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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

“Israele potrebbe aspettare le elezioni USA per attaccare l’Iran”: l’analisi dell’ISPI

Fanpage.it ha intervistato il ricercatore dell’ISPI Claudio Bertolotti con l’obiettivo di fare un punto sui recenti e prossimi, anche se parziali, sviluppi del conflitto in Medio Oriente. “Israele attende il momento giusto per rispondere a Teheran, potrebbe essere quello delle elezioni statunitensi”, ha spiegato l’esperto.
Intervista a Claudio Bertolotti
Ricercatore ISPI.
A cura di Eleonora Panseri
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L'attacco iraniano su Israele del primo ottobre.
L'attacco iraniano su Israele del primo ottobre.
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I raid israeliani in Libano e le conseguenze sulla missione Onu Unifil, l'attesa per l'imminente offensiva di Israele contro l'Iran dopo l'attacco di Teheran di poche settimane fa, il tentativo dei paesi occidentali di contenere l'escalation. Il conflitto in Medio Oriente continua a evolversi in una regione che da decenni si basa su fragili equilibri.

Per cercare di fare un punto su quanto accaduto nelle scorse settimane e su quali potrebbero essere alcuni parziali sviluppi, Fanpage.it ha intervistato Claudio Bertolotti, ricercatore dell'ISPI e autore del libro "Gaza Underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas. Storia, strategie, tattiche, guerra cognitiva e intelligenza artificiale" (Edito da START InSight, 2024).

Claudio Bertolotti, ricercatore ISPI.
Claudio Bertolotti, ricercatore ISPI.

Dottor Bertolotti, nelle scorse settimane durante operazioni in Libano è stato coinvolto anche il contingente Onu Unifil. Cosa possono fare i caschi blu? 

Al momento Unifil può fare quello che ha fatto negli ultimi anni, cioè svolgere una funzione di osservazione, non essendo riusciti a rappresentare una forza di deterrenza funzionale alla separazione tra Hezbollah e Israele. Dal punto di vista israeliano Unifil non ha ottemperato il suo mandato.

Perché Hezbollah è riuscito a riorganizzarsi e riarmarsi, a creare infrastrutture, anche sotterranee, per lo stoccaggio delle armi utilizzate contro Tel Aviv che ha adottato un approccio offensivo per difendersi dalle azioni del gruppo che si sono concentrate nell'ultimo anno in concomitanza con l'attacco del 7 ottobre di Hamas.

Quanto sta avvenendo tra Hezbollah e Israele, così come il coinvolgimento di Unifil, va ricondotto alla volontà iraniana di destabilizzare l'area, utilizzando tutti i suoi attori di prossimità (Hamas, Hezbollah, gli Houthi, le milizie sciite irachene…) in funzione di un indebolimento di Israele, senza essere coinvolto direttamente.

Sembra però che le cose stiano sfuggendo di mano. E in tutto questo Unifil si trova in mezzo, con un pregresso storico che si inserisce in una situazione analoga, quando Israele aveva accettato la presenza del contingente Onu in funzione di limitazione e contenimento della minaccia. Delegando, non tanto a Unifil, quanto alle forze di sicurezza libanesi, una limitazione della riorganizzazione di Hezbollah.

Proprio a proposito dell'Iran, dopo l'attacco di alcune settimane fa, tutti si aspettavano la risposta di Israele. Una risposta che tuttavia non è ancora arrivata. Perché?

Perché per Israele non è necessario colpire nell'immediato. Non ha un fine comunicativo o propagandistico, ma da un punto di vista strategico l'obiettivo di Israele, a prescindere dal suo governo, è contenere l'Iran o addirittura spingere verso un cambio della leadership politica a Teheran per riuscire così a far crollare un sistema come quello dell'Asse della Resistenza.

Questo è costruito tutto intorno alla narrazione di una "liberazione" delle terre della Palestina e alla cacciata degli ebrei con lo scopo di consolidare un'egemonia regionale a guida sciita che è la massima ambizione di Teheran. Da un punto di vista strategico e politico, Israele sta attendendo il momento opportuno e potrebbe essere quello delle elezioni statunitensi.

Che peso avrà l'esito delle prossime elezioni Usa su tutto questo?

Non si sa chi vincerà e in ogni caso il sostegno a Israele è indiscusso. Ma potrebbe cambiare l'intensità del sostegno e l'approccio politico che Washington utilizzerà.

Un'amministrazione a guida Trump potrebbe essere certamente più favorevole a una visione e a un approccio come quello di Netanyahu. Una democratica lo è meno. Non tanto nei risultati che intende perseguire, quanto nella visione nei confronti dell'Iran.

I democratici guardano a Teheran come a un interlocutore, indipendentemente dalla sua leadership politica, e a loro non interessa che ci sia uno Stato teocratico, sciita e con un'ambizione regionale. Lo vedono come un "problema gestibile". L'amministrazione repubblicana, al contrario, vede con favore un cambio di regime.

Tant'è che durante la sua presidenza Trump aveva chiuso gli accordi sul nucleare avviati da Obama e ha reinserito Teheran, seppur informalmente, nel cosiddetto "Asse del male" che ci riporta all'amministrazione repubblicana del presidente Bush.

L'attenzione ora si è spostata da Gaza al fronte libanese e non si sente più parlare più di un "cessate il fuoco". Lei come lo spiega? 

Un cessate il fuoco sembra in effetti non interessare le due parti in causa. Per Hamas è svantaggioso concedere qualcosa a Israele, anche in termini di narrazione, e per Israele lo è perché, imporrebbe una pausa delle operazioni condotte sul campo di battaglia.

I combattimenti si sono spostati in più zone ma possiamo già definirlo un "conflitto regionale"?

Ancora no. Israele è preparato ma ha il timore di un'escalation orizzontale, ovvero dell'azione contemporanea di tutti gli attori dell'"Asse della Resistenza". Per questo agisce in maniera decisa e mirata contro un attore per volta, prima contro Hamas e ora contro Hezbollah, e poi potrebbe esserci l'Iran.

Uno per uno sta riducendo la capacità militare di quelli che sono i suoi potenziali antagonisti, che operano al posto di Teheran. In questo momento nessuno vuole un'escalation. Non l'Iran perché non sarebbe in grado di sostenere una guerra contro Israele da solo, e nemmeno con i suoi alleati indeboliti.

E non la vuole Israele perché in questo momento l'"Asse della Resistenza" è sufficientemente capace di infliggere danni significativi. A prescindere da questo, bisogna sottolineare che gli Stati Uniti daranno, senza se e senza ma, sostegno militare a Israele in caso di un'escalation orizzontale.

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