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Israele restituisce i corpi di 91 guerriglieri palestinesi, o quel che ne rimane

Israele restituisce 91 corpi di guerriglieri alle autorità palestinesi. Cerimonia militare per 79 di loro, 12 tornano dalle famiglie a Gaza. Il malcontento serpeggia tra le associazioni Israeliane per le vittime del terrorismo, entusiasmo a Ramallah.
A cura di Anna Coluccino
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Sono 91 i corpi che il governo di Israele ha accettato di restituire alle autorità palestinesi affinché alcuni dei detenuti presenti nelle carceri israeliane interrompessero uno sciopero della fame durato oltre settanta giorni. I resti recapitati oggi in Palestina appartengono, per lo più, a guerriglieri che – negli ultimi quattro decenni – hanno portato avanti azioni contro Israele e che fino ad oggi si trovavano in diverse aree cimiteriali dedicate ai "nemici caduti". Per 79 di quei corpi c'è stata una vera e propria cerimonia di stato, una celebrazione di carattere militare avvenuta a Ramallah, West Bank, e presieduta del presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas. I restanti 12 corpi sono stati consegnati alle rispettive famiglie a Gaza. Tra i corpi che sono stati restituiti ci sono anche quelli dei sette palestinesi coinvolti nell'attacco contro l'Hotel Savoy di Tel Aviv (1975) ed altri non identificati. Quasi tutti saranno sepolti nel cimitero militare di Ramallah.

Secondo il portavoce del governo israeliano, Mark Regev, la restituzione dei corpi sarebbe un inequivocabile segnale di distensione, simbolo del "clima di fiducia necessario affinché il piano di pace torni in pista". Ma finché Israele non smetterà di costruire nuovi insediamenti in Cisgiordania e non accetterà di tornare ai confini del 1967 – come l'intera comunità internazionale chiede, pur senza risultati – sarà molto difficile innescare un processo di pace degno di questo nome. Ogni giorno a Gaza vengono feriti e uccisi civili palestinesi, colpevoli di azzardarsi ad arare, pescare o tentare di recuperare acqua in zone che Israele – motu proprio – ha deciso essere sue e solo sue; nelle carceri israeliane sono detenuti – senza accuse – centinaia di palestinesi, tra cui molti bambini tra i dodici e i tredici anni. E mille altre ancore sono le storture che non possono essere raddrizzate con un isolato gesto umanitario. Eppure, almeno riguardo le condizioni di detenzione dei palestinesi, qualcosa sembra cominciare a muoversi: a parte la restituzione dei corpi, infatti, Israele ha accettato di rinunciare – in caso di mancanza di prove – al rinnovo della "detenzione amministrativa" (così viene chiamata l'incarcerazione a tempo indeterminato senza accuse né processo cui sono soggetti la maggior parte dei detenuti palestinesi).  Secondo la BBC questa "concessione" autorizzerebbe la liberazione di circa 300 detenuti entro novembre.

Con Israele, però, non si può mai sapere. Anche lo scorso anno – a seguito della liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit in cambio di centinaia di prigionieri palestinesi –  Israele si mostrò dapprima conciliante e, pochi mesi dopo, mise in atto l'ennesimo bombardamento su Gaza allo scopo di stanare i "responsabili del rapimento di Shalit" e nel tentativo di uccidere buona parte dei prigionieri liberati. C'è infatti da considerare che buona parte della popolazione israeliana non è affatto favorevole all'ammorbidimento delle posizioni nei confronti della Palestina, e la restituzione di questi 91 corpi – così come la liberazione dei 1024 palestinesi dello scorso anno – non sono affatto visti di buon'occhio. Almeno non da tutti. Meir Indor (presidente della Almagor, associazione israeliana per le vittime del terrorismo) ha affermato ai microfono della CNN che rilasciare i resti serve solo "alla prosecuzione delle strategie del terrore".

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