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J.F. Kennedy, l’idealista senza illusioni diventato un simbolo

Cinquanta anni fa veniva assassinato John Fitzgerald Kennedy, un uomo divenuto un simbolo, un mito e un riferimento ideale. Anche oltre la verità storica.
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Il primo incontro fra mia madre e mio padre avvenne nel 1971. Si inaugurava una scuola in onore del Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, assassinato nel '63, alla presenza del console statunitense. Mia madre era tra le ragazze del cerimoniale di inaugurazione, a gettare fiori sulla macchina del console. Mio padre in cima al muretto perimetrale a lanciare uova e vernice per protestare contro il perdurare dell'intervento americano in Vietnam. Un'istantanea, niente di più.

Più di quarant'anni dopo, una scena simile sarebbe difficilmente immaginabile. E quella figura, dopo la mitopoiesi successiva al martirio, è ormai un simbolo, un'icona, che sostanzialmente appartiene a tutti. Cinquanta anni dopo l'assassinio, Kennedy è "il" Presidente. Ne scriveva qualche giorno fa Sansonetti, notando come "Kennedy, per una parte importante della popolazione americana che ha vissuto gli anni sessanta – essenzialmente per i neri – (ma anche per quella europea, mi sento di aggiungere, ndr) è stato un simbolo molto più grande e luminoso della sua concreta politica, delle sue scelte, del suo avanzare zigzagando non sempre in modo meritorio. Il simbolo Kennedy è molto più grande di Kennedy in carne e ossa". E che cinquant'anni dopo il simbolo, il mito Kennedy sia assurto a patrimonio collettivo è cosa evidente. In maniera del tutto trasversale ad ogni inclinazione politica, collocazione ideologica, provenienza sociale, riferimenti culturali e storie individuali. Finendo certo con l'essere il punto di riferimento per la sinistra progressista europea (tema sul quale si potrebbe discutere in eterno, proprio in considerazione della formazione kennediana e del suo operato "contraddittorio", dalla politica estera a quella sociale, dai suoi riferimenti culturali alla moderna declinazione del tema dell'egualitarismo), ma trovando consensi anche tra gli ambienti conservatori (con maggior forza prima che il binomio Reagan – Thatcher facesse definitiva chiarezza nel loro pantheon).

A cinquant'anni dalla morte ci troviamo così a collezionare citazioni, immagini, istantanee appunto. Dal discorso di Berlino ai fotogrammi dell'assassinio, passando per le sue frasi celebri ("Non chiedete cosa possa fare il paese per voi: chiedete cosa potete fare voi per il paese"; "Il conformismo è il carceriere della libertà e il nemico dello sviluppo"; "Celebriamo il passato per risvegliare il futuro"), fino ad arrivare alla sua vita privata, alla sua famiglia alla sua eredità politica, morale, culturale: il ricordo dell'idealista senza illusioni (per citare una sua autodefinizione, riportata dal compianto Enzo Biagi) è àncora sicura per chiunque non si rassegni al grigiore della politica contemporanea, per chiunque rimpianga l'età dell'oro della politica "in grado di emozionare", per chiunque senta che andare oltre le ideologie è un "dovere morale" e trova conforto nella pretesa del superamento di vecchie distinzioni, per chiunque abbia bisogno di una stella polare, di un riferimento ideale, per chiunque immagina un mondo migliore senza "i complotti della Cia, le manovre dei servizi segreti", per chiunque cerchi un senso nelle vite esemplari, negli uomini straordinari.

Poi, poco importa che "il grande nemico della verità molto spesso non sia la menzogna (deliberata, creata ad arte e disonesta) ma il mito: persistente, persuasivo ed irrealistico". Come dite? Anche questa è una frase di Kennedy? Già, è vero.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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