’estensione della suggestione dei cartelli sui nemici, sui sostenitori e sugli internauti in generale. Ai primi bisogna far paura, ai secondi conviene rafforzare il legame di fedeltà, ai terzi accettare un atteggiamento di sottomissione.
Grazie alla visione replicata della clip, gli affiliati sentono di appartenere ad un mondo che manifesta la propria identità con orgoglio amministrando una giustizia selvaggia e naturale: come spazio fisico, Internet è il mezzo ideale per accrescere la comunicazione del potere. I narcos messicani hanno trasformato Youtube in una rete televisiva a costo zero su cui diffondere messaggi di morte. Una specie di talk show globalizzato e monotematico in cui le domande dell’intervistatore preludono una conclusione letale ampiamente prevedibile.
L’utilizzo dei social media non è l’unica forma di emulazione. I cartelli, prima dell’Isis, hanno colpito donne e bambini per aumentare il senso di paura e intimidire le comunità occupate; hanno reclutato giovani soldati, al di sotto degli 11 anni, per educarli alla violenza e gettarli negli scontri con i militari messicani; hanno rapito giovani donne per sfruttarle come prostitute o muli della droga, o semplicemente per stappare gli organi e rivenderli sul mercato nero; hanno ucciso brutalmente giornalisti e messo a tacere chi critica il loro operato attraverso i social network.
La domanda è sempre la stessa: perché se lo fa l’Isis siamo spaventati e attoniti, mentre nessuno, in Europa e negli States, si indigna dell’ormai decennale annullamento dei diritti umani in Messico? I Cartelli hanno ucciso 293 Americani in Messico e 5.700 negli Stati Uniti, mentre durante la guerra in Afghanistan sono morti 2.349 americani. Chi sono i terroristi i miliziani o i narcos? I Cartelli si sono infiltrati in più di 3.000 città americane e tra i loro affiliati ci sono molti cittadini statunitensi. Il loro network negli Stati Uniti è diffuso al punto da controllare la quasi totalità del mercato della droga. Perché allora contro l’Isis si sono mobilitate 50 nazioni e gli affari del Messico interessano solo le forze della Drug Enforcement Administration (Dea – Fbi)? Perché i cartelli rappresentano un pericolo minore dell’Isis? Forse perché lo Stato islamico è un totalitarismo fondamentalista antitetico al pensiero americano e, di conseguenza, all’ordine internazionale costituito, mentre?
A dire il vero i narcos si interessano solo del profitto, la loro violenza è di tipo ritualistico, incorporata nella religione “bastarda” della Santa Muerte alla quale il Cartello dei Caballeros Templarios (Cavalieri Templari, nome che evoca l’idea di guerra religiosa) innalzano chiese radicando il dominio anche per via escatologica. Senza dimenticare che i boss dei cartelli, quando sono uccisi, vengono seppelliti in mausolei, onorati come martiri, glorificati come paladini di un Centro/Sud America ribelle e commemorati in canzoni popolari per aver resistito al diktat degli yankee.
Allora perché gli Stati Uniti non chiedono agli alleati di agire contro i Cartelli messicani in nome della sacrosanta difesa della democrazia e dei diritti umani sanciti dalle Nazioni Unite? Riassumo in punti le plausibili motivazioni della inazione americana: 1) Il Messico è un paese alleato che vive in simbiosi con gli Usa; 2) Ha modelli, stili di vita e consumi connessi al mercato americano; 3) La droga è uno dei pilastri dell’economia globalizzata che finanzia in parte l’economia legale statunitense attraverso banche e società schermo; 4) I Cartelli sono preziosi clienti per la lobby delle armi; 5) La latinità e il cattolicesimo del popolo messicano lo rende assimilabile alla sfera occidentale; 6) I narcos non vogliono uno scontro di civiltà ma controllare un pezzo dell’economia neoliberista. Al contrario l’Isis: 1) si è impossessato dei giacimenti petroliferi; 2) investe i proventi del traffico di droga nella guerra santa; 3) colpisce nazioni appartenenti alla Nato; 4) manifesta orgogliosamente un’identità antioccidentale; 4) attenta l’ordine mondiale costituito; 5) sfrutta l’estremismo religioso per coagulare il dissenso sociale e spostare l’asse del potere economico; 6) rappresenta il senso di colpa per gli errori commessi in Medioriente.
Jihadisti e narcos sono le due facce della globalizzazione criminogena, il risultato di un’errata distribuzione della ricchezza e dell’uso della povertà come mezzo di colonizzazione economica. Non mi meraviglierei se un giorno scoprissimo che i leader del Califfato siano degli atei capaci di manipolare la religiosità popolare per fini puramente geopolitici. Fatto sta che il conflitto in corso (causato dai fallimenti americani post 11 settembre) sancisce la fine dell’era di pace costruita nel Novecento trasformando la guerra fredda in guerra totale.