Italo-palestinese arrestato da Israele: “Ammanettato davanti al figlio, violati diritti fondamentali”
Khaled Al Qaisi è un cittadino italo-palestinese, studente di lingue orientali alla Sapienza di Roma, di cui da giorni non si hanno più notizie. Lo scorso 31 agosto, mentre rientrava con la famiglia dalle vacanze, è stato arrestato dalle autorità israeliane. Era con la moglie e il figlio di 4 anni. Tornavano da un soggiorno a Betlemme.
Al controllo bagagli è stato ammanettato sotto gli occhi increduli di chi era con lui. Non è stata fornita loro alcuna spiegazione sui capi d'accusa né sui motivi che hanno portato alla misura cautelare. Per questo, organizzazioni come Amnesty International e l'Onu sono intervenuti con forza per chiedere la liberazione del ragazzo.
In una lunga lettera-appello alle autorità italiane Francesca Antinucci e Lucia Marchetti, rispettivamente moglie e madre del giovane italo-palestinese hanno scritto: "Immaginiamo Khaled in completo isolamento, senza contatti col mondo esterno, senza percezione reale dello scorrere del tempo, sotto la pressione di continui interrogatori, in pensiero angosciato per la sorte del proprio figlio e di sua moglie lasciati allo sbaraglio con l’unica immagine negli occhi relativa alla sua deportazione in manette".
A spiegare cosa sta succedendo in Medio Oriente a Fanpage.it è Francesca Albanese Relatrice Speciale Onu sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi.
Come sta Khaled?
"Non posso darle questa informazione perché non ho contatti diretti con lui. So che è stato fermato mentre era con la sua famiglia, tra cui un bambino di 4 anni. Si è visto ammanettare e portare via. Immagino che ciò gli abbia creato una situazione di stress e di squilibrio. C'è una apparente violazione di alcuni diritti fondamentali".
Di che diritti parla?
"In base alle notizie che sono state fatte circolare e alle dichiarazioni della famiglia, emerge che ci sia stata una violazione al diritto alla sicurezza della persona, che va sempre protetta da forme di detenzione arbitraria. È un principio assodato che, a meno che non ci sia un pericolo evidente e confermato, non si sottopone a custodia cautelare una persona. In ogni caso, sono situazioni che vanno giustificate. Non si conoscono i capi d'accusa, non si conoscono le ragioni della custodia cautelare, si sa solo che la sua famiglia è stata costretta a prendere la via della Giordania senza i mezzi per farlo. È questo è un trattamento disumano.
Non mi sembra neppure che gli sia stato garantito il diritto a un processo equo né che sia stato condotto davanti a un giudice nei tempi richiesti dalla legge. C'è stato un isolamento senza comunicazione a legali e a famiglia per molti giorni. Tutto questo non è conforme al diritto internazionale".
In che contesto politico è avvenuto l'arresto di Khaled?
"C'è questo assunto per cui Israele avrebbe l'autorità di arrestare indiscriminatamente i palestinesi che ritiene ‘soggetti pericolosi', però l'occupazione opera al di là di quello che è permesso dal diritto internazionale, perché dura da 56 anni e con l'imposizione di misure altamente discriminatorie e definite – a giudizio di tanti – di ‘apartheid'.
C'è una repressione dei diritti di base dei palestinesi che va avanti da tre generazioni. I palestinesi che vivono in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est non hanno cittadinanza israeliana e non hanno possibilità di interferire con le decisioni che riguardano la loro vita. Le leggi alle quali sono sottoposti sono scritte da soldati, applicate da soldati e riviste in sedi di corti militari. Vivono da 56 anni sotto la legge marziale e con leggi d'emergenza che risalgono all epoca del Mandato britannico. In Italia questa realtà sembra non essere compresa. Non ci sono forze contrapposte, ma un popolo occupato e una forza occupante".
Per altro – ha denunciato Amnesty – quello di Khaled non è un caso isolato…
"Oltre cinquemila persone del territorio occupato, che sia Giordania, Gaza e Gerusalemme Est, sono detenute, di cui l'80% nelle carceri di Israele. Già questa è una violazione del diritto internazionale gravissima, è un crimine di guerra, si chiama deportazione perché le persone del territorio occupato non possono essere detenute fuori dallo stesso territorio occupato.
Inoltre, più di 1200 di queste persone sono arrestate sulla base di prove segrete, che non vengono rese note né ai detenuti né ai loro legali. La chiamano detenzione amministrativa, che è prevista in casi di urgenza in cui la sicurezza della forza occupante è in pericolo. Ma qui stiamo parlando di una forza occupante che è li da 56 anni. Israele confonde la sua sicurezza in quanto Stato con la sicurezza del suo disegno di annessione del territorio occupato. Chi si oppone a questo disegno viene punito ed arrestato. A ciò si aggiunga un secondo strato di repressione a causa degli arresti praticati dalle autorità palestinesi".
Cosa può fare la comunità internazionale?
"Ha un obbligo fondamentale: quello di far applicare il diritto internazionale senza doppi standard. Così come si riconosce occupata la Crimea e si ritiene un'aggressione l'attacco della Russia all'Ucraina in violazione del diritto all'autodeterminazione, così è una violazione all'autodeterminazione quella posta in essere da Israele nei confronti dei palestinesi nei territori occupati. Le colonie sono un crimine di guerra. Solo così si può riportare pace e stabilità in quella regione tormentata. È questo è nell'interesse sia degli israeliani che dei palestinesi".
Cosa può fare invece l'Italia nello specifico per Khaled?
"Le autorità italiane devono garantire che i diritti di El Qaisi siano rispettati, che sia informato delle ragioni della detenzione immediatamente e che se non vi siano gli estremi per privarlo della libertà personale, venga immediatamente rilasciato. E che abbia un processo equo, con tutti i diritti garantiti dal patto internazionale sui diritti civili e politici di cui Israele é parte.".